L’Executive Chef Ariel Hagen e il Bar Manager Nicola Spaggiari spiegano come il ristorante e cocktail bar Saporium abbatte i luoghi comuni della ristorazione.
A costo di risultare subito antipatici, mettiamo subito le cose in chiaro: la stagionalità è diventata un’ossessione e non è più sostenibile. Sono partito da questa riflessione tanto scomoda quanto attuale, ancor prima di addentrarmi nella selva oscura di Saporium (che poi tanto oscura non è, vista la luminosa stella Michelin conquistata a un solo anno dall’apertura). Siamo in Lungarno Benvenuto Cellini, nella realtà gemella di Borgo Santo Pietro a Chiusdino. Due facce della stessa medaglia, dalla terra al piatto, col medesimo concetto di base: “autarchia”. Perché lavorando tanto e bene si può riuscire anche ad adattarsi a un contesto storico dove non esistono più le vecchie stagioni – e in questo caso non è solo un modo di dire. Da Saporium tutto è in movimento, in evoluzione proprio come il tempo e lo spazio. Il motto, sia in cucina che al bancone, non poteva che essere quindi uno solo: “La stagione che non c’è”. Cosa significa? Ce lo spiegano direttamente l’Executive Chef Ariel Hagen e il Bar Manager Nicola Spaggiari con due lettere aperte sul loro approccio F.U.C.K. nel “luogo del gusto” di Firenze, creato dallo stesso Ariel insieme agli imprenditori danesi Claus e Jeanette Thottrup. Lo dice l’etimologia stessa della parola saporium.
Ariel Hagen – Executive Chef Saporium
«Partendo dal presupposto che la mia vita si basa sulla cucina, ciò che mi rende vivo è proprio la libertà di espressione che trovo attraverso di essa. Per me la cucina è una forma di comunicazione che mi rende libero, è ciò che ho vissuto e anche ciò che voglio condividere con i miei ospiti. La stagione che non c’è è una filosofia che nasce da un’esigenza ben precisa. Era il 14 marzo 2023, il giorno dell’apertura di Saporium a Firenze.
Da grande seguace della scuola marchesiana, sono sempre stato solito cambiare i miei menu seguendo solstizi ed equinozi: il modo migliore, o almeno così pensavo, di omaggiare il corso delle stagioni. Quando però, a causa di un inverno molto particolare, mi sono reso conto delle difficoltà di reperibilità dei prodotti, persino nel mio orto e dunque in uno spazio che io stesso controllo e vivo ogni giorno da mattina a sera, in preda alla rabbia e al dispiacere ho riflettuto sul concetto di “una stagione che non c’è più”. In quel caso, a non esserci più come eravamo abituati a vederla, era la primavera. La primavera del 2023, ossia l’inizio di un nuovo corso per me, per la mia cucina e per Saporium in toto. Ho iniziato allora a scavare con le mie mani nei nostri orti di Borgo Santo Pietro, scoprendo tuberi, funghi e tanti altri prodotti inusuali per un classico menu di primavera. Ecco a voi la stagione che non c’è, una rivoluzione culinaria che vuole sfatare il mito di una parola troppo usata oggigiorno che è “sostenibilità”.
La stagione che non c’è è una promessa, un impegno, una nuova etica per me e per i miei ospiti. Dalle verdure alle carni fino al pesce, col menu dedicato Pes-care, da intendersi come take care of the fishing. Il piatto, all’interno di questo lungo viaggio, è solamente l’ultimo dei racconti. Ovviamente deve essere fatto bene, ma dietro c’è un mondo intero. Un mondo che è cambiato, cambia e continuerà a farlo, una forza della natura che non possiamo controllare ma che dobbiamo sforzarci di esaltare. Con quello che abbiamo, facendo di necessità virtù. Questa per me è la stagione che non c’è».
Nicola Spaggiari – Bar Manager Saporium Lounge
«La stagione che non c’è è il nostro modo per raccontare la quotidianità. Allontaniamoci dall’idea di stagionalità, perché oggi non possiamo più permetterci di creare e cercare qualcosa che ormai ci sta sfuggendo di mano. Da Saporium, sia in cucina che al bar, abbiamo la voglia e il bisogno di trasmettere quello che è la realtà. La stagione che non c’è non può essere racchiusa in un singolo significato, va ben oltre. È rivoluzione vera di tutti quei paroloni e concetti che vengono usati da anni.
Siamo noi, siamo Saporium, un gruppo di ragazzi che si trova la mattina presto per andare a fare foraging nel bosco, che fa la corsa alla raccolta del sambuco quando i primi alberi cominciano a profumare. Siamo quelle stesse persone che si mettono la divisa da servizio e ti regalano un viaggio nel proprio mondo. Ogni menu nasce con questi punti di partenza, per trasformarsi semplicemente nella libera espressione della nostra quotidianità. Siamo atipici, a volte risultiamo esuberanti e andiamo controcorrente, ma nel farlo siamo semplicemente noi stessi. Questo stile di vita ci sta portando avanti, ci spinge a progettare e creare già oggi il domani.
Andando su un aspetto tecnico, la stagione che non c’è è guardare infatti anche al futuro con gli ingredienti che abbiamo a disposizione adesso. Prendiamo il singolo prodotto, lo trattiamo in modo da valorizzarlo nel miglior modo possibile. Se ci piace, lo usiamo, lo conserviamo ed è lì che parte la visione di un concetto senza sprechi. Non buttiamo via niente, quello che per molti è uno “scarto” per noi diventa la base per una nuova scoperta. Mi riferisco ad esempio al recupero di una preparazione di una portata del menu gourmet di Saporium, dalla quale è nata una delle nostre kombucha più interessanti. Si chiama “Pickles” perché viene realizzata con lo scarto dei cetriolini messo a macerare con lo zucchero. Pensate che l’olio essenziale che ne deriva, estratto con la parte acquosa del cetriolo, è stato mandato in produzione al nostro Fermentation Lab a Chiusdino».
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