Gennaro Autiero, in arte Antrasat, è un designer tra grafica, moda e visual art. Ha realizzato le cover di FUL magazine nel 2023 e in questa intervista lo facciamo conoscere meglio ai nostri lettori.
Campano, più precisamente di Torre del Greco, al centro del Golfo di Napoli, classe 1992, Gennaro Autiero, in arte Antrasat, è un designer indipendente, fiorentino d’adozione, creatore delle ultime quattro copertine di FUL Magazine, i cui disegni a tiratura limitata sono anche andati all’asta per sostenere della comunità di Campi Bisenzio, colpita dall’alluvione. Curioso a trecentosessanta gradi, appassionato di arte, cinema, musica, design e moda; il motore che lo tiene attivo e reattivo è la necessità di chiedersi il perché delle cose e ciò fa di lui un vero creativo fluido.
L’abbiamo intervistato per conoscerlo meglio e per saperne di più del suo lavoro e della sua creatività camaleontica.
Tu ti definisci “un designer indipendente con un background nel settore della moda applicato a varie aree del design, tra cui branding, grafica e arte visiva”. Puoi spiegarci qual è la tua formazione e qual è oggi la professione di Antrasat?
Ho studiato Design di Moda e Grafica allo IED di Roma e subito dopo la laurea nel 2015 sono stato assunto da un’azienda di moda, la Meltin’Pot, dove sono entrato come stagista, fino a diventare stilista, tra il 2018 e il 2020. In quel periodo l’azienda ha anche deciso di produrre un mio progetto personale che poi è stato preso da LuisaViaRoma. Quindi la mia formazione iniziale è stata nel campo della moda, che mi ha fornito un approccio al metodo creativo, valevole però in qualsiasi ambito di applicazione. Successivamente mi sono trasferito per un periodo a Milano e ho iniziato a lavorare come designer indipendente, non solo nel campo del fashion (l’ultima collezione l’ho disegnata l’anno scorso per un marchio francese), ma anche in quello del branding di prodotto, della grafica e della visual art, cosa che tutt’ora faccio, qua a Firenze.
Qual è il tuo processo creativo? E quali sono, se ci sono, le principali differenze che riscontri nell’applicare il design alla moda, alla grafica e all’arte visiva?
In realtà non credo ci siano particolari differenze; il processo creativo è pressoché lo stesso e non inizia al momento della realizzazione di un lavoro ma molto prima. È un qualcosa che sento come perennemente attivo e vivo, quella scintilla che mi spinge quotidianamente a guardarmi intorno e chiedermi il perché delle cose. Poi segue la ricerca e lo studio, una fase che solitamente mi richiede molto più tempo della realizzazione stessa del lavoro. E infine agisce l’impulsività, il momento in cui due più due non deve avere necessariamente come risultato quattro. Intendo dire che qui subentra il momento della creatività, dove sento il bisogno di essere il meno possibile didascalico e di lasciare spazio a conclusioni non scontate e rappresentazioni poco prevedibili. In questa fase ha una grossa importanza anche la componente visiva, per riuscire a creare qualcosa che appaghi appieno la vista. Quello che è effettivamente diverso tra lavorare nel campo della moda o della grafica è piuttosto la committenza, per cui quando creo un lavoro nel fashion devo necessariamente rispettare dei parametri che considerino dal committente al fruitore finale. Nel campo della visual art, invece, mi sento più libero e creo assecondando totalmente i miei gusti.
Ci sono delle figure di riferimento a cui ti ispiri nel design, nell’arte o nella moda?
Ovviamente ci sono, e sono tutte figure d’ispirazione proprio per il loro essere ibride e fluide. Penso a figure che sono attive nel campo della moda ad esempio, ma contemporaneamente anche in altri settori creativi, sempre con estrema coerenza. Un esempio che ti potrei fare è quello del fondatore di Off-White, Virgil Abloh, laureato in Ingegneria civile, con un master in Architettura all’Illinois Institute of Technology e anche designer, stilista e direttore artistico di Louis Vuitton, che si occupava di musica, ma aveva anche avviato una collaborazione con IKEA, rimanendo sempre coerente e riconoscibile. Ecco, rispetto a un creativo come lui, io non mi identifico tanto nel suo stile, quanto più nel tipo di mentalità, aperta a trecentosessanta gradi. Lo stesso vale per l’artista Daniel Arsham, scultore che si occupa anche di moda e di branding, Piet Parra, che ha ibridato perfettamente la sua arte visiva con il fashion o Hedi Slimane, la cui estetica fotografica è così chiara da essere chiamato come direttore creativo di Saint Laurent prima e di Céline poi. Per citarti altri nomi ancora, sicuramente la Scuola di moda dell’Accademia Reale di Belle Arti di Anversa è un riferimento importante, che mi ha avvicinato alla moda e ad oggi invece il collettivo israeliano Broken Fingaz, che adoro per il loro stile. Potrei farti tanti altri esempi, ma mi sento davvero in difficoltà a scegliere dei “riferimenti preferiti”.
