Beatrice Segoni, la cucina del Konnubio

Beatrice Segoni: da stilista di moda a chef, passando per le grinfie “dellʼorso buono” Gianfranco Vissani, la chef marchigiana racconta a FUL la sua vita e la sua cucina.

Il Konnubio è quel bellissimo locale che si incontra sulla destra percorrendo via dei Conti (al numero 8r) in direzione Mercato Centrale. Due arcate molte eleganti che svelano al passante un arredamento in stile rétro sono il preambolo a un abbraccio armonico tra sapori, architettura e bellezza. È qui che, da tre anni a questa parte, la chef Beatrice Segoni esprime la sua cucina sintesi di un amore profondo per la tradizione e la cultura gastronomica dellʼintero stivale. Marchigiana di nascita ma fiorentina dʼadozione Beatrice ci racconta le difficoltà e le virtù di una professione iniziata trentacinque anni fa seguendo la rotta della propria vita.
Da stilista a chef, come è successo?
Sì, prima di dedicarmi alla cucina ero una stilista di moda ma per strane vicissitudini della vita dovetti cambiare rotta seguendo il mio ex marito che aveva un ristorante. Lì, come è successo a molti di noi, iniziai facendo la lavapiatti ma essendo capricorno ascendente capricorno non potevo davvero fermarmi a lavare piatti. E così mi sono messa a imparare il mestiere tramite corsi serali della scuola alberghiera ed esperienze nelle cucine di grandi ristoranti scoprendo che il denominatore comune che unisce chef e stilisti è la creatività.
Allʼinizio del tuo percorso, quale è stata lʼesperienza più significativa?
Sicuramente quella di aver lavorato al fianco di Gianfranco Vissani, un immenso conoscitore della materia prima, con un palato eccezionale, tra i pochi che riesce a mettere in un piatto anche fino a 20 ingredienti senza che uno di questi si sovrapponga allʼaltro. Un maestro a cui posso dire solamente grazie.
Quando sei arrivata a Firenze e che rapporto hai avuto con la città?
Nel 2004 dopo la separazione con il mio ex marito. Arrivo qua e apro il ristorante Borgo San Jacopo della famiglia Ferragamo, rimanendoci quattordici anni. Firenze è una città meravigliosa, il massimo in cui vivere per una creativa come me, anche se allʼinizio il rapporto con i fiorentini non è stato facilissimo, in quanto per natura molto diffidenti. Adesso non andrei mai via, solo la tentazione dei Caraibi potrebbe farmi scappare per amore del mare e del sole, ma quella sarebbe proprio unʼaltra vita… (dice ridendo).
Tu sei marchigiana ma hai qualche influenza della cucina toscana?
Io sono molto curiosa e amo la cucina di ogni parte dʼItalia pertanto cerco di interpretare alla mia maniera piatti tipici di ogni regione italiana e nei miei menù si trovano spesso piatti che possono essere piemontesi, piuttosto che marchigiani o siciliani… Il piatto che ho adesso in carta e che sintetizza al meglio le mie origini con la lunga esperienza a Firenze è sicuramente il cappelletto con ripieno di ossobuco alla fiorentina su letto di burrata e perle di lime.
Della tua terra invece qual è il tuo piatto preferito?
Essendo un amante delle zuppe ti rispondo che il mio piatto preferito è il brodetto alla portorecanatese, la zuppa tipica di mare con cui molti anni fa ho vinto anche la prima edizione del concorso di zuppe nazionali che si tiene ogni anno a Fano.
Da quanto tempo sei al Konnubio e che tipo di clientela hai?
Sono qua da tre anni e mi trovo molto bene. Siamo aperti tutti i giorni dellʼanno dalla mattina presto, per la colazione, alla sera. Con una clientela che per cena è composta sia da stranieri che da fiorentini mentre di giorno riceviamo più turisti alla ricerca della tradizione. Per andare incontro ai nostri clienti abbiamo due differenti men: uno per il pranzo e uno per la cena; a pranzo proponiamo anche le mezze porzioni dando lʼopportunità di far mangiare per esempio un piatto di pappardelle al coniglio con un calice di vino piuttosto che il classico panino con bibita.
Una donna in cucina, quali sono le difficoltà e quali le virtù?
Essere donna in cucina, soprattutto quando ho iniziato questo mestiere era molto difficile. La cucina, ieri più di oggi, era un mondo prettamente maschile ma ho saputo farmi rispettare. Molti dei miei collaboratori li ho assunti dopo una prova a braccio di ferro, se vincevano voleva dire che erano forti a sufficienza per affrontare questo duro lavoro. Altri invece li assumo (questa è una tecnica che uso tuttʼoggi) facendoli camminare dritti davanti a me, se vanno spediti vuol dire che hanno il passo giusto per lavorare, altrimenti meglio lasciar perdere. Una cucina al femminile è una cucina che ha maggior precisione e pulizia, è una cucina in cui si percepisce la femminilità – che è il lato armonioso della professione. Nella mia brigata ci sono cinque donne e ognuna di loro, come tutti gli altri componenti, è in grado di adattarsi a tutte le partite, perché io voglio che chi lavora con me sappia fare qualsiasi cosa, elemento di fondamentale importanza per loro e per il ristorante.
Unʼultima domanda, come definiresti in due parole la tua cucina?
La mia cucina è una cucina tradizionale fondamentalmente essenziale, senza ridondanze, con il tocco del particolare che non deve mai andare a sovrastare lʼessenza del piatto.

Foto di Luca Managlia