L’architettura secondo Claudio Nardi

L'architettura secondo Claudio Nardi

Una visita nello studio fiorentino del celebre architetto per una conversazione sulla banalità, la responsabilità, l’intuizione, l’identità e la mutevolezza. Breve intervista sulla traccia di un’adesione critica al moderno.

Mi trovo al Riva Lofts Hotel di Firenze, opera dell’architetto Nardi, in via Bandinelli, una domenica di sole: un rifugio urbano inatteso, gioiello incastonato nel magico quartiere dell’Isolotto, un luogo defilato e intimo, che affaccia sul verde e sul fiume, tra loft sviluppati in volumi diversi e articolati, accostamenti di vecchio e nuovo, materiali diversi, un filo diretto con l’acqua e la natura circostante, con piscina per l’estate e caminetto per l’inverno.

Claudio mi riceve con cordiale ospitalità e racconta con gentile pacatezza un percorso di grande successo, lambendo i chiaroscuri di un mestiere nobile e antico iniziato già durante il periodo universitario collaborando con Carlo Scarpa (maestro tra i più importanti del XX secolo) per la realizzazione di un progetto a Firenze, città in cui si è laureato e in cui ha fondato successivamente il suo studio.

«Ho compreso tardi che la collaborazione con Scarpa aveva lasciato delle forti tracce, radicandosi profondamente nella mia esperienza lavorativa. Sono stati fondamentali il lavoro con gli artigiani – una realtà produttiva che non è ancora industria, ma che è creata da persone che conoscono e accarezzano la materia e la tecnica e che diventano quasi coautori del progetto – e quel mediterraneo umanizzato e costruito del razionalismo ante litteram nato dalla percezione, tra conoscenza e istinto, dei valori di natura, funzione, materia, luce…»

Claudio Nardi realizza una carriera straordinaria lavorando tra l’Italia e il mondo, con importanti risultati professionali raggiunti grazie ad architetture, elementi di design e arredo.

La sua opera architettonica comprende progetti culturali, civili, progetti residenziali e legati all’ospitalità. Tra i progetti: il lavoro per importanti aziende italiane di moda (Dolce&Gabbana, Gianfranco Ferré, Valentino, Tod’s e Luisa Via Roma); il MOCAK – Museo di Arte Contemporanea di Cracovia, costruito dentro e intorno alla ex fabbrica di Oscar Schindler, che ha vinto numerosi premi a livello internazionale –, la sede della Casa Editrice Mandragora, il concept-restaurant La Mènagére, così come molte residenze private: opere citate in una serie di pubblicazioni di grande prestigio.

Inizio chiedendogli se nell’epoca in cui viviamo abbia ancora senso parlare di bello e brutto, e Claudio Nardi mi risponde che: «In questa epoca di relativismo, bello e brutto non hanno più riferimenti con canoni, codici o parametri. Questa mancanza di paradigmi e questa opinabilità su cosa sia bello e cosa brutto, ha autorizzato il pensiero acritico ma soprattutto la mancanza di pensiero. Quello che si è creato in realtà è una totale e quotidiana disattenzione. Nel momento in cui ti trovi circondato da un ambiente inguardabile – anche invivibile, ma soprattutto inguardabile – percepisci che è invivibile per degli effettivi disagi nel viverlo, ma il fatto che sia inguardabile non produce più nessun turbamento. Durante gli anni passati a Cracovia, anche per il MOCAK, ho potuto sentire in quel grigio quartiere ex industriale con fabbriche, laboratori, palazzi di epoca socialista, una potenza espressiva fortissima e ho pensato che quel grande intervento (un museo di 11mila metri quadrati) avrebbe potuto innescare un processo virtuoso di rilettura e acquisizione di nuova identità delle architetture esistenti, brutte e grigie, ma anche profonde e avrebbe potuto diventare un vocabolario ricchissimo di emotività, di storia, di tracce. Ovviamente è stata scelta una certa banalità del nuovo: il “male” sta in quello, nella banalità; quasi tutti quegli edifici preesistenti sono stati sostituiti da moderni condomini, comodi, carini e con debolissima identità, mancando l’essenziale.»

Per l’architetto Nardi, il valore di un luogo sta tutto nell’identità costituita da gesti che non sono dettati soltanto dalla praticità o dall’immediatezza, ma anche dalle vite precedenti, dalle emozioni, e dalle storie che si vogliono raccontare.

Com’è possibile riattivare il bisogno della percezione dell’architettura? L’architetto Nardi ci ha provato recentemente, tramite uno strumento che utilizza una tecnica subliminale, il cinema. «All’inizio del 2020 ho messo in piedi una rassegna di cinema e architettura, in qualità di membro dell’Accademia delle Arti e del Disegno, con una serie di titoli che abbiamo proiettato al Cinema della Compagnia e all’Istituto Francese. La locandina di questa rassegna era Casa Malaparte, un pezzo di architettura celeberrimo. Uno dei film chiave per raccontare quello che avevo in mente era Le Mepris di Godard, girato a casa Malaparte: un film dove la storia è condizionata dall’architettura. L’assunto è: quella storia, in un altro contesto, sarebbe stata una storia diversa; se riesci a capire che l’architettura e i luoghi nei quali ti muovi hanno un potere nello svolgersi di quell’evento e di quella storia, capisci che non puoi non tenerne conto. Impari a percepire i luoghi nei quali vivi come percepisci i segnali del corpo. Un livello di percezione fondamentale che però non viene più praticato né compreso. La rassegna aveva come obiettivo quello di gettare un piccolo seme.»

Ma continua Nardi: «Se ti viene conferito un incarico dovresti avere l’intelligenza, la qualità, il talento, la sensibilità per dare una interpretazione, altrimenti ti fermi a un livello pressoché analogo a quello di cui è già capace l’intelligenza artificiale. Un autore deve dimostrare di esserlo ed essere capace di adeguare il suo racconto al contesto, alla funzione, al tipo di messaggio ed emozione che deve creare. Deve essere capace di esprimere linguaggi diversi e mutevoli. Altrimenti fa accademia di se stesso. Io ho sempre voglia di cambiamenti totali di rotta, mi misuro con continui mutamenti».

Alla domanda di cosa significhi “evoluzione”, l’architetto Nardi chiosa dicendo: «Sarebbe importante che un contesto urbano, una regione, una nazione, riuscisse a cambiare attraverso la somma di tantissimi interventi e trasformazioni; ma evoluzione è anche gentilezza, premura, cura dei luoghi. Se c’è una coscienza, una conoscenza, una capacità di sentire e percepire, tutti sono soggetti essenziali nell’evoluzione. Allora forse sarà possibile che edifici con una loro storia e bellezza intrinseca non verranno più abbandonati preferendo loro edifici banali solo perché nuovi… Un tempo l’attenzione civica alla bellezza era oggetto di educazione. Questa traccia è persa ma riattivabile, forse, tramite canali percepibili da tutti, come il cinema appunto, o la pubblicità».

È l’ora del pranzo al Riva Lofts. Musica diffusa in giardino, vasi di fiori sbocciano sui tavoli, e così ci prepariamo ad assaggiare la squisita cucina dello chef, in quello che il magazine Wallpaper nel 2008 ha premiato come miglior hotel nel mondo.

Foto a cura di Claudio Nardi