La Repubblica di Cospaia e le virtù demoniache del tabacco

Nel 1441, per una svista nel tracciato dei confini tra la Repubblica di Firenze e lo Stato Pontificio si creò un territorio franco. Per quattrocento anni la storia della minuscola Repubblica di Cospaia in Toscana fu di capitale importanza per la nascita della nostrana tabacchicoltura.

La storia del tabacco e della sua problematica ricezione in Europa, nel corso del Rinascimento, ha visto un interessante capitolo svolgersi proprio qui, nel centro Italia, quando tale sostanza divenne l’improbabile protagonista di un’epopea tanto effimera quanto spesso dimenticata. I due poli morali entro cui calare il racconto sono un piccolo borgo, Cospaia, situato ai confini tra Umbria e Toscana (oggi in Provincia di Perugia), e la Manifattura Tabacchi di Firenze, autentico punto di approdo di un’avventura culminata nella fortuita invenzione del sigaro toscano.   

Ma partiamo dall’inizio. La scoperta del tabacco da parte degli europei, in età moderna, si accompagnò fin da subito a reazioni contrastanti riguardo la liceità del suo utilizzo. Le virtù terapeutiche di tale pianta erano già conosciute agli abitanti del Perù e dell’Ecuador, all’incirca 18.000 anni fa. Fra i suoi più assidui consumatori si possono storicamente annoverare gli Aztechi, gli Incas (fra i quali pare ne fosse diffusa l’assunzione per via rettale) e non ultimi i Maya, che preferivano inalare i miasmi scaturiti dalla sua combustione. Anche nel resto del continente, tuttavia, il tabacco trovava da sempre largo utilizzo (come fra gli indiani dei Grandi Laghi e gli Tsenacomoco della baia di Chesapeake). Il tabacco giunse nel Vecchio Continente in occasione del ritorno in Spagna della prima spedizione di Colombo, nel 1493. Rodrigo de Xerez, una volta tornato alla natia Ayamonte, destò scalpore proprio per questa curiosa abitudine, che si era portato con sé dalle misteriose “Indie”. È legittimo credere che egli sia stato il primo vero tabagista d’Europa. 

repubblica cospaia tabacco

Le considerazioni che l’establishment del Vecchio Mondo fece riguardo al tabacco, nel corso del XVI e XVII secolo, mostrano in modo plateale quanta potesse essere l’ignoranza degli europei rispetto agli effetti di tale sostanza. In un interessante saggio del suo Il filo e le tracce, dal titolo La riscoperta degli Sciamani, Carlo Ginzburg riporta alcune di tali dotte testimonianze di allora. Le sue fonti (dalla Historia del mondo nuovo di Girolamo Benzoni alla Primera y segunda y tercera partes de la historia medicinal del sivigliano Nicolás Monardes) concordano nel definire il tabacco una pianta demoniaca, con la facoltà di procurare “immaginazioni e fantasmi” (Monardes) e il cui terribile olezzo farebbe tenere una cauta e debita distanza da chi ne fa uso.

Non meno severo nel giudizio è Gonzalo Fernández de Oviedo, autore della Historia general y natural de las Indias (1535), che non si limita a liquidare questo vizio degli indigeni di Hispaniola come “muy malo” e di natura luciferina, ma azzarda addirittura un’ipotesi sull’origine europea di tale pianta, la quale altro non sarebbe che il narcotico di cui si servivano i Traci, nelle celebri descrizioni fatte già anticamente da Erodoto, Curzio Rufo e Pomponio Mela. Quale fu – si chiede Ginzburg – lo strano fenomeno culturale che portò, a quel tempo, a demonizzare il tabacco (oggi droga illegale esclusivamente in Bhutan) rispetto ad altre sostanze, che nella contemporaneità non godono invece della stessa indulgenza? Rispetto all’oppio, alla cannabis e alla coca, lo storico torinese legge nel tabacco una sorta di “vino rovesciato di segno”. Una specie di bevanda non solo sacra ma santa, utilizzata dagli indigeni esclusivamente per culti di tipo idolatrico.

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Di converso, l’atteggiamento distaccato che le fonti ostentano nei confronti delle altre droghe, deriverebbe dalla percezione che allora se ne aveva come di sostanze inebrianti, volte all’esclusivo consumo personale e domestico. Al di là, perciò, di queste interessanti considerazioni socio-culturali, nate sul solco di un secolo di ricerca antropologica sul tema dell’Altro, resta il fatto che il tabacco giunse in Europa come una novità, ben più ambigua del tacchino o dei pomodori. Anzi, è estremamente significativo considerare come si sia trattato a tutti gli effetti del primo prodotto, commerciato simultaneamente in tutto il mondo, ad aver avuto un successo repentino e inarrestabile: la varietà nicotiana tabacum, prodotta in Venezuela, già nel 1607 conquistava il sultano moghul di Dheli, seduceva l’aristocrazia giapponese a Nagasaki e si diffondeva rapidamente nei territori della Sublime Porta (Impero Ottomano).

