Nessuno è mai stato più legato ad un luogo come accadde a Baggio con Firenze.
Il senso di Baggio per Firenze riemerge ogni volta che la storia si ripete. Il passaggio di Dusan Vlahovic dalla Fiorentina alla Juventus ha riaperto una ferita che, negli ultimi anni, continua a sanguinare e non smette di far soffrire il popolo viola. Dopo Bernardeschi e Chiesa, anche il bomber serbo ha deciso di lasciare Firenze per tentar fortuna alla corte della Vecchia Signora del calcio italiano. Poco importa se -come confermato anche da chi lo conosce benissimo- il sogno del bambino Dusan fosse proprio quello di vestire il bianconero della Juventus. Firenze si sente tradita ancora una volta, sbuffa e ruggisce, fatica a tenersi dentro la rabbia verso un’altro amore che finisce nello stesso identico modo.
Ma non è stato sempre cosi. Almeno non lo è stato nei modi, perchè alla fine -purtroppo- c’è sempre un amore che finisce e una fidanzata che si sente tradita.
Baggio, Firenze e la Juventus: cronaca di una fine annunciata
Il 1990 è l’anno delle notti magiche che si tingono d’azzurro, del sapore di un’estate restata in bocca come l’amarezza per qualcosa sfumato proprio sul più bello. Alla fine però quel Mondiale italiano volato via, accarezzato più volte e mai nostro, è rimasto dentro ai cuori di chi l’ha vissuto proprio per questo suo ammiccare e poi negarsi proprio alla fine.
In quella primavera però molto ragazzi fiorentini di allora avevano già salutato il candore dell’adolescenza. La dura corteccia della disillusione, sapida, come il sale dentro ad una ferita si mostrò improvvisa. “Sono diventato uomo quando Baggio se n’è andato. E’ stata una sofferenza che non ho più provato. Una sofferenza che mi ha catapultato nell’età adulta”, dice un Lorenzo intervistato all’uscita dal lavoro l’indomani.
Il 18 Maggio 1990, all’interno di una conferenza stampa blindata, Antonio Caliendo, agente di Baggio e capostipite di quella categoria di procuratori che oggi comandano il calcio, annunciò il passaggio del Divin Codino dalla Fiorentina alla Juventus per 25 miliardi di lire. Una cifra stratosferica per il calcio di allora. All’interno delle stanze poste in Piazza Savonarola uomini freddi decisero il destino del più brillante diamante del calcio italiano. Fuori uomini caldi, ammassati nelle strade chiedevano pietà per i loro sogni. E Firenze si raccolse, attorno all’ultimo baluardo dei propri figli, quella Fiorentina maltrattata da chi -probabilmente- stava soltanto anticipando i tempi.
E fu battaglia. L’ardore degli ultras capovolse la città. La città stessa non smise mai di guidarne la voce, che fosse dentro a vicoli stretti e in mezzo ai viali. Firenze aveva scelto da che parte stare, stufa, di vedersi depredata dei suoi gioielli più preziosi. Un’altra Gioconda lasciava le rive dell’Arno cinquecento anni dopo, non per approdare alla corte di Francia ma a quella ancora più invisa degli odiati nemici sportivi della Juventus.
Il sesto senso di Baggio per la gente
Roberto Baggio è un campione assoluto. Al Mondiale di Italia 90 sboccia definitivamente e porta l’Italia -insieme ai gol di Schillaci– quasi alla conquista del titolo. Solo i rigori contro l’Argentina e la bolgia del San Paolo di Napoli schierato per Maradona infrangono il sogno degli azzurri di Vicini.
Roberto ha un sesto senso, che non ha bisogno di avere ginocchia perfette (e lui di certo non le aveva) o muscoli che esplodono nella loro contrazione, Baggio ha il senso del ritmo del gioco del calcio. Accarezza le zolle del campo e parla al pallone con i piedi. Ha un senso che solo gli artisti hanno, un senso che serve a calcolare il tempo e la forza, la traiettoria, l’esatto momento in cui essere Baggio. E dentro allo Stadio Artemio Franchi Roberto Baggio ha espresso il suo senso per Firenze. E’ un valzer perfetto che nutre i sogni della gente attraverso il sorriso di un ragazzo che calpesta il prato verde dello stadio della propria città.
