Performing the self. Vita e arte di Marta Jovanović

Marta Jovanović è una performance artist di livello internazionale, nonché docente alla Rome University of Fine Arts e fondatrice del Performance Art Program presso il Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado. I suoi lavori sono stati presentati in mostre personali e collettive in tutto il mondo, in istituzioni come G12HUB a Belgrado, Location One a New York, Museo della Civiltà Romana a Roma o Centre Culturel de Serbie a Parigi. Nel 2012 è vincitrice del “Premio Roma Capitale” e nel 2013 ha partecipato alla 55° Biennale di Venezia.

In quello stesso anno la curatrice Kathy Battista ha fatto un compendio delle sue prime opere con il libro Performing the Self. Il suo lavoro pone un’interrogativo sui temi dell’identità, la bellezza, il femminismo e la sessualità, rivelando storie personali collegate ai ricordi. Con la connazionale Marina Abramović ha in comune le radici nell’ex-Jugoslavia, quindi porta nelle sue opere la memoria e le contraddizioni di quella terra. La Jugoslavia, è bene ricordare, in ambito artistico fu la patria del Radicalismo.

Nel 2016 il regista indipendente americano Robert Adanto inizia a lavorare ad un documentario che ripercorre la vita e l’arte di Marta. Dopo quasi due anni di riprese tra USA e Serbia, il risultato è Born Just Now. Si tratta di uno sguardo intimo sulla protagonista, una donna moderna che ha scelto la creazione artistica come atto di rinascita da dolorose vicende familiari. Un ritratto molto personale dove, attraverso performance provocatorie che esplorano l’identità, la maternità o il trauma delle guerre balcaniche, si affronta e libera il proprio corpo in nome dell’arte. 

Born Just Now è apprezzato dalla critica e vince come miglior documentario l’Arte Non Stop Film Festival 2019 di Buenos Aires. Nel 2020 fa addirittura incetta di premi: miglior documentario all’Art of Brooklyn Film Festival, al Festival Internacional de Cine de Autor in Messico, all’Arpa International Film Festival di Los Angeles, all’Obskuur Ghent Film Festival in Belgio. E ancora, ottiene lo Dziga Vertov Award for Best Documentary Feature al Chicago International Arthouse Film Festival e l’International Documentary Feature Film Award al Festival de Cine in Ecuador.

Born Just Now - Robert Adanto

Marta Jovanović oggi vive e lavora tra New York, Belgrado e Roma, ma a Firenze – dove nel 1999, all’età di venti anni, si trasferì per studiare – è sentimentalmente molto legata. Nella nostra città ritiene essersi formata come artista e con FUL non mi sono lasciato sfuggire l’occasione per conoscerla meglio.

Marta, la prima cosa che vorrei chiederti è un tuo ricordo personale di Firenze.

I ricordi dei tempi da studentessa alla Scuola Lorenzo de’ Medici sono tantissimi. Vivevo in centro e – camminando per le bellissime vie della città – fu lì che dissi a me stessa che nella vita non avrei fatto altro che l’artista. Se devo sceglierne uno in particolare che mi lega a Firenze, è un episodio avvenuto in seguito, quando quindici anni fa tornai per un corso di restauro.

Un giorno il docente ci portò a vedere una stanza nel seminterrato della Chiesa di San Lorenzo. Lì Michelangelo, ai tempi in cui realizzò la Cappella Sistina, dopo un diverbio con il Papa, si era rifugiato ospite del prete. Quella stanza è piena dei suoi disegni in carboncino e, sul soffitto c’è rimasta un’impronta della sua mano.

Mi ricordo che ho sovrapposto la mia mano alla sua appoggiandola su quelle impronte. Fu una sensazione incredibile, ho letteralmente toccato il mio Dio! Credo che un’esperienza artistica del genere ti può capitare solo a Firenze.

Parlando della scena artistica contemporanea in Serbia, come nasce e quali sono gli scopi del progetto G12HUB?

Nel 2013 – in quel periodo vivevo a New York – nacque questo progetto in una galleria fondata dalla storica d’arte Milica Pekić. Una donna molto in gamba, con una conoscenza unica nel panorama dell’ex-Jugoslavia.

Nel 2015, sotto un’ala del G12HUB, io ho fondato una educational platform con l’idea di fornire uno spazio a chi voleva imparare la performance art, ma soprattutto creare occasione di scambio tra artisti. Abbiamo avuto anche ospiti di livello internazionale, tra i quali Franko B dall’Italia che ha fatto un workshop. 

Marta Jovanović, Selysette. Photo: Petar Vujanic
Marta Jovanović, Selysette. Photo: Petar Vujanic

Marina Abramović è la “causa” di questa tradizione di performance art nell’ex-Jugoslavia?

