La “Città Sospesa” di B-Arch e Urto

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Il progetto vincitore del contest “Street Arch” racconta il futuro dell’architettura sostenibile e capace di adattarsi ai cambiamenti della società. 

Street Arch è una manifestazione ideata dallo storico marchio fiorentino d’arredo TaniniHome, in collaborazione con l’agenzia Towant, che ha visto lavorare insieme street writers e architetti (ve ne avevamo già parlato qui). Il contest vuole aprire un dialogo e costruire un nuovo rapporto tra queste due figure, in quanto attori attivi nelle nostre città. Hanno partecipato quattro studi di architetti e a ognuno è stato associato un writer per il supporto tecnico-artistico e per il coordinamento grafico. In gara lo Studio Q-BIC e Luchadora, Eutropia Architettura e Mr G, Genius Loci Architettura e Monograff, Studio B-Arch e Urto. Ogni team ha avuto dieci mesi di tempo – a partire dal 20 novembre scorso – per l’ideazione e la realizzazione del progetto. Al termine di questo periodo la giuria, composta da Firenze Urban Lifestyle e dalla galleria torinese A Pick Gallery, ha decretato il vincitore: “Città Sospesa” di B-Arch e di Urto, artista conosciuto per le geometrie colorate e decise dei suoi murales. Alessandro Capellaro, titolare dello studio B-Arch insieme a Sabrina Bignami, ci ha raccontato dell’idea alla base del progetto e della sua realizzazione. 

Architetti e street writers perché è importante che si incontrino?

La collaborazione tra queste due figure è interessante non tanto per le loro affinità quanto per le energie che scaturiscono dalle loro differenze. Architetti e street writers hanno in comune la città come scenario di lavoro ma obiettivi e collocazioni sono diverse. Quella dell’architetto è una professione artigianale fatta di regole e del rapporto con un committente. Il writer, invece, non ha regole, la sua arte è fuori dagli schemi. Mettere insieme queste due prospettive e sensibilità fa nascere delle riflessioni e dei progetti dinamici. 

Proprio dalla cooperazione con Urto è nata “Città Sospesa”. Qual è stata la vostra ispirazione e come si è svolto il processo creativo? 

Ci siamo seduti accanto e abbiamo iniziato a discutere sul concetto di città moderna, trovandoci d’accordo sul fatto che i tratti distintivi della società attuale sono la fluidità e la capacità di cambiare velocemente. Per questo la contemporaneità dell’architettura non risiede solo nel fatto di essere altamente tecnologica ma anche nella costruzione di edifici in grado di evolversi e trasformarsi. È nata così l’idea di una città fluttuante, liquida e capace di portarti altrove. Questa riflessione si è tradotta in primis nella progettazione di un pallone aerostatico abbastanza leggero per poter volare ma ancorato al suolo dagli esseri umani che vi abitano. Il progetto si è poi evoluto a causa dei fatti accaduti nell’ultimo periodo in Ucraina. A scuoterci sono state le immagini della guerra, delle persone che nonostante il pericolo hanno deciso di rimanere nel proprio paese rifugiandosi sotto terra per sopravvivere. Questo è accaduto anche in periferie malmesse, in villaggi distrutti dove razionalmente sembrava non valesse la pena rimanere; il senso di appartenenza dei cittadini non è fondato sulla materialità della città ma sulla memoria e sulla storia della propria terra. Così, al disegno iniziale è stata associata la chioma verde di un albero, un tronco sofferente fatto di scotch di carta – materiale povero e reversibile – e delle radici ancorate al suolo. Un percorso, quindi, che parte dal basso, dal profondo sottosuolo, dando vita a una città positiva, leggera, capace di cambiare. Una città che ha sia le radici che le ali. 

L’opera vuole suggerire un nuovo modo di concepire e vivere gli spazi cittadini?