Smilla osserva le tracce che il bambino ha lasciato sulla neve e ne comprende il senso. Come Baggio che s’arresta per attendere un pallone che arriva proprio li dove lui sapeva che sarebbe arrivato. Baggio coglie il senso del calcio e il senso che questo ha per la gente.
“In questo istante, davanti alla macchina, mi attacco a questo assurdo ricordo di gioventù, la cui dolcezza non potrò più divider con nessuno. Il brutto dell’addio non è che cambia il futuro, è che ci lascia soli con i nostri ricordi”
(Il senso di Smilla per la neve – Peter Høeg)
Il futuro arriva da lì a poco e si manifesta in tutto il suo dirompente splendore, un giorno di primavera del 1991, proprio sul terreno verde dello Stadio Artemio Franchi di Firenze.
Il gran rifiuto e l’amore di un popolo
E’ il 6 Aprile 1991 e allo Stadio Artemio Franchi arriva la Juventus di Gigi Maifredi. E’ una sfida che non racchiude in se il fascino delle sfide di alta quota di un decennio prima, in cui non di rado si decideva anche le sorti dello Scudetto. La Fiorentina galleggia poco sopra la zona retrocessione e di certo non infiamma il suo pubblico, pur sempre caloroso. La Juventus vive una stagione di profonda crisi, segnata con il passaggio al nuovo tecnico Maifredi, artefice del Bologna-spettacolo e del nuovo sistema di gioco a zona. I bianconeri non metabolizzano le indicazioni del tecnico e a fine stagione saranno addirittura fuori dall’Europa tra lo stupore generale.
Quel giorno però Firenze toglie dall’armadio il vestito buono, spolvera l’entusiasmo un po’ sopito e si prepara ad accogliere il ritorno a casa del figliol prodigo Roberto Baggio, con la maglia della Juventus. L’Artemio Franchi è una bolgia come non se ne vedeva da tempo. Gli oltre quarantamila spettatori disegnano un colpo d’occhio meraviglioso, il colore che inonda il cielo di Firenze e naturalmente il viola. Un viola che irradia. Dai bandieroni della Fiesole fino agli striscioni di quella che diverrà la curva Marione, tutto lo stadio è un turbine viola che sembra perdere i confini delle forme e inondare il cielo che sovrasta il campo di calcio.
Quando le due squadre entrano in campo la Fiesole solleva al cielo migliaia di cartoncini viola che trasformano il feudo del tifo fiorentino in una muraglia monocromatica che, se da un lato meraviglia per bellezza e perfezione, dall’altro spaventa come una barricata nemica. A fare da contorno tantissime bandierine bianche che vengono sventolate come se fossero mosse da un vento di mare.
Le squadre si sistemano perpendicolari alla linea di metà campo, con gli sguardi rivolti verso la tribuna centrale e la schiena che mostra la numerazione dalla parte opposta. Baggio sembra un bambino che sa di averla fatta grossa. Balletta sul posto a simulare un riscaldamento che sicuramente avrà già svolto ampiamente. La testa non china, ma attenta a rivolgere uno sguardo a chi potrebbe essere li ad aspettare proprio io suoi occhi. Lo speaker annuncia il suo numero 10 e poi il suo nome. I fischi di tutto lo stadio fendono l’aria come fossero proiettili sparati a caso. Il suo pubblico non ha dimenticato e non perdona.
I fotografi abbandonano il terreno di gioco quando l’arbitro ha espletato le ultime formalità prima dell’inizio della partita. La Juventus si schiera nella metà campo opposta alla Fiesole e Baggio deve per forza alzare gli occhi verso quella che un tempo era la sua curva. La curva dei suoi amici del Collettivo, di Dimitri, di Maurizio, che per l’occasione hanno preparato uno spettacolo da brividi. Una parte dei cartoncini colorati viene girata e da viola diventa bianca e come per magia sullo sfondo appare in viola lo skyline di Firenze. Il Duomo, Palazzo Vecchio e tutti quei luoghi che rendono il capoluogo toscano una delle città più belle del mondo.
