
Da Firenze al Sudafrica in bici: il viaggio di Dario Franchi
A 22 anni ha percorso 22.300 km attraversando 20 paesi in solitaria, dormendo in tenda e vivendo con pochi euro al giorno. Un’avventura estrema tra sopravvivenza, incontri e voglia di raccontare il mondo.
Volevo attraversare l’Africa in bicicletta. Senza soldi, con una bici vecchia, senza esperienza. Sapevo solo che dovevo farlo. A 22 anni, Dario Franchi ha attraversato tutto il continente africano in sella a una bicicletta. Lo ha fatto partendo da Firenze con un sogno più grande di lui: pedalare verso l’ignoto. E raccontarlo.
Il sogno: attraversare l’Africa
Tutto è iniziato a 19 anni, appena finita la scuola. Dario e il suo amico Oliver decidono di partire: niente sponsor, nessun supporto tecnico, solo due vecchie mountain bike, una tenda, un fornellino e una mappa. Il progetto è ambizioso: partire da Firenze per arrivare fino a Capo Agulhas, Sudafrica, il punto più a sud del continente.
Quando abbiamo finito la scuola, io e Oliver ci siamo guardati e ci siamo detti: andiamo. Volevamo vivere un’avventura vera. Un viaggio epico. Avevamo soltanto due vecchie mountain bike e zero esperienza. Nessuno ci credeva, neanche la mia famiglia. Ma la testardaggine ci ha convinti a provarci, e così siamo partiti.
Il 10 ottobre 2022 partono da Firenze e iniziano a pedalare. In cinque mesi attraversano l’Europa e arrivano fino in Guinea. È qui che il primo viaggio si interrompe: i soldi finiscono, i problemi si moltiplicano, e Oliver decide di fermarsi. Dario torna a casa. Ma solo per un po’.
Non mi sentivo soddisfatto. Avevo attraversato l’Europa e l’inizio dell’Africa, ma la parte che mi affascinava davvero veniva dopo: le terre meno battute. Così sono tornato insieme ad Oliver, ma mi sono subito rimesso a studiare per portare avanti il progetto da solo. Dopo quei primi mesi di viaggio avevo capito cosa mi sarebbe servito, così ho lavorato una stagione invernale in un rifugio per mettere da parte qualche soldo e sono ripartito. Questa volta da solo.

13.500 km di solitudine e libertà
Agosto 2024. Dario riprende il viaggio dal Senegal. Da lì pedala per oltre 13.000 chilometri, attraversando alcuni dei paesi meno battuti e più instabili del continente. In tutto, il viaggio dura tre anni (compresi i mesi di pausa), 383 giorni effettivi in sella, 22.300 chilometri totali, 20 paesi attraversati.
In certi paesi la situazione politica cambia da un giorno all’altro. Ho attraversato zone con un alto tasso di rapimenti, quindi dovevo studiare tutto nei minimi dettagli, avere piani B, C e D. Ma il rischio faceva parte del gioco. Non sapevo mai cosa sarebbe potuto succedere il giorno dopo. Ed era proprio questo che mi spingeva a continuare.
L’Africa subsahariana lo mette davanti a sfide quotidiane: visti difficili da ottenere, instabilità politica, strade complessa da percorrere, soprattutto durante la stagione delle piogge. Ma durante il suo ritorno in Italia, prima di ripartire, Dario ha studiato ogni mappa, ogni piano B, e si sente più pronto ad affrontare ogni ostacolo.
In Nigeria prende la malaria, dorme ai checkpoint sorvegliati da militari armati. Spesso spinge la bici nel fango con l’acqua fino al collo. Mangia per giorni riso cotto con un fornellino a benzina. Dorme sotto i ponti, in mezzo al deserto, nelle foreste pluviali.
Molti pensano che viaggiare sia una cosa per ricchi. Io dormivo nella mia tenda, sotto i ponti, nei deserti, tra i monti. Cucinavo riso con un fornellino a benzina. In Africa puoi vivere con pochissimo, se sei disposto a rinunciare a tutto il resto.

L’umanità ai margini
Nel suo racconto, però, c’è anche tutta la bellezza degli incontri. I bambini che lo rincorrono in bici, le famiglie che lo ospitano pur non avendo nulla.
Nei villaggi più sperduti le persone non avevano mai visto un occidentale. Mi guardavano come se fossi un alieno. I bambini ti rincorrono. Ma ti ospitano, ti nutrono, ti proteggono anche quando non hanno niente. E lì capisci quanto poco ti serve per sentirti parte di qualcosa.
Le città, invece, sono spesso più complesse, cariche di tensioni, pericoli, contraddizioni. Dario osserva tutto con rispetto, si adatta, impara. Ma tiene sempre alta l’attenzione: In certi luoghi, basta un errore per mettere a rischio la vita.

Tornare a casa
Al suo ritorno, il mondo gli sembra troppo facile. “È tutto comodo, tutto sicuro. C’è bisogno di tempo per riabituarsi”. È rientrato da appena venti giorni, e già sta pensando alla prossima avventura. La voglia di esplorare non si è esaurita, anzi.
Mi interessano i posti dove non è mai stato nessuno. L’ignoto mi affascina. Vorrei fare di questo il mio lavoro: viaggiare e raccontare. Ho mille idee: voglio creare documentari, usare i social per raccontare questi viaggi, farne un lavoro. Durante il viaggio, i social mi hanno aiutato tantissimo. Anche a trovare ospitalità!
Oggi sta lavorando a nuovi progetti: documentari, contenuti per i social, collaborazioni. Durante il viaggio ha mandato messaggi audio a Radio Immaginaria, che li ha trasformati in un podcast (“Bike Bro”), e ha documentato tutto con video e fotografie, che ha pubblicato più o meno regolarmente (connessione permettendo) sui suoi canali social.

Cosa resta
Il momento più bello? Impossibile sceglierlo, mi confida. I più duri? Ce ne sono stati tanti. Ma anche quelli fanno parte del percorso.
Ho capito che la vera avventura è partire senza sapere come andrà. Con la consapevolezza che ti trasformerà. E che i limiti, spesso, sono solo nella nostra testa.
Perché non è solo una storia di chilometri, ma di orizzonti aperti. Quelli che si conquistano un giorno alla volta. Pedalata dopo pedalata.

Il viaggio come racconto
Dopo la nostra chiacchierata, mi rendo conto che Dario non è solo un viaggiatore. Il suo sguardo non è quello di chi cerca il record o gloria, ma di chi vuole conoscere il mondo per capirlo e per restituirlo, a modo suo, anche agli altri.
Mi vedo come un esploratore, in una forma più moderna. L’idea di partire senza sapere cosa succederà, e di dovermi inventare tutto strada facendo, è ciò che mi fa sentire vivo.
E forse è proprio questo il cuore della sua impresa: la voglia di mettersi in gioco senza filtri, con coraggio e incoscienza, ma anche con rispetto per tutto ciò che si incontra lungo il cammino. Come facevano gli esploratori veri, quelli che cercavano terre sconosciute. Oggi, che di terre sconosciute ne sono rimaste ben poche, forse l’ignoto si trova dentro la scelta di lasciarsi cambiare dal mondo.