Fëdor Dostoevskij a Firenze

Anna Grigor’evna Snitkina è stata moglie e biografa ufficiale del grande romanziere russo Fëdor Dostoevskij. FUL ha immaginato come Anna avrebbe potuto raccontare il soggiorno a Firenze insieme al marito nel 1869.

Dal diario di Anna Grigor’evna Snitkina. 

Provo ad addensare in poche pagine le scritture convulse di questi mesi d’amore e dolore, di drammi e paure, serenità e torpore. Siamo arrivati qui che era la fine di un autunno in fuga dalla morte. La piccola Sonja se n’è andata con un sospiro, dopo appena centoventi giorni dalla sua nascita. La nostra bambina, il fulcro delle nostre vite, schiacciate dall’impotenza.

Siamo giunti da Milano, una città grigia, rigida; l’Italia la immaginavo diversa. Fëdor credeva di trovarvi pagine preziose di cui abbuffarsi e un’illuminazione speciale per continuare a scrivere il romanzo, ma non è stato così. Allora siamo partiti alla volta di Firenze, la Capitale del Regno, un crogiolo di Storia e storie, la culla del Rinascimento, diventata meta della nostra bramata rinascita. D’altra parte Firenze è un’ode all’arte e alla bellezza, le sue strade sono intrise di romanticismo, e sapevo che, da sempre, questi luoghi senza tempo hanno esercitato un potente richiamo sulle anime sensibili e sui viaggiatori in cerca di ispirazione. 

Fëdor vi aveva già soggiornato, anni fa, e mi aveva raccontato ogni particolare del suo viaggio con occhi ardenti di passione. Era l’agosto del 1862 e alla stazione di Santa Maria Novella scesero da un treno due strani turisti che parlavano il russo. Domandarono a un vetturino di condurli presso un alloggio poco costoso, nel centro della città, e la carrozza si fermò alla Pensione Svizzera. Il portiere ci mise diversi minuti ad annotare correttamente i nomi dei due nuovi clienti: Dostoevskij e Strachov. Strachov, caro e stimato amico, filosofo, critico letterario sopraffino, condivideva con Fëdor  sogni e visioni. Cacciato dalla sua amata patria, mio marito amò subito Firenze: l’Arno coi suoi ponti mozzafiato gli ricordava il Neva e la Fontanka, Pietroburgo non era mai stata così lontana e così vicina come in quei giorni felici. Tra discussioni roboanti sull’esistenza e risate rumorose davanti a bottiglie di vino rosso toscano, passeggiavano, ammiravano, annotavano, s’ispiravano. Ho scritto una lettera per conto di Fëdor a Strachov, pochi giorni fa, appena abbiamo finito la stesura del romanzo. Mi ha dettato queste parole: 

“Ricorda le nostre serate con le bottiglie di Firenze? Lei ogni volta era più previdente di me, si procurava due bottiglie e io una sola, sicché, finita la mia, mettevo le mani sulla sua, ma non sono orgoglioso. Comunque passammo bene quei cinque giorni a Firenze…”

Quando arrivammo, io e Fëdor, la città ci accolse con la sua maestosità e la sua bellezza senza pari, le opere d’arte parlavano alla nostra anima. I capolavori custoditi nella Galleria degli Uffizi e nell’Accademia c’incantavano con la loro grandezza e perfezione. L’arte del Botticelli, di Michelangelo e di tutti i maestri rinascimentali, risvegliava in noi un senso di stupita meraviglia e ammirazione. Ci circondava un’atmosfera densa di magia, che dissetava la nostra creatività, sprigionando in noi una passione ancor più profonda per l’arte. Ricordo nitidamente le parole di Fëdor, di fronte alla cupola di Santa Maria del Fiore.

«Amore non senti qualcosa di straordinario nell’aria? È come se la città stessa fosse un incantesimo che ci avvolge, risvegliando emozioni e sensazioni che non si riescono a spiegare. Ogni angolo emana bellezza senza tempo. Camminando per queste vie acciottolate, mia cara Anna, lo senti il cuore battere all’unisono con il ritmo pulsante della città?»

Firenze ha dato voce alle nostre passioni, ci ha invitati a cogliere ogni istante e mi ha regalato un amore che sarebbe durato per tutta la vita. Cielo…! A furia di fargli da stenografa e dare voce alle sue narrazioni, sto scrivendo proprio come lui, che vergogna! Scimmiottare il suo stile, neppure la sua amata ne sarebbe degna! E pensare che noia le prime volte che mio padre mi parlava delle opere del signor Dostoevskij! Invece m’innamorai presto dei suoi scritti e poi di tutti i suoi difetti, fino a diventare sua moglie. 

L’amore, dicevo, ci ha travolto a Firenze; la disperazione per la perdita della piccola Sonja si attenuava con dolcezza mentre guardavamo il sole scivolare nell’aria rossa sulla superficie del fiume, seduti, mano nella mano, sulle scale di Piazzale Michelangelo. Ma c’è stato di più.

Firenze è stata uno specchio per Fëdor in cui riflettere la sua anima complessa e tormentata. Si perdeva nei labirinti dei vicoli, si commuoveva di fronte all’immensità dei monumenti storici e delle antiche chiese. La Basilica di Santa Croce, luogo di riposo eterno di Michelangelo e Galileo, ha suscitato in lui riflessioni sulla fragilità della vita e sulla lotta perpetua tra la grandezza umana e l’ineluttabilità della morte. La profonda spiritualità della città ha nutrito la sua ricerca interiore e ha contribuito a plasmare il suo nuovo capolavoro letterario.

L’Idiota sarà ricordato per sempre! Fëdor ha ritratto un Gesù Cristo del XIX secolo, un uomo infinitamente “buono”. Quando ne parlavamo con amici italiani a Firenze non coglievano il senso di questa parola come la intendiamo noi. In russo la parola “prekrasnyj”, che si traduce approssimativamente con “buono”, in realtà indica lo splendore della bontà e della bellezza insieme. In verità è un romanzo profondamente radicato nel contesto fiorentino, la città stessa prende vita nella storia, incarnando i dilemmi morali e le passioni travolgenti dei protagonisti. Quando visitammo Basilea Fëdor s’invaghì di quel quadro, Il corpo di Cristo morto nella tomba. Holbein aveva dipinto il dramma della vita, aveva immortalato la lotta eterna tra l’immensità e la fine. Mio marito continuava a fissarlo, da ogni direzionei, mi parlava di come l’artista avesse colto il senso ultimo dell’esistenza, di come in una sola immagine si condensassero millenni di riflessioni sull’animo umano. 

Sì, L’idiota sarà ricordato per sempre. Ho scritto come una pazza a ritmi incessanti, mentre lui lasciava scorrere le parole in cascate roboanti e tutto ha preso forma in questi giorni incredibili. Proprio qui, in questa città magica che non dimenticheremo mai, ci siamo rifugiati, consolati, scaldati, innamorati di nuovo di noi stessi e del futuro. La ricorderemo per sempre. E lei ricorderà Fëdor Dostoevskij, romanziere sublime, pensatore illustre, e chissà che un giorno tra le statue di uomini immensi che s’incontrano per le vie della città, non compaia anche quella di mio marito. Magari nel “nostro” Parco delle Cascine, teatro d’interminabili passeggiate d’amore. 

Illustrazione di Bea Donati