“Doppio passo”, il film d’esordio di Lorenzo Borghini

Doppio Passo film

FUL ha intervistato Lorenzo Borghini alla vigilia dell’uscita nelle sale cinematografiche del suo primo lungometraggio. Girato a Carrara e con protagonista Giulio Beranek nei panni di un ex-calciatore di Serie C, Doppio Passo è un film che unisce realismo, crime e dramma.

Claudio (Giulio Beranek) è lo storico capitano della Carrarese Calcio, un trascinatore, sia nella vita calcistica che in quella familiare. Tutto sembra andare per il meglio: la squadra raggiunge la promozione in Serie B e – insieme alla moglie (Vittoria Bilello) – apre finalmente il ristorante che ha sempre desiderato per stabilizzare il futuro economico della famiglia. La tanto agognata Serie B però si rivela una condanna per Claudio, l’inizio della caduta, come atleta e come uomo. La società, per cui ha dato cuore e anima per sette anni, non lo considera più utile e per motivi dl bilancio non gli rinnova il contratto. Si ritrova così indebitato e in un vortice di eventi che mettono in crisi le sue certezze e il suo stesso rigore morale. Nel cast oltre a Giulio Beranek e Valeria Bilello, il film vede protagonisti Giordano De Plano, Bebo Storti e Fabrizio Ferracane.

Lorenzo Borghini è il regista fiorentino del film e da tempo è noto in città il suo lavoro su cinema, format televisivi e pubblicità. Critico, sceneggiatore, giornalista e scrittore, ha diretto diversi cortometraggi e i documentari Strade interrotte e Il pittore dei due mondi dedicato al pittore Luca Alinari.

L’anteprima di Doppio passo è avvenuta al Lucca Film Festival il 27 settembre e poi dal 12 ottobre uscirà nelle sale italiane, con l’occasione ho fatto una chiacchierata con Lorenzo per presentare questo film ai lettori di FUL.

Lorenzo, come nasce tuo primo lungometraggio?

Il film nasce, per assurdo, da una frase che mio padre sentì una volta mentre era allo stadio durante una partita del Livorno e uno spettatore gridò a un calciatore l’imprecazione “sei un disutile!”. Così mi dette l’idea di fare un film su un calciatore che aveva calcato per tutta la carriera i campi della Serie C e poi viene buttato fuori dal “sistema calcio”, perché troppo vecchio per il salto di categoria.

Ho iniziato nel 2019 a scrivere il soggetto e poi ho affidato la sceneggiatura a Cosimo Calamini, uno sceneggiatore fiorentino molto bravo. Da lì siamo partiti e abbiamo fatto un po’ di sopralluoghi e una ricerca sulle città toscane. Livorno poteva essere una delle location papabili, però ci ha convinto di più Carrara. Inizialmente volevamo una realtà marinara, perché il nostro calciatore di provincia protagonista del film lo immaginavamo a fine carriera che si ritrovava a lavorare al porto. Ma a Carrara ci è venuta l’idea che invece potesse essere costretto ad andare a lavorare nelle cave di marmo. Abbiamo girato scene lì ma un po’ in tutta la Versilia, in mare aperto in Liguria, a Prato e a Firenze.

Quali emozioni hai provato?

L’emozione più grande è stato il primo giorno di riprese, arrivate dopo due anni di “burocrazia”, ovvero la ricerca dei fondi per finanziare il film. Così da girare documentari dove gestivo cinque o sei persone, o cortometraggi dove comunque siamo una decina sul set, mi sono trovato a gestire oltre trenta persone di troupe più attori e comparse.

Carrara è una città interessante, anarchica e operaia. Inoltre, a mio avviso, la Carrarese è l’emblema della realtà calcistica di Serie C in Toscana. Come sei entrato in contatto con la società sportiva e come hanno accolto l’idea del film?

Ho scritto una mail all’AD della Carrarese Iacopo Pasciuti spiegandogli il progetto e precisando che non avevo intenzione di inventarmi una squadra, ma ne volevamo una reale. Alla Carrarese si sono da subito dimostrati entusiasti e ci hanno pure aiutati a girare le scene alle cave, dato che due dei loro sponsor sono appunto aziende marmiste e ci hanno ospitato. Abbiamo ovviamente girato negli spogliatoi con le maglie gialloblù della squadra e nella loro sede. Insomma ci hanno aiutato per tutto. Voglio precisare che questo è un film dove il calcio si respira ma non si vedono mai azioni di gioco, tra l’altro sempre piuttosto difficili da riprodurre al cinema.

Questo perché per quanto un attore sappia giocare al calcio, i professionisti sono un’altra cosa. Peraltro Giulio, il mio attore protagonista, è anche bravo con il pallone, ha giocato nella squadra Primavera dell’Olympiakos, poi ha dovuto mollare per un infortunio.  Comunque ci sono molti “dietro le quinte”, dai procuratori ai direttori sportivi, passando per i colleghi calciatori di Serie A che vivono un mondo completamente diverso. Sai, c’è uno stereotipo del calciatore, ma i ragazzi che calcano i campi della Serie C hanno mediamente stipendi mensili sui 3.000/4.000 €; se passi tutta la carriera in questa categoria non sono molti i soldi che riesci a mettere da parte quando esci dal mondo del calcio. 

Claudio più che un giocatore è un “lavoratore”. Hai voluto accendere un riflettore sul tema del lavoro nel mondo dello sport, che riproduce situazioni di precarietà come in qualunque altro settore?

Il mondo del calcio è solo l’arena in cui si svolge la vicenda, ma mi serve per parlare di altro. Il mio film è un dramma familiare e sociale, quello di un uomo che perde il lavoro. Chi dirige la società di calcio è un imprenditore che assume e licenzia come in qualunque altro luogo di lavoro. Questo film parla del sistema capitalistico, dove quando non sei più utile vieni messo alla porta. Con la differenza che nel caso del calcio, se fino a 36 anni nella vita hai solo giocato, poi è difficile reinventarsi in un altro lavoro se esci da questa realtà.

Ma vale per tutti gli sport, per un ristretto gruppo di sportivi sotto i riflettori ce ne sono migliaia nell’ombra che arrivano a fine mese, ma con stipendi da operaio. Nella percezione comune purtroppo il mondo del calcio è visto come popolato di professionisti vincenti, però io ho voluto narrare le vicende di uno dei tanti che quando appende le scarpette al chiodo ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese. 

Claudio, il “capitano” nella vita e nel calcio, da uomo importante diviene un “disutile” alla società. È il capitano che non dice mai bugie e che invece si ritrova a doverle necessariamente dire.

Il film è prodotto da Garden Film in produzione associata con Solaria Film, in co-produzione con la società svizzera Nebel Productions, in collaborazione con Rai Cinema. Il progetto è sostenuto da Toscana Film Commission nell’ambito del programma Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema.