Antonello Sardi, la Bottega del Buon Caffè

antonello sardi

Antonello Sardi, fiorentino doc, grande passione, sacrificio e formazione continua per lo chef stellato della Bottega del Buon Caffè.

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Buongiorno Antonello, raccontaci i tuoi inizi nel mondo della ristorazione.

Sono entrato nel mondo della ristorazione a 26 anni, un po’ per passione un po’ per curiosità. All’epoca lavoravo per un’azienda di audiovisivi, ma sentivo che non faceva per me. Così lasciai tutto per provare a fare della mia passione un lavoro. Iniziai come lavapiatti. Furono anni di grandi sacrifici: c’erano ragazzi molto più competenti di me. Per compensare, andavo spesso a lavoro prima in modo da assistere a qualche preparazione. Piano piano sono cresciuto. Ho iniziato a fare il commis, lavorando in qualche trattoria di Firenze. La prima posizione importante l’ho ricoperta al Fuor d’Acqua. Ero cuoco e capo partita. Ho imparato davvero molto. D’altronde, in quel ristorante c’era molto da fare: dalla sfilettatura del pesce, alla gestione delle celle, a diverse preparazioni con pesce crudo.
La mia più grande esperienza formativa è stata lavorare per Enrico Bartolini a Milano. Questa collaborazione mi ha insegnato praticamente tutto quello che so. Ho lavorato con Enrico tre anni, poi abbiamo deciso di aprire un locale in Val d’Orcia, il Perillà, che quest’anno è stato insignito di una stella Michelin. Due anni incredibili, l’azienda proprietaria infatti sperimentava molto in campo biodinamico con salumi, vini, fiori, oltre a produrre pane a lievitazione naturale.
Dopo questa esperienza sono tornato a Firenze. La Bottega del Buon Caffè era in via Pacinotti e la famiglia Gasbarro era intenzionata a venderlo. Così, in poco tempo ho conosciuto la nuova proprietà, la stessa del Relais Chateaux Borgo Santopietro a Chiusdino, che ha trasferito la Bottega nei nuovi locali, nella bellissima cornice del Lungarno Benvenuto Cellini 69r.
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Cosa ti affascinava di Enrico Bartolini?
Lo ammiro molto, sia per il palato che per il gran successo dei suoi ristoranti. È un gran intenditore delle materie prime, per me è il “gran maestro”, e da lui ho imparato soprattutto il “gusto”. Ho lavorato per molto tempo nel 12-24 dell’Hotel, non nel Devero, il ristorante stellato. Questa scelta mi lasciò un po’ perplesso inizialmente, poi Enrico mi spiegò che se avessi lavorato al Devero, avrei solamente eseguito ricette studiate nei dettagli da lui, ma non avrei appreso né creato alcunché di mio; nella posizione in cui ero, avevo l’occasione invece di imparare a cucinare davvero. Ex post riconosco che questa scelta fu determinante per la mia formazione.
Qual è stata la molla che ti ha spinto a cucinare?
Ho iniziato a cucinare per gli amici, non senza disastri. Uscivo sempre prima da lavoro per far la spesa, studiarmi qualche nuova ricetta su internet. La molla è stata la voglia di cucinare. Era ed è la mia passione e volevo fosse il mio lavoro. Serviva un po’ di coraggio, un po’ di incoscienza e tanta buona volontà.
Come definiresti la tua cucina?
Cerco di fare una cucina semplice, ben fatta, comprensibile dai clienti, con una base essenzialmente tradizionale. Allo stesso tempo, non smetto di provare nuove tecniche e abbinamenti o contrasti particolari. La proprietà fortunatamente ha sempre accolto con interesse questi miei tentativi, sostenendoli senza remore. Diversi sono gli stage che ho fatto proprio con l’obbiettivo di apprendere tecniche nuove e di innovare la mia cucina, gli ultimissimi in Danimarca e a Londra.
Quanto contano le materie prime nella tua cucina?
Molto. L’azienda mi chiede sempre di usare materie prime di altissima qualità, oltre a fornirmi direttamente il 60-65% delle verdure, rigorosamente biologiche. Quest’anno inoltre sono stati acquistati nuovi terreni e un caseificio, quindi da poco offriamo ai nostri clienti pecorini fatti da noi, con latte biologico.

