You Have To Go Faster Than The System

Ashley Lane

Qual è il significato della fotografia e del giornalismo? Il fotografo e scrittore americano Bil Brown ha concesso a FUL una sua riflessione.

Nel primo decennio degli anni 2000 eravamo in molti ad essere stimolati da persone che cercavano di ridefinire cosa significasse lavorare in modo creativo, tutti ispirati dai nostri predecessori in quello che sarebbe stato presentato come “punk”, “industrial” o altro. Ci identificavamo in quello che disse una volta Vivienne Westwood: you have to go faster than the system.

Siamo andati così veloci che ci siamo bruciati ad entrambe le estremità! La maggior parte di noi, pur ispirata come una volta, si è accontentata. Abituati a quell’unica cosa che sopravvivesse, diciamo, a un collasso economico, o avrebbe soddisfatto forse un desiderio. Per me non è mai stata una questione di “fashion” o “lifestyle”. Ma come qualsiasi altra cosa, le persone amano il tuo lavoro finché non si rendono conto di quello che realmente stai facendo e poi ti detestano.

A muovermi erano quelle cose che le persone temevano, la repulsione che era radicata sia nelle cosiddette ideologie liberali sia nelle cosiddette ideologie conservatrici: odiano la violenza ma vorrebbero eliminare quelli che la pensano diversamente. Si fanno impaurire da un simbolo invece di sovvertirlo e farlo proprio, così danno a quel simbolo un significato più potente di quello che meriterebbe.

Negli USA, abbiamo solo due partiti politici viatici di molte voci e così tutto diventa polarizzato. Mentre parlo con i miei amici dell’agenzia Magnum, mi è chiara una cosa: la stampa è indubbiamente un agente della polarizzazione. Metà delle agenzie è da considerarsi composto da “giornalisti” e l’altra metà da “documentary artists”. Ho un Fine Arts Master in scrittura e sono fotografo professionista da oltre 20 anni, quindi posso dire <<me ne frego se sarò mai un giornalista>>! Sono stato editore di un magazine, mi sono autopubblicato e altre storie del genere, ma non ho mai pensato di aggiungere qualcosa alle “news”. Quello che faccio va al di là di questo, come ha detto il direttore di Wired Chris Anderson, “io non credo nei fatti, credo nella verità”.

Uno scatto di Bruce Gilden – un fotografo americano, noto soprattutto per le sue candide foto ravvicinate di persone per le strade di New York – o una pagina di un qualunque libro di Antoine D’Agata – scrittore, fotografo e regista marsigliese indagatore di ambiti fisici ed emotivi come l’oscurità, la paura o la sessualità – ti racconterà sul mondo più di quello che necessiti di sapere.

La fotografia ha il problema di avere solo la nomenclatura delle altre forme d’arte per descriverla. Non è come la pittura o le illustrazioni, specialmente quando non accompagna un articolo. Non è propriamente il racconto di una storia e non è letteratura, però potrebbe essere vicina alla poesia.

Ma in realtà il potere della fotografia consiste nel nascere esattamente lì dove il fotografo si trova quando viene scattata. Anche i miei ritratti hanno vissuto, per un millesimo di secondo, anche se non me ne sono accorto sul momento. Se riusciamo a sfruttare questo medium per quello che è il suo vero potere, tutto il resto è irrilevante. Alcuni potrebbero usare 1.000 parole per descrivere una foto e altri anche ulteriori 1.000 parole, fatto sta che con la scrittura e la creazione artistica non hai bisogno di essere lì presente. Che fottuta menzogna!

Un artista letteralmente è qualcuno che “tira fuori qualcosa dal niente”. Così fa anche un giornalista. Basato su mezzi ideologici, pur sotto gli standard e l’etica del giornalismo, usa ancora le parole per perseguire l’elusivo: niente è oggettivo, questo è il problema!

Come voi di FUL, sono stato anch’io editore per 5 anni di un magazine indipendente. L’unico modo per fare davvero gli indipendenti è non prendere soldi, o solo un pò di soldi, ma chiaramente non è questo quello che vuole sentirsi dire un editore. Così sono uscito dal coro e ho lavorato solo con i magazine che essenzialmente mi lasciavano fare quello che volevo… Ma poi ho dovuto trasformare il fashion in qualcosa di relativo e questo diventa stancante, perché di per sé è anch’esso vendita di merci. Allora ho pensato a Helmut Newton, che sfruttava le commesse pubblicitarie per la sua arte e dopo a nessuno importava se fosse Chanel, Dior o un semplice ritratto fotografico: sempre illustrativo, ma almeno sul gradino più alto!

Se questo lavoro dura per una stagione o una campagna, come un prodotto con la scadenza, in pratica fare un editoriale è letteralmente fare qualcosa che poi finisce nella spazzatura! Dopo un mese sarà irrilevante, a meno che non si faccia qualcosa che duri. Per questo adesso uso la tecnica del fashion in stile documentario, abbinandolo alla street photography o a un evento che sta succedendo al momento… Spero che qualcuno si ritrovi in queste parole.

Text & photos courtesy of © Bil Brown

*Bil Brown è un fotografo e scrittore americano di base a Los Angeles. Da oltre 20 anni si occupa di cultura visuale e del suo impatto sull’umanità in senso lato.

bilbrown.com

Cover photo: Ashley Lane © Bil Brown, 2017.

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