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VHRO: l’arte cammina tra colore, identità e sostenibilità

Dalle giacche dipinte alla collaborazione con FUL Magazine: Sara Vaccaro, in arte VHRO, racconta il suo percorso tra pittura, moda e tradizione, trasformando capi vintage in opere uniche che celebrano personaggi, storie e visioni contemporanee.

Passione, tenacia e creatività: la giovane e fiorentinissima Sara Vaccaro ha iniziato la sua carriera artistica realizzando opere su giacche di jeans e pelle – tra i suoi clienti figurano anche celebrità dello sport e dello spettacolo – per poi spingersi oltre: tele, illustrazioni, dipinti e (perché no?) anche lavori di grafica. Tra colori intensi, immagini simboliche e volti femminili seducenti, sveliamo VHRO, l’artista che si è dedicata alle quattro cover di questo 2024 per FUL.

Qual è stata la tua formazione e come sei arrivata a fare la pittrice?

Ho iniziato al liceo Artistico, dove ho approfondito il mio amore per la pittura, per poi proseguire all’Accademia Nemo a Firenze, esplorando il design. Però, diciamocelo: non è che esci dalla scuola e trovi subito lavoro come artista! Bisogna costruirsi il proprio spazio, ed è esattamente quello che ho fatto. All’inizio dipingevo su giacche di jeans, perché avevano un prezzo accessibile e offrivano una bella tela indossabile, mutevole e in movimento. Mi spaventava l’idea di dipingere su tele grandi, e ho trovato questo compromesso. Successivamente, sono passata alle giacche di pelle, un materiale che conoscevo bene grazie a mio padre, calzolaio, e che richiede una tecnica particolare per preservare i colori nel tempo. Così è nato tutto. Ho cominciato con commissioni personalizzate, spesso ritratti o simboli che rappresentassero qualcosa di speciale per chi le indossava. Da lì sono arrivate richieste sempre più interessanti, anche da personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport: Zlatan Ibrahimović, Francesco Totti, Michelle Hunziker, Luciano Ligabue, Enrico Ruggeri, che ha addirittura indossato un mio pezzo a Sanremo. Una volta, un cliente mi ha chiesto di raffigurare un’esperienza allucinogena: mi ha raccontato di chakra luminosi e di piante di ayahuasca, ed è stata una sfida condensare tutto questo in un’immagine simbolica, intensa e personale.

Parallelamente alla pittura, porto avanti l’attività di grafica e illustratrice. Da qui è nata poi anche la mia collaborazione con FUL: abbiamo scelto di rappresentare nelle copertine di questo anno persone che fanno la differenza nella nostra comunità. Raccontare Firenze attraverso i volti di chi la rende un posto migliore è un progetto che mi rende davvero fiera.

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Quando hai cominciato a percepirti come artista e cosa vuol dire oggi essere artista per te?

Credo che l’idea di “artista” sia spesso un po’ bloccata nell’immagine che troviamo nei libri di scuola, con quella visione epica di chi ha lasciato un segno indelebile nella storia. Ma per me l’arte è qualcosa di più quotidiano: creare qualcosa di autentico è già arte, al di là del successo o del riconoscimento. 

Ammetto che ci ho messo del tempo per considerarmi davvero un’artista. Oggi risponderei semplicemente che sono sia una pittrice sia un’artista, perché faccio di tutto: a volte riproduco su commissione, a volte invento, ma c’è sempre qualcosa di mio in ogni pezzo.

Quali sono i riferimenti artistici e culturali ai quali ti ispiri?

Essere una donna artista oggi significa affrontare sfide, ma anche cercare spazio per farsi notare. Jenny Saville mi ha ispirata moltissimo in questo: le sue opere enormi e potenti gridano “guardatemi!” con colori intensi e tematiche coraggiose che parlano di corpi e di identità. In un certo senso, cerco di fare lo stesso. Quando ho scelto le giacche come supporto per la mia arte, l’ho fatto perché volevo che la mia pittura fosse “portata a giro”: diventano tele in movimento, opere che vivono nella città, attirando sguardi. Mi piace usare colori accesi e reinterpretare grandi capolavori come la Giuditta di Klimt o la Venere di Botticelli in chiave pop e contemporanea. Le mie giacche gridano: chi le indossa si sente protagonista, vuole farsi vedere, e in un certo senso lo voglio anch’io, come artista e come donna.

