Il regista Nicola Zavagli ci racconta il suo spettacolo che farà tappa al teatro Puccini di Firenze il 22 e il 23 novembre.
Un atipico documentario teatrale che restituisce il senso del viaggio di un gruppo di giovani volontari partiti per Kobane, la città simbolo della resistenza curda, con l’intento di portare aiuti umanitari e raccogliere testimonianze per una cronaca alternativa della situazione siriana. Una grande narrazione corale che vede alternarsi sul palco 13 giovani attori di scuola fiorentina e romana. Una rappresentazione a tratti forti, che sfuma dal riso alla commozione, passando per l’indignazione e lo sgomento. Un adattamento teatrale che si rivela una commedia sorprendentemente grottesca, drammatica e amara, come solo la vita reale a volte sa essere.Uno spettacolo che non spettacolarizza la guerra, ma racconta con spietata leggerezza la verità brutale di un conflitto troppo spesso dimenticato, cercando pericolosamente di mantenersi in bilico tra cronaca del nostro tempo e immaginario fumettistico.
Nella serata del 22/11 a Firenze sarà prevista anche la partecipazione di Michele Rech, in arte Zerocalcare, autore della graphic novel da cui lo spettacolo è stato tratto.
A un anno dalla sua prima rappresentazione al Teatro del Giglio di Lucca, Kobane calling on stage torna sul palco. Com’è stato possibile?
Grazie alla produzione di Lucca Comics&Gamesche ha creduto e crede molto in questo progetto e grazie alla mia compagnia Teatri d’Imbarco che, insieme al lavoro di Beatrice Visibelli, ha permesso di proporre e riproporre uno spettacolo con un tema così maledettamente attuale, perennemente sotto i riflettori dell’informazione mediatica.
Si tratta di una performance ispirata alla graphic novel di Zerocalcare, perchè ha scelto proprio questa?
Sicuramente tra i suoi lavori è quello che ha ottenuto maggiore successo e risonanza, sia in termini di vendita che di critica. È un racconto figurato, bellissimo e toccante, di un gruppo di giovani che decide di partire per andare a vedere Kobane, l’ultima roccaforte dei curdi – il simbolo della resistenza contro l’ISIS- e di vedere con i propri occhi quella realtà a cui ormai ci siamo assueffatti. Una guerra lunga, spossante, a cui purtroppo ci siamo abituati a sentir parlare, senza che questo la renda però meno ingiusta, crudele e atroce.
Uno spettacolo sulla guerra dunque?
Sì e no. Senza dubbio la guerra è un elemento importante e non solo lo sfondo: la guerra è il motivo che scatena l’azione,in senso civico e scenico, dei protagonisti. La guerra è presente nelle testimonianze dei personaggi, nei luoghi di passaggio, nei movimenti. Ma, allo stesso tempo, la guerra non è l’unico focus: sono tanti i temi, così come tanti sono gli stili narrativi. Paradossalmente durante lo spettacolo si ride molto, si sfumano i confini del dramma e del grottesco, dei cazzotti nella pancia e delle risate –anche- di pancia.
Come è stato trasformare un fumetto in uno spettacolo teatrale?
Trasformare Kobane Calling in uno spettacolo è stato un processo difficile ma entusiasmante. Mi ha consentito di toccare contemporaneamente le corde del grottesco e dell’impegno. Per un mese ho studiato con attenzione il materiale. Sono partito da una sceneggiatura con flashback e spostamenti, ricostruendo la linearità dei due viaggi e inserendo poi le citazioni pop e i siparietti surreali: elementi fondamentali per restituire la commistione di piani che rende così ricco e dinamico il fumetto.In passato ho lavorato molto sui drammaturghi inglesi e irlandesi, che spesso riescono a fondere comicità e violenza, come raramente avviene nel teatro contemporaneo italiano. Qui ho avuto l’opportunità di giocare su più registri: un’occasione preziosa.
Tanti contrasti e chiaroscuri, come nella vita e nei fumetti insomma.
Sì, in realtà io sono molto affascinato dal mondo del fumetto. Kobane Calling infatti rientra, insieme a “Una ballata per Corto Maltese” e “Io sono Cinzia”, in una trilogia di adattamenti teatrali ispirati al mondo dei comics. Il fumetto è una forma artistica che fornisce linguaggi e spunti per creare qualcosa di nuovo anche a livello teatrale. Sono dell’idea che il teatro non debba essere un’arte elitaria, riservata a pochi appassionati, ma una forma di espressione che parla a tutti, soprattutto a quegli ‘urlatori’ che hanno la voce grossa e le orecchie tappate. Parlare a loro è la vera sfida, toccare quelle intime corde civiche e civili che ci rendono ancora umani…
A proposito di impegno civico, la serata del 22 Novembre a Firenze sarà dedicata a quello che potremmo definire un ‘partigiano del nostro tempo’, Lorenzo Orsetti, che purtroppo proprio in terra di guerra ci ha lasciati per sempre. Ci sembrava giusto omaggiarlo così.
Uno spettacolo intenso Kobane Calling on stage, forte e contrastato: in cui si ride, si resta colpiti, forse ci si indigna anche. Ma soprattutto, si pensa: “Oggi Kobane è un museo a cielo aperto della vergogna dell’umanità. Di cosa è stato lasciato accadere. Non vogliamo ripulire tutto solo perché il mondo possa tornare a far finta di niente.”
Articolo a cura di Rita Barbieri