Guardami bene e saprò chi sono (Prima parte)

immagine4Mi piace molto guardarmi allo specchio e so che piace a tutti (belli e brutti). E’ altrettanto noto, e i fotografi lo sanno bene, che le immagini che ci ritraggono ci rimandano allo scarto tra come ci vediamo e come gli altri ci vedono: spesso questa differenza di valutazione è compensata da un comportamento affettuoso che i nostri amici attuano in forma protettiva confermandoci che “siamo belli comunque” (un po’ come quello delle madri che “ogni scarafone è bello a mamma soja”). In realtà quello scarto è molto più interessante di quanto si pensi, visto che rappresenta precisamente la dicotomia tra la rappresentazione mentale che abbiamo di noi e come gli altri ci vedono.

Il corpo e la mente sono talmente uniti che alle volte facciamo fatica a tenerli insieme. “Ti vedo in forma oggi!”. “Ah si? Figurati, mi sento uno schifo”, tipica interazione quotidiana nella quale, senza accorgersene, accadono molte cose: qualcuno ti vede e, percorrendo il tuo corpo col suo sguardo, è in grado di restituirti una sensazione interna positiva o comunque modificata rispetto a quella che avevi.

immagine5I neuroni a specchio, scoperti nei primi anni Novanta, spiegano la capacità innata che abbiamo di comprendere gli stati emotivi e le intenzioni degli altri (un processo che avviene in tempi rapidissimi, frazioni di secondo, in alcune zone del nostro cervello che comprendono anche il linguaggio). Empatizzare è una funzione vitale e soprattutto interattiva. Ma allora, se è vero che  siamo in grado di empatizzare recependo la tensione emotiva dell’altro ed interpretandone le manifestazioni, è anche vero che, a volte, possiamo sbagliare il modo di interpretare il mondo interno/esterno degli altri. Lo scarto di cui parliamo appare dunque oggettivamente incolmabile, se non avessimo il dono della parola per descrivere l’intimità non visibile a occhio nudo.immagine6

Questa riflessione la possiamo rintracciare e estendere alla televisione: essa non permette in alcun modo di interagire (costruttivamente) attraverso la parola. Ciò che manda in onda è assorbito esclusivamente in modo passivo. Quel mandare in “onda” appare un’onda anomala alla quale la nostra psiche cerca di abituarsi, consolandoci con l’idea che proprio noi abbiamo costruito quel macchinario maledetto e fortemente desiderato, secondo la legge di domanda e offerta, di bisogno e compensazione del bisogno. La cultura così si crea. C’è un bisogno, più o meno conscio, che emerge in una società, messo in atto attraverso quel meccanismo che fa corrispondere il desiderio con l’unione tra la sua gratificazione e la fantasia ad esso associata, anche però quando le fantasie sono fantasmi paurosi! (Fine prima parte)

MARIO PUCCIONI

Psicoanalista e docente universitario

(L ‘articolo propone il pensiero libero dell’ autore e non presuppone indicazioni cliniche o di carattere scientifico)