Al Franchi arriva il Milan di Montella, per un match che è un viaggio nel tempo.
Si accendono di nuovo i riflettori all’Artemio Franchi, un altro posticipo, un altro “classico”, il sapore intenso della partita della domenica sera, è un po’ come il caffè dopo un’abbuffata. Fino a pochi anni fa, prima dell’avvento del “campionato spezzatino”, che ha mescolato gli orari delle partite come si fa con un mazzo di carte prima di una briscolata, il match della domenica sera, era sempre il più atteso, il più avvincente, quello che promette scintille ed assicura emozioni. Per questa settimana sarà ancora così, come una volta, sì, perché Fiorentina-Milan è proprio una di quelle sfide che il professore ci farebbe studiare, se a scuola una delle materie fosse semplicemente il “calcio”.
Una partita di andate e di ritorni, di vecchi amori che si rincontrano per strada, entrambi con il nuovo partner e si battono lealmente per dimostrare di aver fatto la scelta giusta. Sarà proprio così per Vincenzo Montella e per Riccardo Montolivo, vivranno di certo un’emozione speciale, che si colloca esattamente nell’intersezione tra il sorriso e la lacrima. Perché capita al turista che è stato a Firenze per una sola volta, di provare un sussulto nel rivedere Ponte Vecchio, nel rimirare la Cupola del Brunelleschi da Piazzale Michelangelo, figuriamoci se non capiterà a due così, che a Firenze hanno vissuto anni importanti e pregni d’affetto.
Toccherà al mister rossonero provare a farsi rimpiangere, cosa che non successe lo scorso anno, quando affrontò i viola, seduto sulla panchina di una Sampdoria, che mai però, ha veramente sentito sua. Adesso è tutta un’altra storia, dopo qualche tentennamento iniziale, pare che il Milan stia assorbendo quei concetti tattici, legati all’amore viscerale del suo tecnico, per il possesso palla, concetti espressi proprio qui a Firenze, dove ha raggiunto il quarto posto per tre anni di fila, riprendendo quel processo, che vede la squadra viola, regolarmente presente nelle competizioni europee.
Toccherà a Montella cercare di non sbagliare la panchina su cui sedersi, il più classico dei cliché, non sedersi al posto del suo erede Paulo Sousa, portoghese, proprio come un illustre personaggio, che diversi anni prima, aveva fatto lo stesso viaggio.
A quei tempi non c’era ancora il “Frecciarossa” quindi, presumibilmente Manuel Rui Costa ci mise un po’ di più ad arrivare a Milano, ma la sua parabola fu decisamente fortunata. Arrivò a Firenze da giovane promessa e se ne andò da campione affermato. Vestito di rossonero, Rui Costa, raggiunse l’apice dei suoi successi, alzando tutti i trofei possibili, lasciando comunque un ricordo dolce e mai sbiadito.
La questione da puri “amarcord” del genio numero 10 portoghese, ci offre lo spunto per fare qualche passo indietro, e rispolverare qualche ricordo legato a questa sfida suggestiva. Abbiamo scelto alcuni match rappresentativi, sul prato del Franchi, partite di svolte e sgommate sull’erba, dalle immagini in bianco e nero, alla perfezione del superHD.
Correva l’anno 1977, eravamo in settembre, all’inizio del campionato, quando le danze si aprivano ad estate finita, 11 settembre, una data che ancora non significava molto a livello storiografico, ma fu storica, a modo suo, perché fu il ritorno a Firenze del Barone. L’abbiamo già citato in corrispondenza dell’incontro con la Roma, ma non possiamo evitare di parlarne di nuovo, quando si affronta l’altro grande amore dell’oracolo svedese. In quello stesso giorno, a Monza, la Ferrari di Niki Lauda, arrivava seconda, nel gran Premio d’Italia, assicurando al Cavallino il quinto mondiale costruttori consecutivo. In contemporanea, Nils Liedholm sbagliò veramente panchina, o forse lo fece volontariamente, per scatenare le risate e l’entusiasmo dei tifosi, la viola passò in vantaggio ed al 90esimo minuto, quando il successo pareva raggiunto, anche perché Rivera era uscito dal campo, proprio il suo sostituto agguantò un pareggio in extremis. E sapete chi fu quel “galeotto”? Fu Egidio Calloni, altro personaggio storico del calcio condiviso tra Firenze e Milano, tra la maglia viola e quella rossonera, legate da un destino che s’intreccia.