Le stazioni da cui si diramava la tratta schiavistica atlantica erano già divenute folli di tabacco (in Sierra Leone), mentre in Manciuria la situazione era diventata così insostenibile da indurre il khan, Hong Taiji, a vietarne l’utilizzo (1635). Stessa cosa accadde più o meno un decennio dopo nello Stato Pontificio, quando Urbano VIII dovette emettere una bolla che ne vietasse l’uso, perlomeno in chiesa (1642).

La coltivazione della preziosa pianta, pertanto, avrebbe trovato notevoli ostacoli politici. Ciò nonostante, per quanto attiene all’Italia, è doveroso riportare la storia della minuscola Repubblica di Cospaia, che tanta importanza ebbe, in quei secoli, per la nascita della nostrana tabacchicoltura. Negli anni in cui si svolgeva il Concilio di Basilea (1431-1445) – volto a dirimere una serie di controversie incrociatesi all’elezione di un antipapa – Cosimo de’ Medici prestò la somma di 25.000 fiorini al pontefice Eugenio IV.

Come pegno a tale somma, il Papa cedette alla Repubblica di Firenze il piccolo borgo di Sansepolcro, nei dintorni dell’agro perugino. Al momento di stabilire i nuovi confini, nessuno sembrò rendersi conto che il torrente Rio – scelto appositamente allo scopo – aveva un omonimo, che scorreva proprio di lì a qualche centinaio di metri. Lo stato fiorentino considerò frontiera il Rio a nord, che oggi è il torrente Gorgaccia, i delegati pontifici il Rio a sud, che oggi è il torrente Riascone: così, per una svista cartografica su due piccoli affluenti del Tevere, nacque il territorio neutrale di Cospaia, i cui abitanti si affrettarono a dichiarare l’indipendenza (1441).

Con la sua estensione, di soli 330 ettari, Cospaia rappresentava un utile cuscinetto fra due Stati in competizione: pertanto, nel 1484, i due contendenti ne riconobbero ufficialmente l’esistenza. Non essendo gli abitanti sottoposti alle tasse dei vicini, né tanto meno le merci ad alcun dazio, lo staterello iniziò ben presto a prosperare. Nel 1574 il vescovo di Sansepolcro, Alfonso Tornabuoni, ricevette dal nipote Niccolò dei semi di tabacco, provenienti dal nuovo mondo. L’erba tornabuona – come venne chiamata – iniziò così a essere coltivata. In un primo momento si puntò soprattutto sulla varietà da fiuto, ma a partire dal 1642 (proprio quando il Papa scomunicava i fumatori), il mercato dei tabagisti si accrebbe enormemente, in virtù forse dei divieti (fascino eterno della clandestinità…). Cospaia visse così il suo siglo de oro, amministrata da un consiglio di capifamiglia e dedicandosi alla produzione di tabacco.

Questo stato di cose si mantenne almeno fino al 1724, anno in cui papa Benedetto XIII revocò la scomunica a danno dei fumatori, e le merci cospaiesi iniziarono a essere tassate come qualsiasi altro prodotto agricolo. La suggestiva parentesi si concluse nel 1826, quando i quattordici rappresentanti della Repubblica firmarono il proprio solenne atto di dedizione allo Stato Pontificio. Pare che ogni cospaiese abbia ricevuto, a titolo di risarcimento, un papetto d’argento raffigurante Leone XII. Le vicissitudini territoriali non frenarono, però, un business tanto fertile. Specie a quel punto, alle soglie di un secolo che avrebbe visto la definitiva ascesa del ceto borghese: una classe sociale giovane e dinamica, che amava riflettersi attraverso un qualche tipo di status symbol. E quale miglior segno distintivo, se non una droga che portava il marchio maledetto di una persecuzione secolare, ma che garantiva allo stesso tempo eleganza e charme? Nei territori del Granducato di Toscana, sul modello dell’esperienza cospaiese, si crearono allora molte manifatture tabacchi.

La leggenda narra che un giorno, nel 1815, un carico di tabacco sia stato accidentalmente bagnato da un temporale, abbattutosi d’improvviso su Firenze. Le foglie furono messe ad asciugare, per farne sigari da vendere poi a basso costo. Il successo del prodotto, con disappunto dello stesso Granduca Ferdinando III, fu immediato.

Era nato così, accidentalmente quanto la Repubblica di Cospaia, il celebre sigaro toscano, che, a partire dal 1818, sarebbe stato prodotto nelle manifatture di Sant’Orsola e San Pancrazio, le antesignane della Manifattura Tabacchi eretta dal Monopolio di Stato nel 1933 e oggi gioiello architettonico, vera e propria “città nella città” in via delle Cascine.

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