Il Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio

mostro di firenze

Intervista a Paolo Cochi, reporter documentarista e scrittore, autore de Il mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio, che ha messo in fila gli sconvolgenti elementi relativi al più lungo e complesso caso di cronaca nera in Italia.

Paolo Cochi vive e lavora a Roma nel settore della comunicazione cine-televisiva. Dal 1999 è autore e regista, conduce inchieste sui cold case più rilevanti del nostro Paese ai quali ha dedicato – oltre a molteplici trasmissioni televisive – la serie di approfondimento Doc Crime, che tratta noti casi misteriosi italiani. Tra i massimi esperti della vicenda del “mostro di Firenze”, se ne occupa da oltre vent’anni, intervistando coloro che hanno vissuto in prima persona l’inquietante storia, raccogliendo le documentazioni di tutte le fasi processuali e coinvolgendo illustri professionisti delle scienze forensi per la ricostruzione degli eventi. Il pregevole lavoro documentale è inserito all’interno del suo libro Il mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio (Runa editrice, 2020).

L’opera, con la prefazione della criminologa Roberta Bruzzone, ripercorre in maniera imparziale l’intero caso, dal 1968 fino agli ultimi studi di medicina legale e di entomologia forense. La vicenda non è ancora chiusa perché tre degli otto duplici omicidi restano insoluti. Nonostante la narrativa sul caso sia vastissima, questo lavoro è un punto fermo per districarsi nella complessa vicenda che ha terrorizzato Firenze. FUL mira a offrire ai suoi lettori un punto di vista autorevole su alcuni aspetti dell’inchiesta con un’intervista a Cochi e una breve ricostruzione della vicenda.  

Paolo, tu sei tra quelli – come l’avvocato Nino Filastò, esperto del caso – che ritiene ascrivibile al “mostro di Firenze” il duplice omicidio del 1968 a Signa. Quali elementi ti convincono che sia iniziata da qui la serie dei delitti? 

Questo è un pensiero non solo mio e di Filastò, ma anche del Prof. Francesco Bruno – illustre criminologo, con il quale ho scritto dei libri –, del giornalista de La Nazione Mario Spezi e di altri esperti. Gli elementi che attribuiscono il delitto del 1968 al “mostro” sono di carattere oggettivo: l’arma e il munizionamento sono gli stessi che rivedremo poi negli omicidi successivi, ovvero la Beretta calibro 22 e i proiettili Winchester marcati con la lettera H sul fondello. Ma non solo, l’assassino colpisce una coppia, in una notte d’estate, nelle campagne fiorentine, come in tutti gli omicidi avvenuti in seguito.

A Signa troviamo la variante del bambino che secondo me è l’elemento dirimente: in un primo momento non viene visto perché si trova sdraiato, a dormire sul sedile posteriore, ma successivamente la sua presenza inibisce un’operazione di overkilling che poi avviene in tutti gli altri delitti. Pensare a un passaggio di arma e a una combinazione di tutti questi elementi è molto difficile.

Quali elementi suggeriscono che il killer possa essere un soggetto unico? Ritieni, quindi, non vi sia alcun mandante né un insieme di soggetti che agivano in gruppo durante i delitti?

Secondo me il soggetto che agiva era unico. Intanto, sulla base dei dati statistici rilevati dalla criminologia mondiale, omicidi analoghi a quelli del mostro vengono compiuti individualmente. Sarebbe un unicum quello del gruppo di persone che per un lungo periodo si accanisce contro un tipo di vittimologia ben precisa, cioè quella delle coppie; non è mai capitato, potrebbe capitare, ma ad oggi non vi sono evidenze tali da sostenere che sulla scena del crimine vi sia stata la presenza di più persone, quantomeno operanti. È importante sottolineare inoltre che, dalle analisi relative alle escissioni richieste dal Procuratore Pier Luigi Vigna, la mano operante risulta essere stata sempre la stessa, benché l’asportazione avvenuta nei confronti di Susanna Cambi nel delitto del 1981 a Calenzano fu definita più precisa rispetto alle altre.

