L’intervista agli artisti di “Celebrating Life”

Si è appena conclusa la mostra alla Tobian Art Gallery e noi di FUL abbiamo intervistato il fotografo Giacomo Pirozzi e la scultrice Liudmila Davydenko.

Dal 1 all’11 aprile la Tobian Art Gallery di Firenze ha ospitato la mostra “Celebreting Life”, sessanta fotografie in bianco e nero che rappresentano i viaggi di Giacomo in giro per il mondo e le sculture di ceramica di Liudmila della serie “Together”. Un’esposizione che rompe i confini portandoci lontani dalle nostre città fin dentro le case di persone di provenienza e cultura diversa. Un percorso che sottolinea la bellezza e la ricchezza della quotidianità e della vita nel suo corso. Osservando le opere – come per magia – si innesca un legame intimo con i soggetti rappresentanti grazie al calore dei loro sguardi, alla vicinanza dei loro gesti. Visitando “Celebreting Life” la potenza comunicativa della fotografia è tangibile. Le immagini visive si uniscono a sculture d’argilla che richiamo l’atmosfera delle diverse nazionalità rappresentate portandoci a riflettere sull’importanza delle connessioni che sono poi l’essenza della vita. La mostra -mDal 1 all’11 aprile la Tobian Art Gallery di Firenze ha ospitato la mostra “Celebreting Life”, sessanta fotografie in bianco e nero che rappresentano i viaggi di Giacomo in giro per il mondo e le sculture di ceramica di Liudmila della serie “Together”. Un’esposizione che rompe i confini portandoci lontani dalle nostre città fin dentro le case di persone di provenienza e cultura diversa. Un percorso che sottolinea la bellezza e la ricchezza della quotidianità e della vita nel suo corso. Osservando le opere – come per magia – si innesca un legame intimo con i soggetti rappresentanti grazie al calore dei loro sguardi, alla vicinanza dei loro gesti. Visitando “Celebreting Life” la potenza comunicativa della fotografia è tangibile. Le immagini visive si uniscono a sculture d’argilla che richiamo l’atmosfera delle diverse nazionalità rappresentate portandoci a riflettere sull’importanza delle connessioni che sono poi l’essenza della vita. La mostra – lanciando un messaggio fondamentale in questo periodo storico – ci ricorda che immedesimarsi nell’altro è il primo passo per intessere dei rapporti umani che permettono di crescere e arricchirsi.

Ne abbiamo parlato direttamente con gli artisti chiedendo loro anche cosa li ha spinti a collaborare.

L’intervista a Giacomo Pirozzi

Come mai hai deciso di organizzare una mostra che espone le tue fotografie?

Ho da poco compiuto sessant’anni e volevo trovare un modo per celebrare la vita, il percorso dell’esposizione fa proprio questo percorrendo le sue fasi in culture diverse. Ho viaggiato in centocinquanta paesi e vissuto in alcuni di essi a cui sento di appartenere. Infatti, vedere il risultato di tanti anni esposto tutto insieme è stato molto emozionante. Era tanto che non riguardavo le fotografie e che non scattavo. È stato bellissimo riaprire queste cartelle piene di ricordi che si sono riaffacciati immediatamente. Ogni immagine rappresenta un momento particolare che mi ha segnato. L’idea di condividerle con gli altri nasce dal desiderio di comunicare proprio la straordinaria quotidianità di contesti diversi dai nostri, con i momenti di gioia e di tristezza tutti vissuti da queste persone con grande dignità e rispetto. Anche se le opere non sono più esposte alla galleria, la mostra è visitabile in versione virtuale sul nostro sito.

Filippine

Si percepisce un legame molto intimo ed empatico con i soggetti rappresentati. Com’è stato fotografarli?

Quelle rappresentate sono persone semplici ma piene di ricchezza interiore. Alcuni dei soggetti fotografati non avevano nemmeno mai visto una macchina fotografica, per questo conoscere il contesto in cui vivono è logicamente fondamentale. Così come lo è comunicare in modo spontaneo e veloce. L’empatia è essenziale per approcciarsi ed interagire con loro.

Hai organizzato anche dei laboratori di fotografia durante i tuoi viaggi per aiutare i bambini che hanno subito un trauma sviluppando una nuova metodologia. Ci puoi spiegare meglio di cosa si tratta?