Il nostro obiettivo è quello di stimolare una riflessione – che poi è quella che abbiamo fatto noi, che ci ha colto di sorpresa mettendo in discussione le nostre certezze. Abbiamo vissuto delle situazioni che hanno profondamente cambiato la relazione tra spazi interni ed esterni. La pandemia e la guerra hanno evidenziato la necessità di non guardare alla città come a qualcosa di definito ma a un ambiente indefinibile, pronto ad assumere forme diverse per affrontare i drammi e che sopravviverà solo se sarà in grado di mutare, pena il diventare invivibile. Il nostro progetto racconta una città nel dubbio.

Sicuramente questo messaggio ha fatto la differenza per la giuria. Ma quali sono stati gli altri elementi vincenti del vostro lavoro? 

Nel risultato finale erano ben riconoscibili le due “calligrafie”: quella di Urto, più istintiva, e la nostra basata sugli schizzi e sulla ricerca attraverso la matita, elementi che contraddistinguono il modo di lavorare di B-Arch. Questo doppio registro ben visibile e l’alchimia che si è creata tra le due parti è sicuramente la componente che ha fatto spiccare “Città sospesa”. Un duplice linguaggio che porta con sé un doppio livello presente nella vita di ognuno di noi: l’attaccamento alla propria terra ma anche la necessità di mutare, spostarsi, evolvere. 

Com’è stato partecipare a “Street Arch” e perché un contest come questo è importante? 

Una manifestazione di questo tipo permette di fare rete e superare l’individualismo sempre più frequente tra gli architetti e in generale nella nostra società. Le iniziative di TaniniHome sono occasioni di incontro a cui partecipiamo con gioia perché avviano un laboratorio culturale attivo ponendo le basi per una società viva.

Ci puoi raccontare qualcosa in più sullo Studio B-Arch?

Lo studio – gestito da me e Sabrina, mia moglie – si occupa sia di architettura che di interior design. Riteniamo, infatti, che queste due dimensioni siano da considerare insieme. L’ambiente di lavoro che abbiamo creato è familiare e domestico. Abbiamo trasformato una vecchia casa in uno studio. La nostra sede è a Prato e crediamo molto in questa città multietnica, aperta all’arte contemporanea e dalla grande capacità di rinnovamento. Lavoriamo a contatto con le realtà locali ma anche all’estero. Il nostro approccio cerca di coniugare modernità e sostenibilità, guardando alle esigenze della società attuale.

Qual è la direzione che ha intrapreso oggi l’architettura e quale prevedi sia quella futura?

Come società abbiamo vissuto un periodo di crisi culturale e per questo ci siamo rifugiati nel passato, nel vintage. Anche l’architettura ha vissuto questa fase ma adesso si sta aprendo alla contemporaneità adattandosi alla velocità dei nostri tempi. Proprio per questo i nuovi spazi progettati saranno contenitori neutri, indeterminati, capaci di rigenerarsi e modificarsi e quindi anche più longevi. Gli edifici sopravviveranno alla loro funzione, non saranno più luoghi immutabili e immodificabili. I loft potranno essere trasformati in spazi di lavoro condiviso, le banche in scuole, le fabbriche in musei. Un’architettura leggera, moderna ma anche sostenibile. A questa prima ricerca – che ha già portato a risultati concreti – se ne sta aggiungendo un’altra: la costruzione con materiali riciclabili e con componenti smontabili. Riguardo a questa prospettiva abbiamo molto da imparare dai villaggi africani e dalle favelas. Queste tendenze sono già presenti e influenzano il settore dell’architettura, devono solo essere sistematizzate ed entrare a far parte di una progettualità programmatica.

Un futuro a tutti gli effetti già in costruzione, che da eventi come Street Arch prende linfa vitale. Infatti, iniziative di questo genere – che connettono ambienti distanti – risultano essere fondamentali per stimolare associazioni inedite e riflessioni innovative.

Foto di Sofia Balli