Come definiresti il tuo stile? Quali caratteristiche senti come ricorrenti in tutti i vari campi a cui lo applichi?
Bella domanda, forse non c’ho mai riflettuto davvero. Se penso al lato strettamente visual mi viene da risponderti che è sicuramente uno stile allegorico, surreale, pop e a tratti anche critico se ho bisogno di lanciare qualche messaggio. Se cerco di espandere l’ottica anche alla moda, al branding e alla grafica, così di getto sono portato a dirti invece che ciò che più caratterizza il mio stile probabilmente è la ricerca di equilibrio, il bisogno di soppesare ogni elemento nella sua consistenza materica e visiva. E anche il bisogno di inserire ognuno di questi elementi, che si tratti di visual così come di moda o grafica, con una modalità specifica, in modo che tutto assuma un senso. Questo paradossalmente può dare un risultato che alcuni percepiscono come minimale e altri come sovrabbondante. L’altro elemento caratterizzante del mio stile è l’esito di quella parte di ricerca che, come ti dicevo prima, è sempre attiva e presente, indipendentemente da ciò che faccio e che ha come esito una grande ricercatezza e attenzione ai dettagli.
I tuoi lavori, e qui sto pensando soprattutto alle quattro bellissime copertine che hai realizzato per FUL Magazine, sono sempre intrisi di tantissimi dettagli e particolari che, oltre ad arricchire visivamente l’opera, ne costruiscono il substrato di senso. Quello che mi ha colpito di più delle tue opere è che tu riesci a ricreare visivamente anche un immaginario molto complesso, elevando singole immagini ad allegorie e concetti complessi. Puoi spiegarci come nascono i tuoi lavori?
Be’, innanzitutto se mi sto ispirando a un luogo preciso, come nel caso delle copertine di FUL che rappresentano i quattro quartieri storici di Firenze con le loro piazze, mi reco fisicamente sul posto alla ricerca di qualcosa che mi smuova emotivamente e che susciti il mio interesse e la mia curiosità. Pensando al visual quindi mi sento molto libero di far nascere un progetto nella maniera più spontanea possibile, cosa che negli altri settori mi risulta molto più complesso, dovendo rispondere solitamente a una committenza e a un obiettivo preciso. Successivamente inizia la fase di ricerca e di studio vera e propria, partendo dalle fonti, su cui poi si muove la creatività.
Qual è finora tra i tuoi lavori quello che hai amato di più e perché?
Sicuramente ho un legame particolare, che definirei di tipo affettivo, con i primi lavori che ho realizzato sia nella grafica che nella moda che nel visual perché in quei primi lavori ho inconsciamente gettato le basi del mio stile, quella che definisco come la mia comfort zone. Ma allo stesso tempo potrei dirti che forse sono gli ultimi lavori quelli che ho amato di più perché in quelli vedo un passo in avanti, dei nuovi sviluppi e nuovi possibili esiti che mi danno soddisfazione, anche se solitamente dura poco tempo, poi inizia il pensiero autocritico, volto a cercare di capire come fare meglio.
Cosa ne pensi del lavoro “creativo” al giorno d’oggi? Trovi delle difficoltà a vivere facendo della tua arte la tua professione?
Ovviamente le difficoltà nel lavorare come creativo ci sono, ma sinceramente me la vivo bene perché so che se non facessi quello che faccio sarei tremendamente infelice.
Come ti immagini tra dieci anni? Quale vorresti fosse il futuro lavoro di Antrasat?
Esattamente quello di adesso ma più in grande. Mi piacerebbe avere uno studio mio, in cui le persone possano venire a ricercare lo stile di Antrasat, a livello di arte, grafica, prodotto o moda, selezionando sempre un po’ di più quello che mi interessa realmente sviluppare, in cui inserire il mio stile mantenendo viva la mia libertà espressiva.
Illustrazioni di Antrasat