La Dirty Old Town di Tim Daish

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Un incontro con l’attore inglese che da alcuni anni vive nell’Oltrarno fiorentino. Il cinema, il teatro, Firenze e la passione per il calcio.

In piazza Santo Spirito tutti lo salutano come se fosse da sempre uno del quartiere. Tim Daish, classe 1980, è un attore e regista britannico che dal 2015 ha scelto di vivere in questo angolo di Firenze, a due passi dalla Florence Movie Academy dove è docente di recitazione.

Formatosi al London Centre for Theatre Studies e alla Scuola Teatro Colli di Bologna, vanta quindici anni di carriera e numerose interpretazioni tra teatro (da The Winter Tale, regia di Edward Hall nel 2005 a Who’s Biancaneve, regia di Maurizio Lombardi al Teatro Vascello a Roma nel 2017, passando per Volcano di Noel Coward nel 2013), televisione (da L’Oriana con Vittoria Puccini, regia Marco Turco per RAI/Fandango nel 2015 a Devils con Patrick Dempsey e Alessandro Borghi, regia Nick Hurran nel 2018, nonché L’amica geniale, regia di Saverio Costanzo nel 2018) e cinema (da Robin Hood, regia Ridley Scott, 2010 a Guida romantica a posti perduti con Clive Owen e Jasmine Trinca, regia di Giorgia Farina nel 2019, passando per La verità sta in cielo con Riccardo Scamarcio, regia di Roberto Faenza nel 2016).

Siamo seduti sugli scalini della basilica e sorseggiando una birra iniziamo una chiacchierata che permetterà ai lettori di FUL di conoscerlo meglio.

Quando hai scoperto Firenze e come è nata la scelta di stabilirti qui?

Visitai il centro una prima volta a 18 anni mentre studiavo italiano in una summer school a Bologna. Poi, durante la mia carriera d’attore, ho fatto amicizia con Maurizio Lombardi – con il quale avevo recitato nella miniserie su Oriana Fallaci – che mi invitò a Firenze e in quell’occasione scoprii i quartieri meno turistici dell’Oltrarno.

Quando per motivi di lavoro mi sono trovato a decidere dove fare base ecco che questa città, rispetto a Roma, aveva tutto in termini di soddisfazione delle mie necessità. Ha influito anche l’ingaggio per il ruolo di Gian Gastone de’ Medici in The Medici Dynasty – con Carolina Gamini nei panni di Anna Maria Luisa – recitato in inglese per i turisti. Prodotto da Giuseppe Arone e Cristiano Brizzi, è andato in scena ogni giorno tra il 2016 e il 2017 al Cenacolo del Fuligno in via Faenza, all’interno della quale era stato creato un teatro da 75 posti. 

Il fascino degli inglesi per la nostra città è vecchio di secoli...

Sì, ma solo una volta stabilito qui ho scoperto questo storico legame tra gli inglesi e la città. Firenze ti colpisce subito per l’impatto visivo, i suoi palazzi, il buon cibo, la “dolce vita” e il calore della cultura italiana. Ovviamente, coloro che hanno vissuto o vivono in Toscana sono una fascia sociale molto particolare di britannici, quelli che si possono permettere di abitarci, benestanti e intellettuali.

Raccontami di Dirty Old Town che avete girato a Firenze nel 2018 grazie al crowdfunding. Di questi tempi può essere uno strumento di supporto al cinema indipendente?

Il crowdfunding è un gioco in sé, nel senso che se hai tanti followers e capacità di pubblicizzarlo può essere uno strumento interessante. Per noi che abbiamo prodotto Dirty Old Town (regia di Igor Biddau, narra di un gruppo di expat stranieri a Firenze alle prese con vecchi vizi… NdR) con 1.000 Euro e quattro giorni di riprese – tirando fuori l’episodio pilota di 50 minuti – è stato un successo.

Ma questo perché tutti hanno partecipato per la sola voglia di farlo, altrimenti un progetto del genere sarebbe costato almeno 150 mila euro, cifre difficili da raggiungere con il crowdfunding. È stato un esperimento, non credo sia il futuro, ci vogliono gli investitori classici perché nel cinema occorrono tanti soldi anche per la fase di distribuzione e marketing.

Che impatto ha avuto il Covid-19 sull’industria cinematografica?

La pandemia ha avuto un impatto devastante come in altri settori. Per il nostro lavoro nello specifico è possibile girare rispettando le misure di sicurezza, tra l’altro in Italia si è continuato a farlo meglio che in Inghilterra o negli USA. Ma è evidente ci siano difficoltà, bisogna creare “bolle” per il cast allo scopo di evitare contatti esterni. È probabilmente un periodo di pausa buono per scrivere sceneggiature e mettere in cantiere progetti. Considera che in alcuni casi la pre-produzione è un lavoro di un paio di anni.

Pensi che il Covid-19 sarà protagonista anche al cinema o la produzione dei film ripartirà da dove ci eravamo fermati?

Credo nel secondo scenario. Immagino che oggi nessuno voglia vedere un film su un’esperienza che tutti hanno vissuto e subìto… Abbiamo bisogno di altro, no!? Forse tra dieci anni ne verranno girati, trovando un’angolazione diversa per raccontare quello che è successo, i medici eroi, come abbiamo affrontato il virus e, speriamo, sconfitto.

Qual è lo stato di salute del cinema italiano a tuo avviso?

Si nota un nuovo appeal di Cinecittà da parte delle produzioni internazionali, e questo è un bene per il cinema italiano, perché crea esperienza di lavoro internazionale per le crew locali. A un certo punto Cinecittà non era più conveniente economicamente, ma adesso c’è una riscoperta. Sicuramente, oltre al fascino immutato di girare film in Italia per gli attori stranieri, è venuta meno la convenienza di girarli in Est Europa. Pure l’Inghilterra con la Brexit adesso pone difficoltà burocratiche.

Per quanto riguarda agli aiuti statali al cinema è interessante il modello dell’Irlanda, da tutti scoperta come location cinematografica con Games of Thrones: incentivi e buoni tax credits per le produzioni.

Da buon inglese sei appassionato di calcio come gli italiani. Pier Paolo Pasolini e Ken Loach – grandi narratori rispettivamente dell’Italia e dell’Inghilterra popolare nei loro film – avevano in comune la passione per il calcio. Cinema e calcio sono gli ultimi linguaggi universali?

Cinema e calcio sono due linguaggi incredibili ma credo che il primo abbia difficoltà a rappresentare bene il secondo. Fare un bel film sul calcio è complicato, perché è difficile ricrearne le emozioni e momenti del gioco. Tutti i popoli hanno una storia epica nel calcio, una passione che simboleggia qualcosa di più grande, non è un caso che due acuti osservatori della società come Pasolini e Loach – uniti anche da un’idea di filosofia morale del cinema – ne abbiano subìto il fascino.

Foto © Marco Cappelli