A novembre 2023 Andrea Appino ha pubblicato il concept album Humanize: 72 minuti, 23 tracce, 14 canzoni e 9 comizi d’umanità. Dall’origine alla chiusura del progetto, dalle interviste ai flussi sonori, abbiamo incontrato il cantante degli Zen Circus per parlare del suo ultimo progetto solista.
Andrea Appino gira il pomello di una vecchia radio avanti e indietro. A tratti prende, a tratti no. Sfrigola. Frigge. Emette un rumore metallico. La voce della conduttrice va e viene, salta completamente, crea un’attesa rotta improvvisamente dalla musica di una canzone. Il campionario di suoni che copre lo spettro delle frequenze è variegato. Contraddittorio. E se fosse questo il suono dell’umanità?
L’indagine di Appino comincia nel 2015, alla fine del tour di “Grande Raccordo Animale”, secondo album da solista. Inizialmente lo odia; col tempo, imparerà a volergli bene. Da quell’esperienza, Andrea promette a sé stesso di non comporre più brani in modo istintivo. Comincia quindi a lavorare al nuovo progetto con un approccio diverso: «Volevo fare un audio documentario sull’umanità, sulla falsa riga di “Comizi d’amore” di Pasolini. Fare domande alle persone, registrare le risposte. Così ho cominciato da amici e parenti; dopo due anni, avevo già collezionato numerose interviste. Ho poi immaginato di far dialogare il documentario con dei paesaggi sonori e alcune canzoni, che ho scritto ispirato dalle interviste».
“Humanize”.
“Humanize” nasce dopo una gestazione di 8 anni, gli ultimi 3 dei quali trascorsi nel nuovo studio di Andrea, che ha ospitato quest’intervista. «Quando mi sono spostato qua ho cominciato ad avviarmi verso la conclusione del progetto, che ha assunto la forma definitiva in corso d’opera». Rispetto a Grande Raccordo Animale è un disco progettuale, simile all’album d’esordio di Andrea, “Il Testamento”. Ha curato ogni dettaglio, assumendosi il rischio di restare un po’ indigesto ad alcuni fan degli Zen Circus, abituati a composizioni più emozionali: «Alcuni di loro storceranno un po’ il naso perché non troveranno nessuna emotività. Nonostante sia un disco che parla di umanità, ho scelto di cosa parlare e quando farlo, perché e in che modo: freddo e calcolato, pare essere un album un po’ disumano. Di solito nelle canzoni io uso come espediente i fatti miei per parlare di qualcos’altro, e magari i testi arrivano proprio da un giramento di coglioni. Questo lavoro no: mi sono obbligato a non fare come con gli Zen Circus. Ora come ora lo odio: un passaggio che ho già vissuto anche con altre pubblicazioni. Credo anche che quando lo riascolterò — fra un bel po’ — sarò contento delle scelte che ho fatto. Ci vorrà del tempo per metabolizzarlo, mi rendo conto che è un album impegnativo. Intanto quando mi dicono che il disco è bello, io chiedo: “Ma l’hai sentito tutto?”».
Per chi ascolta l’intero lavoro senza interruzioni, ogni traccia compone il pezzo di un grande mosaico. Le interviste offrono angolazioni diverse su alcuni grandi temi della vita dell’essere umano, come la morte e l’amore; i testi raccolgono e sintetizzano gli spunti degli intervistati, mettono una bussola nella mano dell’ascoltatore e sviscerano una tematica dopo l’altra; la musica disegna la trama di quest’universo di parole e crea il contenitore ideale per raccontare il rumore dell’umanità. Come in una pellicola, minuto dopo minuto “Humanize” crea una cornice di significato intorno a ogni argomento.
«Come mai» — chiedo ad Andrea — «hai sentito l’esigenza di immergerti in mezzo alle persone per indagare sulla condizione umana?» «È una dimensione che già conosco: l’abbraccio ogni volta che suono con gli Zen Circus, quando entro in contatto con tanta gente. Volevo provare a fare la stessa cosa, togliendomi però dal centro. Con il materiale che abbiamo raccolto io e Davide Barbafiera (suondscape designer, musicista e attore, ndr) potremmo fare altri 4/5 lavori». Quando si pongono certe domande alle persone (provenienti dai contesti più disparati), è importante sospendere il proprio giudizio per non inquinare le risposte degli interlocutori. «È difficile?» — chiedo ad Andrea. «È stato abbastanza semplice: anche se ho un carattere affettuoso, in quei momenti divento anaffettivo. La missione era di portare a casa una parte d’umanità quanto più possibile scevra dalla mia visione. Sono diventato invisibile e ho scoperto che questa parte mi riesce bene, tanto da spaventarmi un po’. Però alcune delle interviste più pesanti non le ho fatte io: nei centri psichiatrici è andato Davide, io ho ascoltato le registrazioni. Non so come avrei potuto comportarmi in quelle situazioni».
