Un’operazione di forte impatto emotivo quella di Vincenzo Lipari, che ha firmato una sua tela col proprio sangue per far riflettere su un’importante questione: davvero l’arte ha bisogno degli NFT?
Nell’ultimo periodo si sente sempre più parlare di NFT, un fenomeno che ha ormai preso campo nel mondo dell’arte entrando anche nei meccanismi del collezionismo d’arte digitale e nella vendita delle Case d’Asta d’arte più prestigiose. Anche la celeberrima Christie’s ha battuto cifre da record per opere digitali, una su tutte Everydays: The First 5000 Days dell’artista digitale Beeple, venduta per 69 milioni di dollari nel corso di un’asta digitale, diventando così la sesta opera d’arte più costosa di tutti i tempi.
Ma cosa sono gli NFT? L’acronimo sta per Non Fungible Token e comprende non solo opere d’arte, concetto a cui ormai si associano automaticamente, ma anche video, foto, GIF, testi, articoli, audio, di cui uno dei casi più famosi è il primo tweet del CEO di Twitter, Jack Dorsey, venduto per 2,9 milioni di dollari.
I Non Fungible Token sono letteralmente dei “gettoni digitale non fungibili”, ovvero non riproducibili, in pratica pezzi unici che non possono essere né replicati né sostituiti e identificano perciò un prodotto digitale creato su internet in modo univoco e sicuro. Ciò significa che ogni NFT è come se avesse la firma dell’autore, una garanzia di originalità e unicità.
Ma com’è possibile garantire la tracciabilità dei trasferimenti, la trasparenza e verificabilità di questi “oggetti digitali”? È possibile grazie alla blockchain: un registro digitale condiviso e immutabile dove vengono memorizzate le transazioni di dati che non possono essere alterati, manipolati o eliminati, proprio come se fosse il registro universale di un notaio.
Ora, va da sé che chi acquista un NFT non acquista un’opera fisica, ma si garantisce la possibilità di rivendicare un diritto su quell’opera, attraverso un protocollo informatico che verifica l’esecuzione di uno “smart contract”. Per realizzate un’opera NFT, l’artista deve salvarla in formato digitale identificandola con una stringa di numeri, detta hash. Questa hash viene poi memorizzata in una blockchain e l’NFT mantiene al suo interno le tracce delle vendite dell’hash, fino al creatore che ha passato di mano l’opera la prima volta. E qui arriva il problema. Sì perché per mantenere questo enorme archivio virtuale è necessario un dispendio di energia elettrica inimmaginabile, con un conseguente impatto ecologico notevolissimo, un sistema che mette in ulteriore difficoltà un pianeta già in crisi.
Da questa riflessione nasce l’azione di Vincenzo Lipari, che ha ironicamente e polemicamente ribattezzato l’acronimo NFT come “Needed Failing Technology”. Al suono di “davvero l’arte ha bisogno degli NFT?”, ha deciso di intraprendere un’operazione provocatoria, che vuole far riflettere e spingere a chiedersi se forse non sia meglio ripartire dalla nostra essenza umana per firmare le opere d’arte. “Siamo libri di sangue scriveva/cantava Frankie Hi-nrg Mc, quando vogliamo aiutare il prossimo ‘diamo il sangue’ letteralmente come donatori o in senso figurato, e il sangue da sempre ci rappresenta anche come ‘firma’ biologica e allora ho deciso di firmare il mio ultimo quadro su tela titolato ‘La perfezione e l’equilibrio degli spazi’ con un’impronta digitale, sì, ma nel senso d’impronta del mio pollice impressa con il mio stesso sangue!” – afferma Lipari. “Nessuno spreco di energia elettrica, nessuna delega fideistica ad algoritmi e macchine che già invadono e condizionano le nostre esistenze in maniera pre-potente, nessun bit, nessuna tecnologia fine a sé stessa ma … SANGUE che indissolubilmente è legato alla mia stessa essenza biologica (e lo sarà anche dopo la mia stessa esistenza)”.
Abbiamo intervistato Vincenzo Lipari per sapere di più della sua operazione artistica anti-NFT.
Vincenzo, la tua azione anti-NFT si è concretizzata nella firma di una tua opera con il tuo stesso sangue: un’operazione che ha già illustri precedenti nella storia dell’arte, uno su tutti il caso di Jan Fabre. Il tuo obiettivo però era porre l’attenzione su una questione scottante…
Infatti. Ho voluto realizzare una mia opera d’arte, un quadro, che rappresenti il rapporto tra l’uomo e il concetto di arte nel rispetto del pianeta e che nella sua stessa firma -fatta di sangue- ponga in maniera drammatica e provocatoria la necessità che ha l’arte contemporanea di umanesimo e anima pop, nel senso di una sua comprensibilità. Volevo spingere le persone a chiedersi se fosse davvero necessario ricorrere ad una soluzione così energivora e anti-ecologica quale quella degli NFT.
Cosa ti ha spinto a questa operazione provocatoria?
Ho osservato nell’ultimo periodo una crescente proiezione nel mondo dell’arte degli NFT e, incuriosito, mi sono interessato a questo meccanismo per cercare di comprenderlo a pieno e capire il suo funzionamento. Quello che ho capito informandomi a fondo è che è un sistema che implica un dispendio energetico che non ci possiamo permettere e di cui non vedo assolutamente la necessità. Ritengo serva una maggiore coerenza d’azione rispetto ai messaggi universali che alcune opere vogliono mandare al mondo. Inoltre, non è solo il sistema NFT che fa di qualcosa un’opera d’arte; credo sia piuttosto un sistema per darsi merito o per creare guadagno e vorrei che questo messaggio arrivasse a più persone possibili.
Dunque sei contrario agli NFT non solo per una questione ambientale, ma riguarda anche il valore dell’arte?
Certamente. Solo perché qualcosa si chiama NFT non significa che abbia un valore artistico; oramai chiunque conosca il sistema di creazione di NFT pensa di poter essere un artista e vendere un “prodotto artistico”. Non è assolutamente così.
Vincenzo, a chi speri che arrivi il tuo lavoro?
Dedico questa opera ai giovani che ancora preferiscono un tuffo nella baia del Quercetano – a pochi passi dal mio studio – a una mattinata da passare davanti a uno schermo digitale, a coloro che ancora si fanno delle domande e sono pronti a mettere in discussione le risposte insieme ad altri umani, ai media ai quali affido questo ‘message in a bottle’ fragile, fragilissimo ma fluido e ricco di ‘sostanza’ come il sangue di tutti noi.
Vincenzo Lipari
Vincenzo Lipari è un artista toscano che realizza installazioni artistiche ispirate a opere d’arte classiche e ad elementi della natura. Le sue opere sono delle led-box concepite e prodotte in digitale su monitor, creando concettualità cromatiche con luminescenze elettroniche, extra statiche e realtà visionarie.
Vincenzo porta avanti il Progetto RAI – Recupero Artisitico Italiano-. Il suo obiettivo è tramandare un codice estetico identificativo culturale che non si deve perdere, aiutandoci sempre a riconoscere cosa ci appartiene, anche tramite l’uso di nuovi mezzi tecnologici.