Ma riguardando attentamente le foto, piuttosto che precisa è limitata in termini di ampiezza, questo può inevitabilmente dipendere dal tempo che aveva a disposizione il soggetto che agiva, dalla condizione di luce, dal terreno, e da altre eventuali variabili. Ritengo che non ci sia alcun elemento che possa  indurre a ipotizzare la presenza di più persone. Non ci sono cioè riscontri relativi al cosiddetto “secondo livello”, né dal punto di vista criminologico, in relazione al quale voglio citare una frase esemplificativa del Professor Bruno: “Se ho il vizio del fumo e voglio fumare una sigaretta, lo faccio io, non la faccio fumare a un altro per poi farmela raccontare”. La serie di omicidi in questione ha carattere maniacale e personale, ma soprattutto difficilmente condivisibile. C’è stato infatti il processo in cui l’ex farmacista di San Casciano Francesco Calamandrei – accusato di essere il mandante dei delitti tra il 1982 e 1985 e di pagare per ottenere i feticci asportati dal “mostro” – venne assolto perché il fatto non sussisteva.

Allo stesso modo, per quanto riguarda la teoria che Pietro Pacciani fosse pagato per compiere i delitti, è stato dimostrato che le cifre rinvenute sui suoi conti non erano tali da poter giustificare determinate operazioni. Non sussiste poi alcuna ritualità, siamo infatti in presenza di quattro duplici omicidi dove sono assenti le escissioni e altri quattro dove invece sono presenti. Non vi è sempre il novilunio, che per molti è stato elemento rilevante per affermare che il killer uccideva in maniera rituale-esoterica. In conclusione, il cosiddetto “secondo livello” così come gli elementi che hanno fatto pensare a una pista esoterica, sono stati forzatamente introdotti per giustificare carenze investigative, perché a quei tempi le indagini venivano fatte in modo molto approssimativo, specialmente nei primi delitti.

A tuo avviso cosa farebbe escludere il coinvolgimento dei “compagni di merende” Pietro Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti?

Partiamo da Pacciani. Ultimamente è avvenuto qualcosa di eclatante di cui nessuno quasi mai parla, anche i giornali lo fanno molto timidamente: si è scoperto che la cartuccia rinvenuta nel suo orto era stata artefatta, come rilevato da due perizie dei RIS e da una del perito. È un fatto gravissimo, se pensiamo anche all’anticipazione ricevuta tramite lettera anonima in cui si indicava proprio questo ritrovamento, che avrebbe costituito una prova per incolpare Pacciani. Il blocco da disegno Skizzen Brunnen, che venne sequestrato durante una perquisizione nella sua abitazione, sembrò inizialmente appartenere a una delle vittime tedesche dell’omicidio di Giogoli del 1983. Quasi sicuramente viene da Osnabrück, la cittadina di origine del ragazzo ucciso, ma c’è una perizia della polizia scientifica tedesca che analizzò il reperto e affermò che i solchi della scrittura nei fogli sottostanti non erano riferibili alla grafia della vittima.

Anche per quanto riguarda le teorie secondo cui Pacciani sarebbe stato ucciso, è stato dimostrato con perizia medico-legale e tossicologica che l’Eolus (medicinale da lui assunto prima di morire) non era in quantità tale da essere considerato dannoso per chi soffriva di cardiopatie. La sua abitazione non presentò segni di effrazione, la porta era chiusa a chiave dall’interno. La sentenza di assoluzione nei suoi confronti fu annullata solo per vizio di forma, quindi muore giuridicamente da imputato ma né colpevole né innocente. Per quanto riguarda Lotti, a mio avviso non era coinvolto. Non fornisce alcun elemento nuovo alla vicenda che poteva conoscere solo chi era presente sulla scena del crimine. Lui ripete malamente ciò che era già stato scritto sui giornali o forse quello che gli fu suggerito di dire. Lotti si autoaccusa e dice di essere stato presente a Scopeti dove furono uccisi i due ragazzi francesi. Ma, nella ricostruzione della scena del delitto, indicò il punto da cui avrebbe sparato Pacciani totalmente opposto a quello in cui si trovavano i fori dei proiettili che bucarono la tenda da campeggio dove si trovavano le vittime Nadine Mauriot e Jean-Michel Kraveichvili.

C’è anche una intercettazione interessante della telefonata tra lui e Filippa Nicoletti (amica del Lotti, fu ritenuta un teste fondamentale dalla Pubblica Accusa. NdR), in cui lei gli chiede se effettivamente fosse coinvolto nella vicenda e lui risponde solo: “Ormai l’ho detto, non posso mica tornare indietro”, aggiungendo poi: “Fanno certi colloqui che alla fine non ce la fai più e t’imbrogliano”. Di fronte a questa situazione, il Procuratore Daniele Propato chiese l’assoluzione di Lotti. Stiamo parlando di una persona che non aveva famiglia, non aveva lavoro, non aveva una casa e viene retribuito dallo Stato 1 milione e 400mila lire al mese perché inserito nel programma di protezione dei pentiti antimafia, anche se non se ne comprende bene il motivo! È ospitato in una località segreta per tutto il periodo dei processi, dal 1996 al 2000, durante il quale nessuno potrà avvicinarlo tranne il suo legale. Va in carcere solo dopo la Cassazione. Ben due avvocati hanno rinunciato al mandato di difesa; l’avv. Falciani e l’avv. Neri Pinucci – con cui ho parlato – mi hanno espresso non poche perplessità sulla gestione degli interrogatori.