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Qual è il vostro cliente tipo?
Lavoriamo molto con i turisti. La posizione del locale aiuta molto: si trova fuori dalla ZTL ma abbastanza vicino al centro. Non mancano nemmeno i fiorentini, anche molto giovani. Al giorno d’oggi l’attenzione per il mondo gastronomico è altissima e i ragazzi sono sempre più curiosi di capire come funzionano una cucina e un ristorante nella pratica. Oltretutto, la cucina a vista non solo assicura una certa trasparenza al cliente, ma è anche una forma di attrazione per gli avventori.
Che rapporto hai con i ragazzi che lavorano per te?
Non sono il tipo chef che urla e riprende platealmente i propri collaboratori durante il servizio. Al termine, è normale correggere certe incertezze e riprendere per gli eventuali errori commessi. Al momento però non ce n’è bisogno: abbiamo una équipe ben amalgamata, formata da giovani competenti e molto appassionati. Non posso negare che ci siano stati periodi più duri, in cui gli errori ricorrevano spesso, e io ho dovuto essere più severo. Il mio ruolo lo richiede ma ho sempre cercato di aumentare la pressione e responsabilizzare i ragazzi, senza mai alzare troppo e inutilmente i toni.
La regola è trattare tutti con educazione, dal lavapiatti allo chef. Per me l’umiltà in cucina è fondamentale.

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Quando hai cominciato, Firenze era una città dove primeggiava la cucina toscana tradizionale e pochi erano i ristoranti stellati. Com’è cambiata la città in questi anni?
Il cuore di Firenze è ancora tradizionale, e chi viene a Firenze cerca la tradizione. Diverse persone mi hanno chiesto di rivisitare i grandi piatti della tradizione toscana, ma non ho mai voluto farlo. Una ribollita, una pappa al pomodoro, un panino con il lampredotto sono piatti che vanno serviti in una location tradizionale, da un cameriere che va poco per il sottile, accompagnati da un buon fiasco di vino rosso… insomma, la fiorentinità deve essere percepibile nel servizio come nella cucina.
I turisti non ti chiedono piatti tradizionali però…
Il turista medio ha l’abitudine di andare a mangiare in ristoranti a Londra, a Parigi, New York e quindi non si aspetta un piatto semplice e tradizionale quando viene da noi. La maggior parte dei clienti sa esattamente cosa aspettarsi, anche perché al momento della prenotazione cerchiamo di introdurli alla serata che passeranno, parlando fin da subito di intolleranze, del nostro menù e delle tecniche che utilizziamo.
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Qual è il tuo piatto fiorentino preferito?

Ce ne sono diversi: il panino con il lampredotto, la ribollita, la bistecca alla fiorentina, la pappa al pomodoro… Non esco molto, avendo una bambina piccola preferisco le comodità della casa. Se decido di uscire, scelgo qualche trattoria toscana, dove la qualità è assicurata.

Quali sono i tuoi progetti per La Bottega del Buon Caffè?
L’obbiettivo è sempre quello di crescere e migliorarsi. Vorrei creare uno zoccolo duro di ragazzi appassionati e competenti che rimangano, per quanto possibile, a lavorare alla Bottega del Buon Caffè a lungo. Non è semplice: spesso questo lavoro ti porta a cambiare ristoranti continuamente.
Ai ragazzi più meritevoli è offerta l’occasione di fare degli stage formativi in vari settori, come faccio io per continuare a migliorare le mie tecniche. Cerchiamo insomma di sperimentare il più possibile, innovare e reinventarci sempre.
Quali sono i prodotti toscani che ritieni essenziali in cucina?
Senz’altro l’olio – i miei zii sono proprietari di alcuni olivi sopra Maiano, quindi fin da piccolo ho avuto la fortuna di utilizzare e gustare l’olio fiorentino. Ma anche le castagne e i marroni, che amo molto; e poi i funghi, i ceci, gli zolfini… insomma tutti i grandi prodotti del nostro territorio.
Secondo te la televisione ha cambiato la figura dello chef negli ultimi tempi?
Secondo me il ruolo dello chef è cambiato solo per gli occhi di chi non lavora in cucina. Ci sono diverse persone che si avvicinano a questo mondo senza nemmeno immaginare i sacrifici e la passione necessari per aver buoni risultati.

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Un consiglio per i ragazzi che vogliono intraprendere la tua stessa carriera?
Consiglierei per prima cosa di uscire dall’Italia, vivere la vita, far esperienze di vario genere e poi, appena si sentono pronti, concentrare tutte le loro energie nella carriera. È importante crederci, scommetterci sempre e impegnarsi molto. Questo è un lavoro meritocratico: se sei bravo, emergi!
Ti piacerebbe vedere la Bottega del Buon Caffè in un’altra città italiana?
No, io amo Firenze. E avere una stella Michelin qui, nella mia città, mi rende pieno di gioia e di soddisfazione per quello che sono riuscito a fare in questi anni.

Testo di Luca Managlia
Foto di La Bottega del Buon Caffè