Obihall Firenze: il 27 aprile arrivano gli Zen Circus.

Tornano gli Zen Circus con “Il fuoco in una stanza”, tra catene da spezzare e legami indissolubili.

Il rischio di scrivere di un disco che ti ha steso al tappeto è di deluderti prima che di deludere. È’ come quando da adolescente custodivi gelosamente quelle due e tre cose identitarie che ti sembrava parlassero solo a te e unicamente di te, per cui per niente al mondo avresti rischiato di sciuparle, diffondendole tra animi non altrettanto sensibili e supponenti.
Crescere, invece, è forse il superamento delle delusioni, il coraggio di scandagliare le profondità, anche rischiando di essere fraintesi e farsi megafono di quel piccolo e banale mondo di dolore che alla fine è maledettamente uguale a quello di tutti gli altri. E così “Il fuoco in una stanza”, ultimo disco di The Zen Circus, storica rock band pisana, ci parla di quel calore del focolare domestico che è sempre sull’orlo di divampare in incendio e travolgere e devastare tutto. A salvarci e a immobilizzarci le catene del titolo del primo singolo, quei legami che saldano indissolubilmente l’uomo al resto del mondo, da cui nel bene e nel male non può prescindere né tanto meno sfuggire chiudendosi in una stanza. E questo passaggio dal dentro al fuori, si realizza compiutamente senza perdere neanche un pezzo, ma anzi tenendo tutto e tutti insieme, famiglia, amici e amanti, come anelli di catene invisibili della vita da spezzare o a cui tenersi stretti per non perdersi.

La raccolta, che contiene 13 tracce inedite, riesce nel miracolo di dare voce alle istanze più intime dell’ultimo Appino solista, voce e chitarra del gruppo, in una forma collettiva che per nulla tradisce la natura anche più irriverente degli Zen, seppur conservando nella narrazione quel sano cinismo che è la cifra stilistica del trio toscano (Appino, Karim e Ufo), divenuto quartetto con il maestro Francesco Pellegrini. Manca al solito il lieto fine e sparisce dalla stanza il cielo rassicurante di Gino Paoli, in perfetta continuità con il disincanto del penultimo lavoro “La terza guerra mondiale”, ma forse con meno cattiveria e oserei dire più umanità.

Mai compiacenti e rassicuranti, gli Zen, infatti anche stavolta non fanno nulla per illudere o imbonire il loro pubblico, anch’esso cresciuto e cambiato insieme a loro. Cantano della stagione del dolore con rinnovata maturità, a conferma che invecchiano anche i musicisti e lo fanno bene, rimanendo se stessi e accettando che tutti noi siamo la somma degli incontri fatti sinora nelle nostre vite. Lo si capisce subito anche dalla copertina dell’album, che ritrae una ragazza allo specchio, dentro il quale si scorge il riflesso delle ombre più o meno ingombranti dei suoi familiari. Accanto alla tematica delle relazioni dolorose e intermittenti, della solitudine, dell’amicizia, del tempo che passa, presenti in brani come “Catene, Il fuoco in una stanza e Sono umano”, c’è anche il pensiero della morte, sempre esorcizzata con grande ironia dagli Zen, che torna nel Mondo che vorrei, un pezzo visionario che richiama i più fancazzisti Rosso e Nero e Panico. La penna di Appino, sempre più affilata e precisa, riapre e ripulisce vecchie ferite per raccontare in modo scarno ma tagliente la seconda fine dei vent’anni, senza nascondere responsabilità, fragilità e limiti. A livello musicale salta agli occhi la clamorosa virata pop che si accompagna alla ricerca di un suono meno immediato ed estemporaneo ma più accurato, specialmente in fase di registrazione.
Si intuisce che c’è stato un lavoro certosino in studio, che fa risultare il disco a tratti quasi monumentale per la presenza di alcuni pezzi orchestrali quasi da cantautorato anni 60.
Caro Luca, per esempio, sembra un omaggio a L’anno che verrà di Dalla, in continuità e in rottura con il passato, mentre altri pezzi, come “Questa una canzone”, sono un’assoluta sorpresa per la delicatezza e la profondità di testi e suoni. Resta da scoprire come suonerà il disco dal vivo. Aspetteremo di vedere gli Zen, sempre spettacolari e coinvolgenti nei live, spaccare tutto sul palco dell’Obihall di Firenze il prossimo 27 aprile.
Linda Fineschi