Quella sporca finale. L’ex calciatore viola Alberto Di Chiara racconta in un libro l’avventura della Fiorentina nella Coppa UEFA 1989/90.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’ex calciatore della Fiorentina Alberto Di Chiara in occasione del festival “Firenze Libro Aperto”, dove si trovava a presentare il suo libro “Quella sporca finale”, edito dalla fiorentina Porto Seguro Editore. Si tratta di un’avvincente narrazione, in prima persona, del percorso dei viola in Coppa UEFA fino alla finale contro la Juventus. Una finale persa con il sospetto che l’UEFA e la nostra Federcalcio desiderassero che i più titolati bianconeri vincessero la coppa, nell’anno in cui il calcio italiano era sotto i riflettori e si apprestava ad ospitare i Mondiali di Calcio (leggi anche la storia di Roberto Baggio).
Il tuo libro racconta quella famosa controversa stagione della Fiorentina che andava piuttosto male in campionato ma in coppa si trasformava e diventava una squadra estremamente compatta. Alberto, la prima domanda che voglio farti riguarda la psicologia dello spogliatoio: cosa accadeva il mercoledì quando giocavate in Coppa UEFA?
“In questo libro mi sono divertito a raccontare le emozioni di un’annata particolare, che giocammo per intero a Perugia. Infatti il Franchi era in ristrutturazione in vista dei Mondiali di Italia ’90 che si sarebbero disputati alla fine di quella stagione. Il campionato fu particolarmente sottotono ma in coppa trovammo la nostra dimensione. Nel mio libro rivivo le sensazioni di quel percorso fino alla finale, iniziando proprio da lì come prologo, dagli stati d’animo di noi giocatori nel sottopassaggio prima di scendere in campo nella partita d’andata a Torino, segnata dagli errori arbitrali che ci penalizzarono e dal paradosso di dover poi giocare ad Avellino la gara di ritorno, in un ambiente ostile, a causa della squalifica del nostro campo di Perugia. Non volevano che avessimo chance di vittoria.”
A mio avviso il climax del libro è il racconto della semi-finale con il Werder Brema, una delle migliori squadre d’Europa e che in quel momento è in testa al campionato tedesco. Partite da sfavoriti ma andate a Brema e strappate un prezioso 1-1 che poteva essere anche una vittoria, sfumata solo nel finale. A quel punto vi chiedete se questa coppa la potete davvero vincere?
“A dir la verità lo “scatto” mentale ci fu nel turno precedente contro la Dinamo Kiev. Avevamo vinto la gara d’andata 1-0, gol di Baggio, ci trovammo a giocare a Kiev in un ambiente militaresco, era ancora l’Unione Sovietica, su un campo completamente ghiacciato. Riuscimmo a resistere sullo 0-0. A quel punto andammo anche a Brema senza aver nulla da perdere e infatti facemmo una partita spettacolare. Purtroppo nella gara di ritorno a Perugia ci fu una pacifica invasione di campo dei nostri tifosi per festeggiare lo 0-0 che ci mandava in finale, così l’UEFA punì la Fiorentina squalificando lo stadio. Avremmo giocato la gara “in casa” della finale contro la Juventus sul campo neutro di un campo neutro! Ad Avellino poi, un feudo bianconero, tanto valeva giocare anche il ritorno a Torino! Peccato, ma fu un periodo molto intenso e purtroppo l’ultima finale europea giocata dalla Fiorentina da molti anni a questa parte”.
Dove collochi questa esperienza nell’arco della tua carriera? Tu poi vai a giocare nel Parma e qualche soddisfazione te la sei tolta.
“Ironia della sorte, vincerò una Coppa UEFA nel 1994 proprio battendo la Juventus in finale! Quella di Firenze resta un’esperienza indelebile perché dal 1990 le squadre italiane cominciano a essere il top del calcio europeo. Allora in Coppa Campioni partecipava solo la vincente del campionato quindi in UEFA c’erano le restanti migliori squadre europee e quella fu una finale tutta italiana. Iniziava il dominio italiano sotto il profilo dei club, peccato perché adesso siamo un po’ declassati rispetto ad altri campionati europei e non riusciamo più a portare nemmeno una squadra in finale di questa competizione”.
Senti Alberto, non pensi che quella finale sia l’emblema della storia della Fiorentina? Un club che ha una tradizione importante ma non riesce a fare il salto di qualità.
“Esatto, a Firenze si arriva spesso a fare delle belle cose ma poi non si riesce ad alzare una coppa… Purtroppo non c’è una spiegazione razionale. Capita che l’entusiasmo porti i tifosi viola a festeggiare delle vittorie di partite come se fossero le vittorie di una coppa, forse succede proprio perché manca di festeggiare qualcosa. Ad esempio un successo contro la Juventus è festeggiato come se fosse una coppa. Firenze dovrebbe scrollarsi di dosso questo aspetto provinciale e cominciare a pensare in grande”.
Negli ottavi di quella coppa affrontate il Sochaux. Di quella squadra è un giocatore importante Faruk Hadzibegic, che a fine stagione sarà il capitano della Jugoslavia ai Mondiali di Italia ’90. L’anno scorso è uscito un libro in cui lui racconta, proprio con la stessa tecnica narrativa come hai fatto tu, l’esperienza della sua Nazionale a quella Coppa del Mondo. Una squadra fortissima di uno stato sull’orlo del baratro e Hadzibegic ha una folle convinzione da allora: se la Jugoslavia avesse vinto quel Mondiale non ci sarebbe stata la guerra civile nel suo paese. Questa premessa per chiederti: se voi aveste vinto quella finale contro la Juventus, anche la storia della Fiorentina sarebbe cambiata? C’è anche qui un effetto “sliding doors”?
“È un aneddoto importante, hai fatto bene a citarlo, quella Nazionale era piena di campioni, potevano vincere tutto negli anni Novanta ma la guerra li ha divisi. La storia e il calcio sono fatti di episodi e di tempismo. Il calcio non è come l’atletica, quanto corri, per dire, ma è fatto di tempistica: quando arrivi al momento giusto. Sicuramente, a Firenze, vincere quella finale allora avrebbe scrollato di dosso questo complesso con la Juventus e il vivere dei tifosi solo per questa rivalità. Può essere che la sconfitta invece abbia condizionato e lasciato alla Fiorentina questo alone di provincialismo. Quindi, sì, quella finale avrebbe potuto cambiare la storia del club e i fiorentini sarebbero scesi in piazza a festeggiare rafforzando anche il senso di appartenenza di una comunità. Così, forse, come una vittoria della Jugoslavia ai Mondiali del ’90 avrebbe potuto far rinascere un nazionalismo in quei popoli e magari evitare la guerra e lo smembramento del loro paese”.
Quei Mondiali invece li vincerà la Germania, appena riunificata. È curioso come spesso la storia e lo sport vadano di pari passo.
“Il calcio è una metafora della vita. Ripeto, è una questione di trovarsi nel momento giusto al posto giusto e in quel periodo storico la Germania vive una situazione di slancio che si riflette anche nello sport. Tutto è riconducibile alla metafora del pallone che sbatte sul palo ed entra in rete oppure esce fuori e la partita, o la storia, poteva prendere un corso diverso”.