“Con queste genti, e con altre con esse, vid’io Fiorenza in sì fatto riposo, che non avea cagione onde piangesse: 151 con queste genti vid’io glorioso e giusto il popol suo, tanto che ‘l giglio non era ad asta mai posto a ritroso, né per division fatto vermiglio”.
Così recita il Canto XVI del Paradiso di Dante, in cui il crociato Cacciaguida ricorda come ancora il giglio non fosse diventato ancora rosso. Si dovrà attendere il XIII secolo per vederlo colorato di rosso in campo bianco, come lo è ad oggi. Quando dopo Montaperti le truppe ghibelline senesi fecero soccombere quelle guelfe fiorentine, trascinando al rovescio il simbolo di Firenze, seguì poi il sopravvento dei Guelfi sui Ghibellini e fu ad allora che la Signoria decise di invertire i colori dello stemma. Così da giglio bianco in campo rosso, simbolo ghibellino, passò ad essere giglio rosso in campo bianco. Divenne, insieme al Marzocco, simbolo di potenza e giurisdizione e ogni municipio del contado sotto il dominio fiorentino doveva esporre in pietra il Marzocco, gonfalone di parte guelfa, e il Giglio, ove esibito, doveva essere riprodotto senza stami, cioè senza gli organi riproduttivi. Solo Firenze poteva averli sul suo stemma a testimonianza della sua magnificenza e dominio. Magnificenza che si riscontra anche contemplando in un bel prato il giaggiolo, iris o giglio che dir si voglia a Firenze; impossibile non notarlo col suo portamento elegante che svetta sopra tutti gli altri fiori.