Lo spettacolo teatrale “La mia battaglia” di Elio Germano è stato trasposto dall’attore stesso e da Omar Rashid di Gold in “Segnale d’allarme” un film in realtà virtuale
La mia battaglia è uno spettacolo teatrale scritto da Elio Germano e Chiara Lagani, nel quale l’attore romano mostra tutta la sua abilità interpretativa in un lungo e provocatorio monologo. La rappresentazione ha girato molti teatri dello stivale con grande successo ma facendo anche molto discutere e sollevando qualche polemica. A Firenze, Omar Rashid ha avuto l’idea di trasformare questo spettacolo in una pellicola in realtà virtuale, moltiplicando così innumerevoli volte l’esperienza della visione a teatro. Lo spettatore, infatti, una volta indossato il visore, si trova seduto in prima fila, circondato da altri spettatori, pronto a godersi l’esibizione. Questa coinvolgente esperienza immersiva ha preso il titolo di “Segnale d’allarme” e sta girando l’Italia in un tour che ha fatto tappa anche alla Mostra del Cinema di Venezia.
Siamo stati all’Auditorium Stensen di Firenze alla prima proiezione italiana in realtà virtuale a 360 gradi. Una volta indossato il visore, oltre alle persone in carne e ossa che ci erano sedute accanto, ci siamo ritrovati circondati da spettatori virtuali. Ma il senso di disorientamento si è amplificato durante la visione. Tutta l’opera – del cui contenuto promettiamo solennemente di non svelare niente –, infatti, gioca con i rapporti reale-virtuale e verità-finzione. Che ruolo sta impersonificando l’attore? Crede davvero in quello che dice? Dove ci sta portando? Le persone sedute accanto a noi sono veramente solo degli spettatori? In un crescendo durante il quale i toni si esasperano fino a giungere a uno sconvolgente finale. Il visore, insomma, contribuisce a esaltare ancora di più il cortocircuito tra realtà e finzione già contenuto nello spettacolo teatrale originale. Dopo essercelo tolto, ancora un po’ spaesati e non sicuri del piano di realtà di appartenenza, abbiamo incontrato l’attore per fargli qualche domanda.
Come è nata l’idea dello spettacolo La mia battaglia?
In un momento storico nel quale spesso si demanda il proprio pensiero ad altri considerati come punti di riferimento, uno stimolo per la nascita di questo spettacolo è stata la riflessione sullo sproporzionato potere di influenzarci e manipolarci che possiede chi si innalza su un palco e sull’altrettanto grande influenza che ha la massa nel condizionare le nostre scelte e posizioni. Un altro mio bisogno più personale ha sicuramente contribuito: riconoscere per primi in noi stessi ciò che manifestatamente aborriamo. Prima di condannare certi aspetti della nostra storia e dei nostri atteggiamenti, che chiaramente restano e resteranno sempre da condannare, sarebbe opportuno riconoscere quanto questi possano essere “umani” e appartenenti, magari in modo edulcorato, a ognuno di noi, per essere poi capaci di superarli veramente e non solo di facciata. Riconoscere il lato seducente del male è fondamentale per avere degli anticorpi nei suoi confronti.
Qual è a tuo parere il segnale d’allarme nella nostra società?
È sicuramente la tendenza ad appiattire il pensiero e a renderlo quasi unico. Questa dinamica è generata dalla sempre più pervasiva presenza degli slogan che dal mondo del marketing hanno invaso e pressoché monopolizzato il linguaggio della politica. Dietro a uno slogan non c’è né riflessione né critica, ma solo un ragionamento strumentale volto alla creazione del consenso. Il segnale d’allarme è la scomparsa del pensiero critico individuale sostituito dall’adesione a suon di “mi piace” o “non mi piace” a uno slogan o a una mera manifestazione di carisma.
Questo aspetto emerge sicuramente in modo molto efficace nello spettacolo. Perché secondo te gli slogan funzionano così bene in politica?
Gli slogan spesso sono privi di un vero e proprio contenuto sostanziale e a pelle risultano pienamente condivisibili da tutti, non a caso i politici si richiamano spesso al cosiddetto buon senso. Ma come si calano questi slogan nella realtà e nelle leggi? Quello che inizialmente sembrava così condivisibile può molto facilmente incarnarsi in misure raccapriccianti.
Il personaggio che hai portato sul palco ha delle connotazioni estreme. Com’è stato per te a livello umano impersonificarlo?
È stata sicuramente un’impresa dura che mi ha generato non pochi problemi interiori. In primo luogo ho esercitato una violenza nei miei confronti, sia come attore che come personaggio pubblico. D’altro canto la medesima violenza ha inevitabilmente coinvolto anche chi si recava al teatro o si recherà a vedere Segnale d’allarme avendo giustamente una certa aspettativa nei miei confronti. È stato veramente difficile, ma ho trovato le risorse per farlo nell’importanza e nell’urgenza degli argomenti trattati.
Cosa conferisce e cosa toglie la versione in realtà virtuale rispetto alla spettacolo La mia battaglia uscito al teatro?
Sicuramente gli spettatori sono portati a essere più concentrati e ciò è dovuto all’immersività del medium che implica l’impossibilità di controllare il telefono o di interagire con la persona che ci siede accanto. La realtà virtuale ci permette di guardarci intorno e soffermarci anche a lungo a osservare chi ci circonda, atteggiamento che al teatro non faremmo con tale disinvoltura. Questa trasposizione inoltre ci consente di diffondere maggiormente lo spettacolo, potendolo riprodurre ovunque in modo più facile. L’altro lato della medaglia è che, a differenza del teatro, ciò che accade nella pellicola non è irripetibile, ma sempre identico a se stesso.
È stata dura, ma come promesso non vi abbiamo rivelato niente sul contenuto dello spettacolo. Siamo però sicuri che leggendo tra le righe ve ne siete potuti fare un’idea. Se vi siete incuriositi, non mancate alla prossima proiezione vicino a voi: sarà veramente un’esperienza unica!
Jacopo Visani