Secondo me Lotti aveva un suggeritore, non credo abbia mai visto alcun delitto, conosceva la zona di Vicchio e di Scopeti, ma non era coinvolto. Vanni è tirato in mezzo perché conosceva Pacciani e ritenuto coinvolto nei delitti sulla base di quanto dichiaravano Lotti e Fernando Pucci (amico del Lotti, fu teste chiave nel processo a carico dei “compagni di merende”, dichiarò di essere testimone oculare del delitto degli Scopeti nel 1985. NdR) quest’ultimo invalido civile al cento per cento perché affetto da oligofrenia. Vanni ha sostenuto la sua innocenza fino alla fine, anche dopo la condanna all’ergastolo, pena poi sospesa a causa di motivi di salute perchè era affetto da demenza senile. A suo carico sostanzialmente non c’era nulla.

Tra i sospettati sostieni che non si è sufficientemente seguita la pista del “rosso del Mugello”. Come si è arrivati a questa figura?

Questo personaggio si inserisce nella vicenda dopo il delitto di Pia Rontini e Claudio Stefanacci, avvenuto nel 1984 a Vicchio, in località Boschetta. Ci sono inizialmente due testimonianze: padre e figlio, gestori di una tavola calda a Vicchio, si recano alla stazione dei Carabinieri e dichiarano di aver visto i due ragazzi essere seguiti da un uomo, di capigliatura rossiccia, il pomeriggio precedente alla notte in cui furono uccisi. Nasce quindi un nuovo fascicolo che poi si trasforma in un vero e proprio dossier. Ho iniziato a studiarlo e ho pensato fosse utile concentrarsi in primo luogo sull’arma piuttosto che sul soggetto.

Sono andato a vedere tutti i furti d’arma inerenti la Beretta calibro 22 e da questa mia ricerca è venuto fuori che proprio una pistola di questo modello fu rubata nel 1965 a Borgo San Lorenzo. Di conseguenza ho sentito testimoni presi a verbale, che non possono essere totalmente attendibili a distanza di 40 anni, però qualche particolare somatico è da ritenersi certo. Inoltre, la descrizione fatta dai gestori della tavola calda e dai testimoni successivi coincide con l’identikit creato al computer sulla base di quanto riportato da un membro della comunità Hare Krishna che era a Scopeti la sera di venerdì 6 settembre (i corpi delle vittime verranno rinvenuti lunedì 9. NdR). Tutte queste descrizioni riportano alla foto che si trova in questo dossier. C’è da aggiungere che il soggetto di cui si parla aveva una disponibilità abitativa a poche centinaia di metri dalla cassetta postale di San Piero a Sieve dove è stata imbucata la busta al magistrato Silvia Della Monica, contenente un lembo di seno della vittima francese, e dove poi sono stati trovati dei proiettili calibro 22. Non meno importante è il fatto che la persona del dossier, era stata denunciata in passato per delitti contro la libertà sessuale.

Un altro episodio interessante riguarda la testimonianza di una ragazza che nel settembre del 1985, facendo autostop, ottenne un passaggio in auto proprio da quest’uomo e venne lasciata esattamente davanti alla cassetta delle lettere di San Piero a Sieve, dove qualche giorno prima era stata imbucata la busta contenente il feticcio e diretta al magistrato Della Monica. Secondo la ragazza, durante il viaggio, l’uomo le raccontò della suddetta missiva, quando ancora la notizia non era stata pubblicata sui giornali; il soggetto venne poi interrogato, ma disse di non aver detto niente del genere, poi invece ritrattò dicendo di averlo letto da qualche parte. E questi sono solo alcuni elementi, nonostante i quali questa persona non è mai stata inserita nella lista dei sospettati della Squadra Anti-Mostro (SAM), dove venivano iscritti tutti i nomi segnalati, anche solo telefonicamente. Sembrerebbe che questa persona abbia lavorato nell’ambiente giudiziario.