Amo anche Egon Schiele per la forza emotiva dei suoi ritratti e per il suo tratto inconfondibile. Mi ispira la sua autenticità, quel segno che non ha bisogno di una firma per essere riconosciuto, ed è qualcosa a cui aspiro anch’io. 

Infine, la mia esperienza con il teatro e la danza ha influenzato molto il mio approccio: osservare i corpi e i gesti mi ha aiutato a destrutturare la performance e a portarla nel mio lavoro artistico, mescolando i vari linguaggi. Con l’Accademia dell’Uomo, un percorso che unisce corpo, creatività e coaching su temi come emozioni e comunicazione, ho imparato a riconoscermi come artista e a comprendere l’importanza di farmi pagare per il mio lavoro. Purtroppo, soprattutto per una giovane donna, non è sempre facile. Spesso il mio lavoro viene visto come un hobby, con aspettative di prezzi bassi, e mi trovo a dover lottare per ottenere un trattamento economico equo, senza compromessi.

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Perché nella tua arte è così preponderante sia la donna che il colore? 

Senza pensarci troppo, credo che sia il mio modo di portare alla luce storie e identità che sento vicine, dando forza a chi, come me, vuole essere vista. Come donna, ho vissuto in prima persona quanto sia difficile farsi spazio in certi ambienti, quindi forse, inconsciamente, dipingo figure femminili proprio per dar loro quella visibilità e presenza che, a volte, nella realtà manca anche a me. Il colore, invece, è la mia arma per catturare l’attenzione. Uso forti tonalità vibranti per gridare “Guardate, sono qui.” 

Un esempio perfetto è il mio trittico L’età dentro. Ho iniziato a dipingerlo senza un’idea precisa, semplicemente cercando di creare qualcosa di mio tra una commissione e l’altra. Alla fine, mi sono accorta che il filo conduttore era l’oppressione del colore: tonalità così intense da diventare quasi soffocanti, riflettendo il peso delle difficoltà che vivo nel mio lavoro ma anche nella mia vita personale. Il colore, che uso per affermarmi, può anche sovrastarmi quindi: è una forza ambivalente, capace di liberarmi ma anche di mettermi alla prova. Solo alla fine quei tre dipinti mi hanno rivelato cosa fossero davvero: una sintesi del mio percorso e della mia arte (almeno finora!).

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Quanto i pensieri, le emozioni e i periodi che vivi influenzano la tua arte?

Moltissimo! Nei periodi negativi, mi sento bloccata: la creatività, per me, è legata alla libertà, e quando questa manca, esprimermi diventa quasi impossibile. Paradossalmente, uno dei momenti più creativi è stato durante un blocco forzato, quando mi sono rotta il ginocchio. Essere costretta a fermarmi mi ha liberata dalle pressioni e dalle aspettative, permettendomi di sperimentare e creare solo per me stessa. È lì che sono nate alcune delle idee migliori.

Credo sia importante sfatare l’idea che dobbiamo essere sempre produttivi. Viviamo in una società in cui fallire o fermarsi sembra quasi proibito, ma a volte prendersi una pausa è essenziale per ritrovare energia e ispirazione. In fondo, dobbiamo imparare a rispettare i nostri ritmi e a perdonarci quando non siamo al massimo. Non possiamo essere sempre performanti: la nostra soddisfazione e il nostro benessere devono venire prima, perché solo così possiamo creare qualcosa di autentico che ci rappresenti davvero.

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Nuovi progetti? 

​Voglio unire arte, sostenibilità e tradizione dando nuova vita a capi vintage, trasformandoli in pezzi unici. Ho già restaurato giacche con vecchi disegni sbiaditi, lasciando talvolta i segni del tempo per raccontare la loro storia. La Toscana, con la sua tradizione nella pelletteria, è il contesto ideale per dare valore al riuso in un’epoca in cui la sostenibilità è di centrale importanza. Questo progetto vuole essere anche un’alternativa alla produzione di massa, unendo il fascino del vintage all’unicità dell’alta artigianalità. Un altro progetto che mi sta particolarmente a cuore è il mio nuovo ruolo come docente di pittura presso la RossoTiziano Art Academy, un centro di formazione e specializzazione per le arti del disegno e della pittura a Scandicci. Non potevo che approdare in una scuola che ha il sapore delle vecchie botteghe, dove, da 30 anni, si impara manualmente e si crea aggregazione. È una grande soddisfazione per me restituire ciò che negli anni ho appreso.