Da Tito ai Nirvana: un viaggio lungo il confine sloveno

Jugoslavia

A 30 anni dall’indipendenza della Slovenia, un reportage lungo il confine che fu tra l’Italia e la “cortina di ferro”.

Tu-je-Jugoslavija – “Qui è Jugoslavia”. Siamo arrivati a Kojsko, tra le valli del Collio, alcuni chilometri a nord di Gorizia dopo 5 ore di auto da Empoli. Appena passato il confine sloveno, notiamo su una vecchia casa una scritta sopravvissuta alle intemperie ma non alla Storia. Queste terre nel corso del ’900 sono appartenute all’Impero Austro-Ungarico, al Regno d’Italia, alla Jugoslavia e infine Slovenia. Qui – dopo la Prima Guerra Mondiale e con l’avvento del Fascismo – il regime di Mussolini si adoperò per cancellare l’identità della popolazione autoctona slava. Divieto di parlare sloveno, deportazioni, arresti, torture e insediamento di coloni italiani. Nacque una tenace e silenziosa opposizione che divenne guerriglia di resistenza quando nel 1941 l’Italia, insieme alla Germania nazista, aggredì la Jugoslavia. Nella primavera del 1945, il territorio compreso tra Gorizia, Monfalcone, Trieste e la Dalmazia, fu liberato dai partigiani dell’Armata Popolare Jugoslava che l’occuparono per 40 giorni prima di lasciarlo agli Alleati. Il destino delle terre giuliane rimase in sospeso fino al 1954, con l’ipotesi di uno stato autonomo governato da un mandatario dell’ONU

Nel 1948 la neonata Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ruppe con l’Unione Sovietica e scelse di essere un paese neutrale. Così, USA e Gran Bretagna pensarono con calma, senza penalizzare né italiani né slavi, al destino del Free Territory of Trieste. Nel 1953 lo divisero in due zone, A e B, infine nel 1954 con il Memorandum di Londra la decisione: la zona A sotto il governo di Roma, la B sotto quello di Belgrado.

Ci furono inconvenienti: il confine, tracciato a tavolino, separò con una linea villaggi e famiglie. Perfino un cimitero rimase diviso in due e fu messo il filo spinato tra le tombe! Da una parte l’Occidente capitalista e la NATO; dall’altra il “Socialismo dell’autogestione” e il carismatico Maresciallo Tito a guida di un crogiolo di popoli da Lubiana a Skopje. Ma la frontiera non fu rigida e nel tempo si fecero aggiustamenti, definitivi con il Trattato di Osimo del 1975. Ecco, con una nazione che non esiste più da 30 anni cosa rimane di quel confine? Dopo una sosta al sacrario militare di Oslavia, lo abbiamo percorso da nord a sud lungo la Strada Statale dell’Isonzo e le sorprese vanno ben oltre la scritta di Kojsko. 

Gorizia oggi non è più divisa in due, ma un tempo la “cortina di ferro” iniziava da piazza della Transalpina. Una placca d’acciaio ricorda dov’era tracciata la frontiera dal 1947, smantellata solo nel 2004 con l’ingresso della Slovenia nella UE. A memoria, dentro la stazione ferroviaria di Nova Gorica hanno conservato il cartello che era al varco fino al 1991 – Socialistična Federativna Republika Jugoslavija – e la stella rossa in metallo sul tetto. Ma, alzando gli occhi verso il Monte Sabotino, la scritta in pietra lunga 100 metri e alta 25, recentemente liberata dalla vegetazione, è tornata a guardare verso l’Italia: TITO. Gli sloveni hanno sostituito sui monumenti tutti i riferimenti alla vecchia federazione, ma Josip Broz “Tito” – fondatore dello stato da cui hanno dichiarato l’indipendenza nel 1991 – gode di rispetto!

Come ancora integra da 75 anni, su una casa di Jamiano, è la scritta in vernice al mineo – un antiruggine usato ai cantieri navali di Monfalcone – Hočemo Jugoslavijo: “Vogliamo la Jugoslavia”. Chi l’ha vergata rimase deluso: gli Alleati posero la frontiera un km più a est e il villaggio rimase all’Italia. Eppure, un momento di raccoglimento al monumento ai partigiani lascia pochi dubbi sull’etnia dei caduti nella guerra popolare di liberazione dal Fascismo. 

Arrivati nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia, ci sorprende il Movimento Trieste Libera, che tra il serio e il folkloristico ricorda l’autonomia: Welcome in the free territory of Trieste” si legge in piazza della Borsa. Per gli Alleati il porto di Trieste fu strategico per inviare i rifornimenti del Piano Marshall all’Austria e questo favorì la restituzione della città all’Italia. Ma il confine è subito alla periferia. All’alba del 27 giugno 1991 quel confine destò l’allarme degli italiani a causa di strani movimenti militari: due giorni prima la Slovenia aveva dichiarato l’indipendenza, dando il via al processo di disgregazione della Jugoslavia.

La situazione si risolse con una guerra lampo di 10 giorni. Le milizie di difesa territoriale ebbero la meglio sui militari di leva della Jugoslovenska Narodna Armija di stanza nelle caserme: l’esercito, colto di sorpresa, non se la sentì di sparare sui propri connazionali. Ironia della sorte, era sloveno il primo milite federale ucciso negli scontri con gli indipendentisti! 

A Belgrado, i vertici militari della JNA erano pronti a inviare l’artiglieria pesante, ma l’ordine di attaccare non partì: in Serbia la guerra “vera” la si stava già preparando in Croazia e Bosnia… Allo stesso tempo, spregiudicatamente, Germania e Vaticano riconobbero la Slovenia: in Europa nasceva così il primo nuovo stato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, mentre i Balcani si infiammavano

Il nostro viaggio finisce al Teatro Verdi di Muggia. Il 16 luglio 1991, l’agenzia Buba Promotion di Lubiana mandò un fax a Seattle: data la situazione di instabilità politica, meglio annullare i tre concerti dei Nirvana previsti in Jugoslavia per il tour europeo di Nevermind. Ma Kris Novoselic, di origine croata, non volle rinunciare al pubblico slavo e chiese di suonare nella location più vicina al confine. Così, il 16 novembre, Kurt Cobain e compagni si esibirono nell’ultima città italiana prima di entrare in Istria. Riusciranno effettivamente a suonare in Slovenia nel 1994, ma ovviamente è il live a Muggia che arricchisce la lista di storie e leggende legate a questa frontiera.

Una frontiera che non vogliamo più vedere, auspicando una futura memoria condivisa per italiani e sloveni sul passato di queste terre.

Testo e foto di Francesco Sani e Marco Cappelli.