C’è un impianto indiziario molto forte, che però va confermato dagli atti dell’epoca. Quella sul “rosso del Mugello” non è una mia pista personale – esisteva già un dossier su questo soggetto – e l’ho sviluppata a partire da elementi molto importanti ottenuti dalle ricerche che ho condotto. I risultati sono stati anche sottoposti alla Procura, ma quando ho fatto richieste su un determinato nome c’è stato un atteggiamento di chiusura totale.

Campagna di prevenzione “occhio ragazzi”, 1986

Stai continuando a fare ricerca documentale sul caso e per l’appunto la Procura di Firenze, nonostante il consenso di due magistrati, non ti ha ancora consentito l’accesso agli atti. Ritieni potrebbero esserci documenti decisivi per il caso come ad esempio reperti DNA o altro?

Il primo diniego da parte della Procura di Firenze è avvenuto un mese dopo il primo accesso agli atti effettuato da me e dall’Avvocato Mazzeo, legale della sorella di Carmela De Nuccio (vittima nell’omicidio di Mosciano di Scandicci, 1981. NdR) e dopo aver richiesto la consultazione di documenti inerenti a una persona precisa e a delle circostanze precise. La motivazione è stata la seguente: l’avvocato non aveva il diritto di visionare alcun atto processuale che riguardasse omicidi di altre persone, anche se compiuti con la stessa arma. Poi è stato disposto che la consultazione avrebbe violato il diritto alla riservatezza. In seguito però, con le ordinanze dei due GIP – in cui era dichiarato che, ai sensi dell’art. 116 del Codice di procedura penale, davanti a casi così gravi non sussiste alcuna privacy –, abbiamo ottenuto l’autorizzazione per accedervi.

Ma ancora tutti gli atti richiesti non ci sono stati forniti dalla Procura; siamo perciò di fronte alla violazione delle due disposizioni dei giudici. Ci è stato detto che quello che chiediamo non si trova. A tale proposito, voglio raccontare un fatto molto particolare: un anno fa andai a vedere le carte processuali in Corte d’Assise e nella consultazione mi resi conto che molti atti mancavano all’interno di un fascicolo. C’erano nel sommario, ma di fatto non erano presenti. Ho esplicitato questa lacuna alla dirigente che sorvegliava la consultazione ma nulla è cambiato. Mi chiedo come mai dopo aver pronunciato un determinato nome – che comunque può portare in un vicolo cieco – ci sia stato un cambio di atteggiamento totale. Ci sono due DNA: uno rinvenuto su una scena del crimine e uno ottenuto dalle lettere anonime mandate ai magistrati.

Ancor prima di discutere se quelle lettere sono del “mostro” o meno, ci sarebbe da fare un confronto con nuovi soggetti, visto che il DNA non combacia con nessuno dei sospettati in passato. C’è inoltre la registrazione di una strana telefonata fatta ai Carabinieri di Borgo San Lorenzo (in orario compatibile con l’omicidio del 1984, un soggetto mai identificato denunciò un incidente stradale inesistente. NdR), sulla quale si può fare una perizia vocale facendo dei confronti con i sospettati. In questi documenti ci sono gli elementi per chiudere il caso, anche solo storicamente.

Nel tuo documentario La Zona Oscura affermi che la soluzione del caso risiede nella soluzione dei delitti del 1968 e 1985, ovvero il primo e l’ultimo della serie. Cosa significa?

Soprattutto c’è da porre l’attenzione sull’ultimo, il delitto di Scopeti in cui vennero uccisi i ragazzi francesi, che anzitutto ribadisce l’inaffidabilità delle dichiarazioni di Lotti. Ma c’è dell’altro, anche il Pucci sostiene che i due giovani vennero trucidati nella tenda, quando invece sappiamo che il ragazzo uscì per cercare di fuggire nel bosco, purtroppo inutilmente. Questo delitto ha poi un elemento fondamentale: l’escissione del seno sinistro della ragazza che viene spedito al Magistrato Della Monica dalla cassetta postale di San Piero a Sieve, quindi in un punto geograficamente opposto a quello in cui è avvenuto il duplice omicidio.

C’è poi un nuovo elemento importante che riguarda la data dell’accaduto: stando alle ultime analisi medico legali e di entomologia forense, l’omicidio non è avvenuto domenica 8 Settembre, ma è da retrodatare di almeno 24 ore e questo smonta ulteriormente le affermazioni fatte da Lotti. Ritengo che la soluzione del mistero si trovi nelle carte delle indagini della Procura, che però ancora non ci hanno fornito… 

Illustrazione di Ludovico Venturi @5onounr0bot

ARTICOLI CORRELATI