Baggio ha gli occhi lucidi, mentre i nuovi compagni vogliono proteggerlo da quel clima infuocato che sta tutto intorno. Gli ex compagni invece sembrano cercarne lo sguardo con l’aria di chi ha dei sassolini da togliersi dalle scarpe. In campo non c’è storia. Baggio è il fantasma di se stesso. Avvolto dai fischi di tutta Firenze e circondato dalle attenzioni tutt’altro che cordiali di Salvatori, che ha il compito di marcarlo. Quando Fuser porta in vantaggio la Fiorentina con un meraviglioso calcio di punizione si completa il clima di festa. Nella testa di tutti non ci sarebbe stato miglior modo di questo per dare il benservito al vecchio idolo. Invece il bello avrà ancora da arrivare.
Quella sciarpa viola
Baggio ciondola nell’assordante concerto di fischi che lo accompagna ad ogni scatto, dribbling tentato, passaggio. Eppure ad un certo punto si accende. Ruota su se stesso e sfugge a Salvatori che può soltanto trattenerlo già dentro l’area di rigore. Ecco l’episodio che può cambiare tutto. Andare sul dischetto e segnare. Battere il vecchio compagno di allenamenti Gianmatteo Mareggini. Segnare alla vecchia squadra. Segnare davanti ai tuoi vecchi tifosi, ai tuoi vecchi amici. Ma non sarà cosi. Roberto non se la sente e il pallone se lo prende Gigi De Agostini, onesto faccendiere della fascia sinistra, e sul dischetto ci va lui. Mareggini para e la Fiesole esplode ancora una volta. Maifredi in panchina mastica amaro e fa scaldare Angelo Alessio. L’arbitro fischia e indica il centro del campo dove rudimentali numeri di cartone indicano proprio il 10. Esce Roberto Baggio.
Tutto lo stadio si alza per fischiare la fine di quello che è stato il ritorno da avversario di Roberto Baggio a Firenze. Lui corricchia verso la panchina e non alza mai la testa. Indossa una giacca a vento nera e grigia, ancora aperta sul petto e prende la strada degli spogliatoi. Qualche applauso rompe il ritmo incessante dei fischi. Una sciarpa viola viene lanciata dalla tribuna e cade ai piedi di Baggio. E’ un gesto istintivo, naturale, d’amore. Roberto si piega e la roccoglie. La stringe forte al petto, dentro la giacca a vento della nuova squadra, non del nuovo amore.
Lo stadio rumoreggia e sembra destabilizzato da quel gesto. Sempre più applausi si sentono nell’aria primaverile di Firenze. Baggio cammina, con la sua sciarpa viola in mano. Va veloce verso l’imbocco degli spogliatoi con lo sguardo rivolto verso la sua Curva Fiesole. Il popolo viola non ce la fa. Esplode. Gli applausi adesso sovrastano i rumori che provengono dal campo, dove si gioca una partita che a pochi interessa veramente.
Lo spettacolo è a bordo campo. Baggio arriva sotto la Curva Fiesole e si sbraccia. Saluta quelli che sono stati i suoi tifosi e che sono ancora i suoi amici. E’ lo sguardo di chi parte per emigrare lontano e dalla prua della nave guarda le ultime luci della sua terra natia. E’ il suo ultimo messaggio d’amore a Firenze, alla Fiorentina e al suo popolo innamorato. Lo stadio intero lo osanna mentre il suo codino scompare nel buoi del tunnel che porta agli spogliatoi.
Anche stavolta Roberto Baggio ha addomesticato un pallone che spioveva velenoso, e l’ha spedito in fondo alla rete con il suo sesto senso. Il senso di Roby Baggio per Firenze.
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