Un album di così ampio respiro ha trovato il suo centro nello studio di Andrea, intimo e essenziale. Questo piccolo spazio ha dato un contributo determinante alla parte sonora di “Humanize”: «L’ho messo su per mixare l’album. E poi ci posso vivere la mia solitudine, per me necessaria a scrivere testi — ma non di questo lavoro che, come ti ho detto, nasce in modo calcolato ed è figlio di letture e riflessioni. È antropologia allo stato puro».
Concept album.
Al giorno d’oggi, pubblicare un concept album è una scelta coraggiosa. Richiede al fruitore un ascolto profondo, in controtendenza alle comuni abitudini di consumo dei prodotti musicali. Ogni canzone è legata all’altra, temi e riflessioni si sviluppano nel corso di tutte le canzoni. Se da un lato possono essere percepite come opere “pesanti”, dall’altro alcuni concept hanno segnato la storia recente della musica italiana: basti pensare a “Storia di un impiegato” di Fabrizio De André o a “Burattino senza fili” di Edoardo Bennato. Altri tempi, si dirà. Può darsi, ma il quadro che restituisce “Humanize” è figlio di un approccio che si sposa perfettamente con questa dimensione. In un percorso che va dalla prima all’ultima traccia, ce n’è una che è la chiave dell’album?
«No»— risponde sicuro Andrea. «Però per me ce n’è una che ha un significato diverso dalle altre: è “Del nostro avvenire”. Ha segnato l’inizio della chiusura del disco. “Del nostro avvenire” e “Ora”, prima e ultima canzone, sono quelle che più restituiscono il senso di viaggio lungo tutto l’ascolto. Viviamo in un periodo di fruizione immediata di qualsiasi cosa, ed è normale che la musica non faccia eccezione: io stesso sono un amante delle canzoni di due minuti e dei singoli. Però alcuni concept album, italiani e stranieri, mi hanno cambiato la vita e mi ha sempre esaltato l’idea di farne uno. Se al giorno d’oggi in Italia ne pubblichiamo pochi, probabilmente è perché non interessa farlo. Quando stavamo per annunciare l’uscita di “Humanize”, ho pensato che la sua forma avrebbe potuto destare qualche interesse: invece no, non è fregato a nessuno. Ma il problema non è fare o non fare dischi di questo genere. Il punto è quanto abbiamo voglia di fare cose che non siano hype, che non siano di successo. Io sono felice di aver scritto un concept».
Andrea Appino: «La musica? Un punto fermo».
“Il Testamento” risale al 2013. “Grande Raccordo Animale” arriva nel 2015. Otto anni dopo, è la volta di “Humanize”. «Sono invecchiato. E sono cambiato» — riflette Andrea Appino. «Sono cambiate mille cose intorno a me. Ma tante altre sono rimaste le stesse. La musica è una di queste. Un punto fermo». Se la musica è una certezza, quanto è importante sapere come il pubblico accoglierà i nuovi brani? «È una questione annosa. C’è sempre una parte narcisistica che chiede di essere soddisfatta. E forse non c’è niente di male: basta che non sia patologica. Del resto facciamo musica anche per comunicare con gli altri, è normale tenere in considerazione il pensiero della gente. Soprattutto quando un pubblico comincia a seguirti, ci pensi ancora di più a come reagirà. Fino a questo momento, le reazioni che ho accolto dalle persone su “Humanize” sono “a freddo”: presentazioni a parte, non ho avuto nessun contatto diretto con la gente. Dopo aver suonato e cantato le canzoni dal vivo, assumeranno un’altra dimensione».
Andrea Appino in tour.
Sarà un tour live prog, fra canzoni nuove e di repertorio riarrangiate, con maschere e un’importante dimensione psichedelica ad accompagnare lo spettacolo. E una band da urlo: Matteo D’Ignazi alla batteria, Valerio Fantozzi al basso, Davide Barbafiera ai campionatori e moog e Fabrizio Pagni alle tastiere. Un viaggio che si snoda lungo tutta la discografia di Andrea: «L’idea è quella di innestare le vecchie canzoni su quelle nuove. Se con gli Zen Circus è tutta una chiacchierata con il pubblico, in questo tour sto pensando di non dire neanche una parola, anche se non sono convinto di riuscirci. Ci sarà tanto jazz, hip hop e prog. Non vedo l’ora!»
La radio prende, a tratti meglio a tratti peggio. Dopo l’intervista, capisco ancora meglio cosa abbia visto Andrea Appino dietro ai suoni delle radiofrequenze: «Un giorno, mentre ero in macchina, cambiavo stazione girando il pomellino di una vecchia radio: lo sfrigolio di alcune frequenze mi ha ispirato il suono di “Humanize”. Un suono simile a quello del Voyager Golden Record. Un gran casino di rumori, fruscii, suoni diversi. Però è un bel rumore. Che mi fa stare bene».