Al Gabinetto Vieusseux di Firenze è conservata la stesura originale dell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini. La ricerca fotografica di Sara Poli ha tentato di rappresentare proprio Petrolio, il testamento letterario del grande intellettuale del Novecento.
Nella notte del 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini lasciava questo mondo. In modo violentissimo, inatteso, ma soprattutto sospetto. Fu una notte buia e altrettanto buie – raccontano persone a me vicine, vissute in quegli anni – erano le testate giornalistiche che arrivavano al mattino con testi di cronaca nerissima, le cui parole e fatti si sgretolava nelle vie delle città italiane, ma anche nella collettività dell’epoca. Pasolini era morto. Non era morto solo il suo corpo, ma anche i suoi figli: le sue carte, i suoi scritti, i suoi pensieri. Alcuni li ha lasciati fisicamente, sopra una scrivania, come figli partoriti e lasciati fermentare in un’epoca a loro devastante e ostile: gli “Anni di Piombo” italiani. Guardo le ultime fotografie di Pasolini e vedo un uomo che dimostra più di cinquantatré anni: almeno dieci, forse venti in più. Vedo un uomo allarmato, dissociato dalle sue antiche credenze, in guardia e vigile perennemente.
Leggendo la sua biografia, mi sono appassionata come ci si affeziona alle antiche leggende d’un borgo medievale, ad una città sotterranea di una qualche civiltà dimenticata. È diventato, nella sua terribile chiarezza e lucidità critica, una base solida a cui aggrapparmi, una parte di verità che non avevo mai sentito; avevo il disperato bisogno che qualcuno mi vomitasse addosso quelle cose che lui, martire dolorante, ha urlato quasi cinquant’anni fa. Posso immaginare molto chiaramente la sua figura in penombra, con la mano che sorregge il suo volto chinato di lato, mentre scrive assorto e con una collera lineare e radicata le centinaia di pagine che compongono questo scritto, forse nella sua Torre di Chia. Petrolio, scartafaccio trovato probabilmente in una delle sue scrivanie vuote, fa parte delle opere sue più ultime e mai concluse. Petrolio, come un Satyricon moderno, doveva contenere – si dice – almeno duemila pagine. Si parla di porzioni di testo mancanti, parti che sono state fatte censurare, sparire, bruciare… Forse vendute all’asta come vere opere d’arte. Un insieme di fogli, Petrolio (o Vas, l’autore non aveva ancora risolto il titolo) lasciati su quella scrivania. Ci sono capitoli vuoti, abbozzi di indicazioni a piè di pagina, appunti mai finiti, capitoli ambigui, grotteschi, ripugnanti.
Ma Petrolio non vedrà la luce negli anni di Piombo e nemmeno nel decennio successivo. Petrolio esce postumo nel 1992, ben diciassette anni dopo la morte del poeta, edito da Einaudi. Non le è stata data la dignità più grande che un romanzo contestatore deve avere: essere compreso dalle persone della sua epoca. Petrolio non è stato ammesso e nel 1992 il mondo era ormai cambiato, s’era ormai trasformato. E Petrolio, dal 1992 fino ad oggi, subisce la muta di edizioni diverse, edite da persone e case editrici differenti e si denotano non pochi cambiamenti tra una edizione e un’altra. Personalmente, penso che ci sia una genialità profonda in questo libro. È stato assemblato – in parte – dalle prime file, quelle che Pasolini criticava, a piacimento di qualcuno (certo è stato inevitabile, visto che il testo è stato trovato sotto forma di fogli e non finito) accondiscendendo all’interpretazione di altri, a seconda del decennio: il libro ha subito una mutazione altra per mano di altri. È nato dalla profonda critica del Nuovo Potere, ed è stato giocoforza editato da esso. È un pescatore morto nel mare e inevitabilmente dimenticato; diverrà parte di esso, senza la sua volontà.
Durante la prima ondata della pandemia, mi era capitato tra le mani proprio Petrolio, preso istintivamente e attratta da una recensione, dove lo chiamavano “manoscritto nero”, l’ho messo nel carrello assieme ad altri tre libri. Appena ho iniziato a leggerlo, mi sono resa conto della sua complessità e, a tratti, della sua illeggibilità, certamente voluta dall’autore. Il testo era difficile ma mi imponevo di leggerlo: cinquanta pagine al giorno. Così, dopo poco più di un mese, ho finito il romanzo e mi è venuta l’illuminazione: nel mio progetto di tesi ho ricreato fotograficamente alcune parti, di mia scelta, del romanzo. Quello che ho ritenuto di particolare importanza è stato il metro per la scelta di personaggi particolari, con fattezze androgine e senza tempo. La scelta dei luoghi, invece, non è stata interamente coerente con il romanzo, poiché ho voluto riportare la forma primaria dei quartieri e delle strade romane dove Pasolini ambienta le scene: così ho voluto “trasformare” una via trafficata di Roma in un campo contadino presente nell’entroterra livornese, poiché è la sua forma originaria.
Il capitolo “Il Merda” è stato di particolare impatto e lì sono nate la maggior parte delle mie idee fotografiche: è un modello dell’inferno dantesco. Mi ha affascinato il modo in cui Pasolini suddivide “i gironi” e a ognuno associa un colore. Dopo aver fatto una scaletta cromatica delle sfumature riportate nel romanzo, ho utilizzato delle piccole piastrelle in plexiglass che ho colorato successivamente con i colori descritti da Pasolini e montato formando una piramide “sociale”, come una scultura concettuale dei gironi dell’inferno pasoliniano.
Talvolta si vedono i volti dei personaggi da vicino, in altre immagini ricorrono invece solo i dettagli di una situazione, in cui è l’ambiente a essere protagonista, permettendo all’osservatore di immaginare divenendo attivo e partecipe. La scelta della location di un ambiente spoglio e completamente naturale, rafforza l’idea teatrale di corpi senza tempo e spazio che si mostrano in dialogo fra loro e vengono in tal modo resi protagonisti insieme al luogo circostante. Le ossa presenti in alcune immagini raffigurano allegoricamente una struttura interna presente nel romanzo, ma rimane solo quella, morta, poiché il romanzo non propone una trama precisa, essendo incompleto e non ordinato.
È vero che ogni storia, anche la più dettagliata, assume forme molto diverse per ognuno, ma Petrolio è come un grande pezzo di pasta modellabile, ed è stata per me una grande sfida (oltre che un piacere) montare e smontare a mio piacimento il testo: è stata una spinta che in chiave fotografica mi ha motivato molto, data anche la complessità dei contenuti. Scattare questo progetto è stato per me emozionante e terapeutico, soprattutto per la stima che ho nei confronti di un uomo, di un poeta, come Pier Paolo Pasolini. Ho sempre ammirato la sua cultura, la semplicità che aveva nell’ideare film e romanzi meravigliosi. Per creare il tutto ho schematizzato ciò che mi interessava e ciò che pensavo fosse rilevante per trasformarlo in un’immagine. Dopo qualche tempo ho capito che è stato uno splendido esercizio: mi sono messa alla prova, ho cercato di cogliere il senso più profondo di questo progetto: la costruzione di qualcosa, di un antico processo creativo mai portato a termine di uno dei più straordinari intellettuali di tutti i tempi.
Testo e foto di © Sara Poli
IG: @sarabernhardt_