Inaugura la Conferenza ONU sul Clima. Alcune riflessioni sul modello economico che sta distruggendo il nostro pianeta.
Il climatologo della NASA Slate Peter Kalmus ha affermato che << […] la comunità scientifica ha fatto un ottimo lavoro nel proiettare l’aumento delle temperature a 1,2° C, che è esattamente dove ci troviamo ora. Ma non è stato fatto un lavoro altrettanto buono nel prevedere quanto sarebbero stati gravi gli impatti di un aumento di temperature a 1,2 °C>>. Questo significa che i modelli scientifici sono efficaci e devono preoccuparci perché le vedono crescere ancora, diventa essenziale un vero sforzo degli Stati per rientrare negli Accordi di Parigi tenendole sotto i 2° C e possibilmente entro 1,5° C.
La COP26 di Glasgow per agire subito.
Come dice in merito il celebre filosofo di origine croata Srećko Horvat bisogna agire subito, ovvero “the day before the day after!”. Alla Conferenza ONU sul Clima – COP26 di Glasgow, quanto stabilito dagli Accordi di Parigi del 2015 entrerà in vigore e gli impegni saranno vincolanti per i Paesi che li hanno sottoscritti. La Commissione Europea ha messo in campo il piano Fit for 55 per attuare il suo Green Deal. Per questo è già iniziata la pressione delle lobby dei fossili, le compagnie aeree che non vogliono la tassa sul kerosene, l’opposizione dei Paesi dell’Est Europa alla chiusura delle miniere di carbone, l’Associazione Europea di Costruttori Automobili che non sopporta il bando del motore a combustione al 2035, ecc.
Poi c’è la questione Cina… I cinesi non rinnegano l’Accordo di Parigi, ma per loro è buono prendere l’assunto “entro 2° C” e non stare al di sotto, come gli scienziati raccomandano. D’altra parte, nonostante siano grandi emettitori di CO2, ci ricordano che la quota di emissioni pro-capite di un cinese è inferiore a quella di un americano o di un europeo.
Il capitalismo ha devastato il pianeta, occorre ripensare l’attuale sistema.
L’antropologo inglese Jason Hickel nel saggio di ecologia politica in “Siamo ancora in tempo”, uscito quest’anno in Italia per Il Saggiatore – inserito da Cosmopolitan negli “8 libri che salvano il pianeta” – afferma che occorre pensare ad un sistema economico adatto al XXI° secolo dopo che il capitalismo ha devastato il pianeta. Diventa necessario, al pari delle innovazioni tecnologiche, porre limiti etici e culturali allo sfruttamento degli ecosistemi. Il capitalismo ha trattato la natura come qualcosa di esterno all’uomo per giustificarne lo sfruttamento, questo sistema non poteva non innescare una crisi ecologica.
Il capitalismo è una struttura economica organizzata intorno alla crescita perpetua, ma questa è un termine convenzionale. In realtà quella che chiamiamo “crescita” è un processo di recinzione, estrazione, mercificazione e sfruttamento di risorse. Bisogna così uscire dalla logica del PIL e impostare l’organizzazione dell’economia sul benessere delle comunità, la sanità pubblica, la redistribuzione equa del reddito… La crescita non va di pari passo con lo sviluppo umano, anzi, afferma Horvat “è un’accumulazione di catastrofi”.
Srećko Horvat lancia l’allarme: il capitalismo pronto a cavalcare l’onda “verde”.
Proprio al filosofo di Zagabria – nel suo ultimo libro “After the Apocalyps”, sostiene che l’unico modo per prevenire l’estinzione è impegnarsi contro le varie minacce interconnesse, dalla crisi climatica alla pandemia in corso – ho avuto la possibilità di porre il quesito se il clima fosse il nuovo tema per l’impegno politico (trovate l’intervista completa sul nuovo numero della nostra rivista FUL #46).
<<È fantastico che ci sia così tanta attenzione sulla politica ecologica – mi ha risposto – ma vedo il “capitalismo verde” cavalcare l’onda e di nuovo usare una crisi per reinventarsi e distruggere ulteriormente l’ambiente. Guarda solo quanto l’assorbimento di energia delle transazioni in Bitcoin stia anch’esso contribuendo al cambiamento climatico. O come stiamo rientrando nel “secolo dell’auto” – solo che questa volta è elettrica – così invece di estrarre i combustibili fossili estrarremo il litio e scaveremo miniere nelle profondità marine per ottenere il minerale necessario per diventare “green”>>.
Per salvare il pianeta siamo chiamati a ridurre le emissioni non a impostare una “crescita verde”. Per quanti alberi possiamo piantare e per quante innovazioni ci possono essere nelle energie rinnovabili, bisogna immediatamente tagliare le emissioni. Per ridurre gli effetti della CO2 nell’atmosfera c’è solo il taglio delle emissioni, il resto sono chiacchiere. Il dilemma consiste nel fatto che non è possibile per il nostro sistema decarbonizzare l’economia abbastanza velocemente – per rimanere nella soglia di 1,5° C come previsto dall’Accordo di Parigi – se le nazioni ad alto reddito continuano ad utilizzare così tanta energia.
Per ridurre il consumo di energia è necessario ridimensionare la produzione in eccesso, ecco perché serve una trasformazione radicale dell’economia. E siccome il capitalismo si fonda sulla produzione perpetua di merci, ecco che il cerchio lo chiudiamo capendo da soli qual è il nodo della crisi climatica senza essere studiosi di Karl Marx… Citando ancora Horvat, <<the current system is more violent than any revolution>>!
Cover photo: © Lars Verket