Febbraio 1989, in quei giorni Silvio Berlusconi era impegnato su due fronti. Da una parte studiava, attento, le dinamiche politiche di uno dei suoi predecessori, quel Giulio Andreotti che conduceva il suo sesto governo, tra manovre magiche e coalizioni impossibili. Proprio mentre imparava l’arte, senza metterla da parte, si domandava se la scelta di affidare ad Arrigo Sacchi, tecnico rivoluzionario e visionario, la panchina del suo Milan, fosse stata la scelta giusta. Dopo un lungo inverno difficile, con i rossoneri a corto di risultati, il presidente decise di dare un ultimatum a Sacchi, che si giocava tutto, proprio a Firenze. Non si esagera, affermando che fu una delle partite che hanno cambiato la storia del calcio italiano: la vittoria per 2 a 0 del Milan, firmata Colombo ed Ancelotti, convinse Berlusconi a fidarsi di Sacchi e, di lì a breve, i rossoneri conquistarono il mondo per diversi anni di fila.
In questi giorni di aspre polemiche, legate alla candidatura di Roma per le Olimpiadi 2024, non possiamo non citare la strana partita del 1990. Fiorentina-Milan si giocava di nuovo in febbraio, proprio come l’anno precedente e l’Artemio Franchi era in piena ristrutturazione in vista del Mondiale di Italia ’90, tornato in auge ultimamente, parlando di sprechi e strutture inutili, ereditate da manifestazioni ingombranti. Si giocò a Perugia, in un’atmosfera strana, non certo nella classica bolgia casalinga dei viola, il risultato poi, ebbe importanza secondaria, perché quello era il Milan di Van Basten, quindi anche se la Fiorentina passò in vantaggio per 2 a 0, non ci fu nulla da fare contro il fenomeno olandese. Di quella partita però, ci rimane qualcosa, ci ricorda il perché, quando andiamo allo stadio a Firenze, specialmente in curva, dobbiamo armarci di binocolo per osservare i particolari!
E poi una lacrima, un sussulto, il regalo del Natale 1995 ai tifosi viola, lo fece “Ciccio” Baiano, storico goleador. Firenze era già abbondantemente luccicante e meravigliosa, come ogni dicembre, addobbata a festa, si apprestava ad ospitare un match dal sapore di pandoro e ricciarelli. Quel 23 dicembre prima consacrò un’ascesa, quella di un ragazzone di colore, acquistato dal Milan in estate dal Paris Saint Germain, questo ragazzone iniziava a fare i solchi sui campi della serie A, si chiamava George Weah e, di lì a breve, avrebbe vinto addirittura il pallone d’oro, ma soprattutto fu la data di un nuovo ritorno. Proprio nel 1995, Roberto Baggio, una specie di “reliquia” controversa per il popolo di Firenze, aveva cambiato maglia. Dopo le mille polemiche al momento del passaggio agli odiati rivali della Juventus, dopo svariati show e numerosi successi, il “divin codino” s’infila la maglia del Milan e torna a Firenze. La partita è uno spettacolo pirotecnico. Passano i rossoneri con Weah, ma dopo un minuto pareggia “spadino” Robbiati. Al minuto 54, l’arbitro Pairetto assegna un rigore al Milan, sul dischetto si presenta proprio lui, Roberto Baggio. A Firenze esplode un silenzio tombale, sarà Baggio a rovinare il Natale? Sì. L’indimenticato idolo viola segna, spietato, ma quando tutto pare perduto, “Ciccio” Baiano si mette il costume di Santa Claus e chiude l’incontro con un pari impregnato di emozioni.
Emozioni che torneranno forti e suadenti domenica sera, in una serata speciale, una serata in cui Vincenzo Montella non sbaglierà panchina per far ridere i tifosi, mantenendo il suo tipico “aplomb”, ma quando suonerà l’inno, proprio mentre il “labaro viola” garrirà al vento del Franchi, sentirà quel “groppo in gola” che immobilizza, prima di duellare, leale, per dimostrare che la nuova compagna, vale almeno quanto la storica “ex”.