Marina è partita dall’Accademia di Belgrado nell’epoca d’oro dell’arte jugoslava sperimentale. Purtroppo, negli anni Novanta, prima la guerra e poi la disastrosa situazione economica che ne è conseguita hanno disperso questo patrimonio. Considera che in questa situazione il Museo d’Arte Contemporanea e il National Museum di Belgrado sono rimasti chiusi per un decennio, quindi il pubblico ha perso l’esperienza per l’arte.

La Abramović è tornata ad esporre in Serbia nel 2019, ben dieci anni dopo che il MoMA di New York le aveva dedicato la celebre retrospettiva. Se da una parte è stata acclamata, da un’altra è stata accusata di satanismo! Qui solo da alcuni anni esistono le gallerie d’arte ed è nato un mercato collegato alla produzione artistica. 

Qual è l’eredita della Jugoslavia da un punto di vista artistico? 

Dopo le rivolte studentesche del ’68, il Maresciallo Tito decise di concedere ai ragazzi un palazzo come spazio culturale – ancora oggi sede dello SKC Studentski Kulturni Centar – dove, nonostante il fatto che era finanziato direttamente dallo stato, si sviluppava pensiero autentico e critico, e gli artisti erano coraggiosi e ribelli. Quei giovani, tra cui Marina Abramović, crearono la spina dorsale di una scena artistica innovativa e aperta al mondo. Purtroppo, con la guerra civile negli anni Novanta, tanto capitale umano è stato disperso e c’è stata una diaspora di artisti. In questo momento sono consigliere del Museo d’Arte Contemporanea e stiamo cercando di creare una piattaforma di performance art.

Ci sono dei giovani performer eccezionali, che hanno assorbito il bagaglio della tradizione balcanica pur proponendo cose nuove e originali. Quando ho visitato la retrospettiva sulla Abramović al MoMA, ho scoperto che gli artisti di quella stagione post ’68 avevano archiviato tutti gli appunti sulle loro opere sperimentali e folli. Quindi quell’eredità è continuata a vivere e ci sono sempre di più ricercatori e curatori internazionali, come ad esempio la Dott.ssa Anja Foerschner, che vogliono portare nel futuro quel knowledge.

Come giudichi oggi il livello delle connessioni tra artisti serbi, croati, sloveni e tutti gli altri che fecero parte dell’ex Repubblica federale? 

Personalmente insisto sulla collaborazione tra artisti balcanici. In particolar modo il livello è buono nel cinema e ci sono produzioni miste. Questo perché molti di noi sono di sangue misto, anche in famiglia c’era mio nonno che era un montenegrino che aveva vissuto a Dubrovnik e parlava croato.

Dopo la guerra c’è stata una fase di chiusura nazionalistica, ma non nel mondo dell’arte e degli intellettuali. Lì il nostro paese è sopravvissuto, io mi sento nata e cresciuta dentro “l’estetica della Jugoslavia”. Per questo mi sento a casa se vado in Croazia o in Slovenia, dove torno sempre volentieri per lavoro.

Marta Jovanović, MOTHERHOOD, Photo: Jan Eugster
Marta Jovanović, MOTHERHOOD, Photo: Jan Eugster

Vorrei approfondire la tua affermazione nel film Born Just Now sull’arte come modo per “essere fisicamente nel mondo”. 

Sai, io uso il mio corpo non dal punto di vista estetico ma come strumento di performance. Con il tempo ho maturato la coscienza che dovevo utilizzare la mia presenza fisica in questo corpo in modo “politico”, per trasmettere un messaggio. Il film narra un periodo complicato della mia vita, ma l’idea di fondo era il quesito che mi ero posta su “quanto ancora il mio corpo femminile può sopportare”.

Siccome pure amiche strette mi avevano confidato di aver sofferto di violenze domestiche, ho utilizzato il mio ruolo come persona pubblica per aiutare le altre. Oggi sono molto attiva in Serbia con la rivista ELLE sul tema e loro durante il lockdown hanno fatto una bellissima campagna mediatica contro la violenza sulle donne.

Essere donna e artista è doppiamente difficile?

Noi donne partiamo svantaggiate! Sono rare le donne nella storia dell’arte che sono riuscite a vivere e lavorare come i loro colleghi uomini e nessuna donna sul mercato ha raggiunto le loro cifre. Sembra strano, ma nel XXI° Secolo ancora artisti uomini e donne non sono sullo stesso punto di partenza. Credo che abbiamo ottenuto dei risultati, pensiamo al cinema, ma c’è ancora da combattere per una vera parità. 

www.m-art-a.net