Durante questi laboratori – organizzati in settanta paesi diversi – ho utilizzato la fotografia come forma di terapia. Aiuto i bambini che hanno vissuto un trauma – a causa di una guerra o di una calamità naturale – a tirare fuori quello che hanno dentro. Il lavoro di reportage fotografico facilita il ritorno sui luoghi in cui l’evento è accaduto e aiuta a raccontare attraverso le immagini le proprie storie permettendo di ricordare quello che è successo esorcizzando paure, ansie e brutti ricordi. Questo percorso rende più semplice accettare poi l’aiuto di psicologi per cominciare un percorso. 

Yemen

Infine, come mai hai deciso di affiancare alle tue opere quelle dell’artista Liudmila?

Ci accomuna sicuramente la sensibilità verso il rispetto dei diritti umani e ora più che mai la ricerca della pace. In questo periodo ci è sembrato fondamentale comunicare questi valori.

L’intervista a Liudmila Davydenko

L’interesse e la rappresentazione – in diverse forme di espressione – della vita umana accomunano i due artisti. La necessità di immergersi nel mondo altrui per conoscerlo e così arricchirsi è il legante dei loro lavori. Ne abbiamo parlato anche con Liudmila, le cui sculture – attraverso mani che si toccano e figure umane in connessione – rappresentano proprio il valore di essere l’uno nell’altro, della vicinanza, del sostegno. La parole chiave delle sue opere è, infatti, “insieme” uniti in un obiettivo comune pur con le proprie diversità e individualità. La comprensione e il sostegno reciproco sono i punti di partenza per essere più forti.

I temi di fondo delle tue opere sono l’unione e l’interazione. In che modo cerchi di trasmetterle e di farle trasparire?

Unità e interazione sono in tutto. Le mie opere parlano per loro perché esse sono una loro parte integrante. Ogni mia scultura è complementare all’altra, i volti comunicano con lo spettatore e vogliono che egli interagisca con loro. Ogni filo modella sguardi, mani, volti. L’amore per l’osservazione e l’estrema attenzione per i dettagli guidano il mio lavoro. Ogni pezzo deve essere finito perché è davvero importante che il lavoro sia tangibile.

Hai unito la pittura alla scultura – le due tue passioni – e affermi che queste due forme di espressione si completino a vicenda. Come mai?

Questo completamento si manifesta soprattutto nella tecnica che uso – della linearità o “principle of shirt” come la definisco io. Un sistema di connessioni non lineari simile al rizoma in biologia che si può notare anche nelle immagini stesse fatte di volti intrecciati, forme e composizioni che interagiscono. Ciò richiama proprio i temi fondamentali che vorrei comunicare.

Vivi il processo creativo come un susseguirsi di domande e risposte in cui le linee tracciate sono momenti fermi nella ricerca della verità. In che modo senti di ricercare la verità mentre dipingi o crei sculture? 

Ogni processo creativo è un dialogo: con il mondo, con sé stessi, con la vita. Mentre creo sento di star facendo quello che devo fare, la vita acquista senso, la mia esperienza e i miei pensieri prendono forma. Anche l’ispirazione per me è un lavoro continuo e quotidiano in studio. Quando ho finito un’opera, nuove idee appaiono organicamente e inizia l’implementazione.

Durante le sue prime lezioni di ceramica portava con sé sua figlia. Quest’esperienza l’ha segnata molto, ci può raccontare perché?

Ho sempre cercato un equilibrio tra vita personale e creativa. Quando frequentavo l’accademia, ho portato ad alcune lezioni mia figlia con me e ho capito che queste due dimensioni sono strettamente intrecciate. Se non fosse per i miei parenti e per mia figlia il mio lavoro sarebbe diverso. La famiglia per me è alla base della vita e durante il mio percorso ho iniziato a non intenderla più unicamente come ad una cerchia ristretta ma riferendomi anche al mio paese. Ognuno di noi cresce e diventa quello che è all’interno della propria famiglia e del proprio Stato. Si è al contempo indipendenti ma uniti.

Quale funzione può avere – secondo te – l’arte davanti alla guerra che stiamo vivendo?

La guerra è in corso su tutti i fronti. Ci vogliono distruggere anche moralmente e culturalmente. Credo che l’arte sia ciò che ci identifica, cementa chi siamo, da dove veniamo e dove aspiriamo ad andare per il mondo. Per questo è estremamente importante. Come diceva Camus “creare significa plasmare il nostro destino”. Questo è esattamente quello che stiamo facendo.

Foto a cura di Tobian Art Gallery

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