Amici Miei, 50 anni dall’uscita del film capolavoro di Mario Monicelli

Amici miei

Nel 1975, usciva nelle sale cinematografiche “Amici miei”, considerata a ben vedere una delle pellicole più rappresentative del cinema italiano degli anni ‘70.

Ideato da Pietro Germi e diretto da Mario Monicelli, il film racconta le vicende di quattro inseparabili amici toscani che affrontano i propri disagi e malinconie architettando scherzi esilaranti ai danni di ignari malcapitati.

Oltre ad essere una divertentissima commedia ambientata nella suggestiva cornice fiorentina, Amici Miei regala una profonda analisi dell’esistenza umana e dell’incrollabile valore dell’amicizia. Sarà per questo motivo che, a distanza di tanti anni, il film risulta essere ancora estremamente attuale, pur offrendo uno spaccato nostalgico di un’Italia (e di un’italianità) che ormai non esiste più.

Cinque “bischeri” e i loro drammi esistenziali

Protagonisti del film sono il conte Lello Mascetti (Ugo Tognazzi), l’architetto Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), Guido Necchi (Duilio Del Prete) e il professor Alfeo Sassaroli (Adolfo Celi), ognuno dei quali vive differenti disagi e turbamenti generati dalla sterile e dura “vita adulta”. Unica via di fuga per i cinque sono le cosiddette “zingarate”. Ed ecco che tra una mano di blackjack e una partita di biliardo nel retro del bar Necchi, architettano scherzi e burle per allontanarsi dalla noiosa e fredda quotidianità.

L’intero film, peraltro, è costruito in modo tanto brillante da rendere la disperazione dell’uomo moderno un elemento di estrema comicità e, inoltre, da offrire agli spettatori una profonda e commovente riflessione sulla vita, l’amicizia e su una più moderna attuazione del celebre “carpe diem” oraziano. Lo stesso Gastone Moschin ha rivelato, dopo l’uscita del film, che moltissime delle gag e degli scherzi prodotti dai quattro amici sono stati ispirati da storie e racconti reali di personaggi del sottosuolo fiorentino.

Battute e gag che ormai sono cult

Come se non bastasse, la pellicola di Monicelli ha consacrato alla storia alcune battute ed espressioni che sono ormai diventate di uso colloquiale, persino tra coloro che non hanno mai visto il film. Un esempio è proprio la geniale “supercazzola”, utilizzata sapientemente dal conte Lello Mascetti per mandare in confusione i malcapitati interlocutori. Difficile dimenticare la performance canora degli amici nelle vesti dei “cinque madrigalisti moderni” (“Ma vaffanzum…”).

Allo stesso modo è diventato un vero e proprio “meme” moderno l’espressione di Tognazzi: “Figli e grulli, chi li fa se li trastulli”, utilizzata nel momento in cui il conte Mascetti restituisce il figlio all’amico Perozzi. Le innumerevoli gag prodotte dai cinque bischeri, insomma, sono così ben costruite e tanto credibili che rimangono immediatamente impresse nella memoria di tutti gli spettatori. Che questo film riesca ancora a strappare risate sincere, dati tutti questi elementi, non sembra affatto un mistero.

Una pietra miliare del cinema italiano

Il genio di Pietro Germi e di Mario Monicelli è riuscito a produrre una commedia dolce amara che ha ancora la capacità di divertire, di commuovere e di spingere a profonde riflessioni sulla nostra esistenza. E a distanza di quasi 50 anni anche noi, come il Perozzi, ci chiediamo se gli imbecilli sono quelli che la vita la pigliano tutta come un gioco, o se invece lo sono quelli che la vivono come una condanna ai lavori forzati.