Il 24 agosto l’Ucraina festeggia il giorno dell’indipendenza dall’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991. Di questo Paese si parla molto oggi ma se ne è parlato poco in passato, benché da tempi non sospetti ambisca alla NATO e all’Unione Europea. Queste foto immortalano Kiev in un tempo sospeso – tra la rivoluzione di Euromaidan del 2014 e l’aggressione della Russia del 2022 – quando nei fatti la guerra era già presente ma non faceva notizia.
Sono arrivato la prima volta a Kiev in un pomeriggio di giugno del 2018, ovvero tra la rivoluzione di Euromaidan, che cacciò il corrotto presidente filo-russo Viktor Janukovyć, e l’aggressione della Russia. L’occasione era documentare la prima parata del Pride in un Paese post-sovietico. Una manifestazione LGBTQ rivelatesi blindata e scortata dalla polizia per le minacce degli ultraortodossi, ma questa è un’altra storia.
Dell’Ucraina si parla molto oggi per ovvi motivi bellici, ma se ne è parlato poco in passato, poco per un aspirante membro della NATO e soprattutto dell’Unione Europea. Una candidatura che oggi per Ursula Von der Leyen può scavalcare a destra gli stati dei Balcani ancora in attesa. Eppure, già prima del conflitto del 2022, certi dubbi erano già leciti. Perché in Ucraina il livello di reddito pro-capite era pari a quello di un Paese in via di sviluppo, il valore della moneta era inferiore alla rupia indiana, i servizi assistenziali scarsi, i livelli di corruzione da paese africano e le disparità sociali notevoli.
In “Occidente” non si è capito bene che la guerra in Ucraina c’è dal 2014, iniziata con la dichiarazione d’indipendenza dei separatisti della regione del Donbass.
La secessione dei distretti di Donetsk e Lugansk fu una reazione alle proteste di massa di piazza Maidan tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – che raggiunsero il loro apice tra il 20 e il 22 febbraio 2014 – e rovesciarono il governo di Janukovyć. Si trattò della più importante insurrezione in Europa Orientale del dopoguerra dopo quella ungherese del 1956. Tra i manifestanti a Kiev si contarono oltre 100 morti e migliaia di feriti.
Il reporter toscano Alfredo Bosco, come alcuni colleghi più attenti, da subito iniziò a documentare quel focolaio che non è stato mai risolto, diventato poi il pretesto dell’attacco per Putin. Nel 2022 in un’intervista a FUL aveva detto di ritenere sbagliato che prima di allora si parlasse solo di “crisi” nell’est del Paese.
<<Nel 2014 in Donbass c’è stato un conflitto “vero” e tale è rimasto da allora, benché a bassa intensità dopo gli accordi di Minsk. Chi ne era al corrente sapeva bene della tensione politica e sociale che generava all’interno dell’Ucraina e tra questa e la Russia. Questa tensione in Occidente è stata ignorata per anni (nonostante abbia causato ben 14mila morti. NdR). Poi resta l’intervento armato russo improvviso e su larga scala senza una lunga crisi diplomatica che lo preannunciasse ma, lì nel Donbass, chi c’è stato, non si sorprende che sia scoppiata una guerra più grande>>.
In generale, già prima dell’invasione, in Ucraina erano presenti fratture incompatibili con le nostre rigide regole europee e pochi progressi sembravano degni di nota. Sicuramente non per lo stato di diritto e il livello di corruzione.
Nell’attuale conflitto, in corso da due anni e mezzo, gli ucraini hanno trovato una incredibile forza aggregante come mai avevano avuto. Però il nazionalismo identitario, già presente prima della Seconda Guerra Mondiale e sopito per cinquant’anni dall’Unione Sovietica, si era risvegliato con il botto nel nuovo secolo.
Un giro a Kiev prima della guerra bastava per rendersi conto di trovarsi in una apparente moderna capitale europea con tutto il corollario neoliberista: dalla gentrificazione alla speculazione edilizia. I palazzi storici erano abbattuti – non certo dai missili russi – per far spazio a centri commerciali e nuovi uffici per società straniere: macerie diverse da quelle delle bombe, ma non meno pesanti.
In quel contesto, una preoccupante forza di estrema destra nel sistema politico è stata influente, non andava misurata tanto in successi elettorali, che non ci sono mai stati, quanto nella capacità che ha avuto nell’imprimere un violento spirito nazionalista ai governi e a tutto il Paese.
La libertà di stampa (cancellata per legge nel 2023) e di manifestazione del pensiero, era già in crisi prima dell’invasione, con censura per i giornalisti (anche stranieri, il reporter italiano Andy Rocchelli è stato assassinato nel 2014 da colpi di mortaio dall’esercito ucraino e il governo di Kiev non ha mai fornito nessun supporto alla giustizia italiana per fare chiarezza sui fatti) e arresto per gli obiettori di coscienza renitenti alla leva.
Come ha scritto Lorenzo Ianiro su Scomodo, <<[…] Nella storia recente del Paese i gruppi ultranazionalisti hanno giocato un ruolo di primo piano nel confronto per l’affermazione dell’Ucraina fuori dall’orbita post-sovietica, “sporcandosi le mani” ben prima della fase del conflitto inaugurata nel 2022 con l’invasione russa>>.
Quella tra Ucraina e Russia è una guerra tra un nazionalismo e un imperialismo.
Nel momento in cui a Bruxelles ci sono candidati – Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e l’Albania – che sono tenuti in naftalina, l’Ucraina sembra ottenga una corsia preferenziale non in conseguenza della guerra ma a causa della guerra. Non facciamoci illusioni che possa essere solo per empatia con un Paese devastato dal conflitto, altrimenti gli stati nati dalla violenta dissoluzione dell’ex-federazione jugoslava sarebbero tutti membri da vent’anni.
L’Unione Europea, come gli USA, fornisce decine di miliardi di fondi, in gran parte in forniture militari e in piccola parte in aiuti umanitari, ma questi miliardi non sono regali solidali e un domani andranno restituiti dall’Ucraina ai “donatori”. Ovvero, facendoli partecipare al grande banchetto della ricostruzione post-bellica. E imbandire la tavola sotto il rassicurante ombrello europeo e atlantico sarà più apprezzato dagli invitati.
Foto: Francesco Sani