Da Lorenzo de’Medici e Ferdinando I d’Aragona a Benigni e Troisi: un viaggio alla scoperta di tutti i legami che uniscono Firenze e Napoli.
Come non essere rapiti totalmente dalla nota “Sindrome di Stendhal” quando ci troviamo al cospetto di due delle città più celebri del mondo, ovvero Napoli e Firenze, la cui sfacciata bellezza, prepotente, trasborda inondandoci senza che noi possiamo nulla se non esserne invasi completamente, una bellezza che passando dagli occhi ci tocca l’anima.
Eppure, queste due città sono così diverse, ma, allo stesso tempo, straordinariamente uguali nelle emozioni che suscitano in coloro che percorrono le loro strade, ammirano i loro monumenti, ne respirano l’aria.
L’una, Firenze, piccola e accerchiata dalle sue mura, ci sembra chiusa, quasi arretrata, ma in senso buono, e quindi profondamente legata alla sua storia che ancora oggi, nonostante le moderne orde di turisti che la popolano, esce prorompente da ogni pietra, da ogni vicoletto, da ogni palazzo, rievocando un’atmosfera di tempi ormai passati e perduti ma che vive ancora nelle sua struttura medievaleggiante e nella sua anima rinascimentale. L’altra, Napoli, autentica, ma al contempo, alla stregua di una moderna e caotica metropoli, non mostra la sua vivacità solo nel tipico fare napoletano accogliente e aperto ma anche nella variegata quantità di quartieri che la formano, tutti diversi tra loro, tanto che, percorrendoli e visitandoli, danno l’impressione di trovarsi in tante città diverse contemporaneamente.
Firenze – Napoli: un legame antico
Ebbene, il già citato Stendhal aveva proprio ragione quando nel suo diario di viaggio “Roma, Napoli e Firenze” (1817), scritto durante il periodo di congedo in Italia, diceva che Napoli, ai suoi occhi, era senza nessun paragone, la città più bella dell’universo e, ancora, che uscendo, dalla Basilica di Santa Croce a Firenze si sentì talmente colpito dalla magnificenza e dallo splendore della chiesa, da barcollare temendo di cadere, dando vita con questa frase alla famosa sindrome che colpisce colui che, davanti alla troppa bellezza, sente quasi di svenire. Come dargli torto, del resto Napoli e Firenze sono da svenimento. Ma Stendhal per queste due città non ebbe solo parole di elogio ma anche talvolta di critica, notando in mezzo a tanta bellezza, anche i tratti più negativi:
«…Per un’ora e mezzo, mi sono sorbito il più sciocco patriottismo d’anticamera […] il popolino napoletano, corrotto dal clima troppo mite, non si batte, dice, se ho ragione io, San Gennaro non mancherà d’uccidere tutti i nemici…».
« […]Arrivando da Bologna, terra di passioni, come non restare colpiti da qualcosa di ristretto e di arido in tutte quelle teste?… L’amore-passione s’incontra di rado tra i fiorentini…».
Se non sono solo le differenze a distinguere Napoli e Firenze, intervengono anche i pregiudizi su entrambe le città, che ormai dominano il sentire comune e ne modificano l’opinione perché, ormai si sa, i napoletani sono ciarloni, grossolani, talvolta disonesti, mentre i fiorentini sono superbi, chiusi al limite dell’introverso, chiusi come la loro città lo è dalle mura. Ebbene, il pregiudizio non è nato di recente, né con l’era moderna ma si annidava ben prima, ad esempio quando il poeta fiorentino Luigi Pulci, in missione presso la corte aragonese di Napoli per conto di Lorenzo il Magnifico, scrisse un sonetto, precisamente il sonetto LXXXXIII, in cui, senza troppi scrupoli definì i napoletani “minchiattari” perchè indegni del dono ricevuto, ovvero Napoli stessa. Se i fiorentini avessero avuto anche il mare, che probabilmente invidiavano ( e forse, invidiano ancora) a Napoli, o i tanti altri aspetti che Firenze non possedeva, chissà cosa avrebbero fatto per esaltare e magnificare la città cosa che, invece, i svogliati napoletani non avevano la capacità di fare. Ma la sottile cattiveria delle parole del Pulci non si limitò solo a questo, poiché forse gli sembrò poco, e si estese ancora negli altri versi del suo ironico sonetto:
«Que’ buogli dicer di Napoli jentile
[…]
Rispondo presto, e parmi un bel porcile».
Ma al di là di quanto detto sopra, tra Napoli e Firenze, oltre le discordanze e le diversità, esistono altrettanti preziosi legami che dalla storia più antica arrivano straordinariamente fino ai giorni nostri.
Un dipinto chiamato “Tavola Strozzi” (1472-73) attribuito all’incisore fiorentino Francesco Rosselli, fratello del più celebre Cosimo, e conservato attualmente al Museo Nazionale di San Martino a Napoli, raffigura una veduta della Napoli del XV secolo, in cui spiccano quelli che, senza ombra di dubbio, sono tra i monumenti più celebri della città, ovvero il Maschio Angioino e la Certosa di San Martino. Ebbene, questa tavola raffigurante Napoli e il suo mare, fu rinvenuta proprio a Firenze nel 1901, precisamente a Palazzo Strozzi ad opera dell’archeologo Corrado Ricci, ma l’aspetto più interessante è sicuramente il fatto che, osservando bene il dipinto, non è difficile notare la presenza, nel golfo napoletano, di una considerevole flotta. La flotta era con molta probabilità, quella di Lorenzo De’ Medici, detto il Magnifico, e la scena rappresentata è un frammento di un fatto di storia realmente accaduto, il quale lega indissolubilmente la città di Napoli a quella di Firenze.
Siamo nel 1479, quando Lorenzo De’ Medici si recò frettolosamente a Napoli per proporre un armistizio a Ferdinando I d’Aragona, detto Ferrante, il quale si era schierato, in seguito all’esito infelice della congiura dei Pazzi, contro Firenze, dichiarandole guerra. Grazie alla diplomazia operata da Lorenzo il Magnifico, l’alleanza fu raggiunta e, addirittura, Ferrante nominò Lorenzo camerario del Regno di Napoli, ritenendo la lega con Firenze un vero e proprio baluardo nei confronti delle forze nemiche che operavano contro il suo regno. Tale alleanza continuò, straordinariamente, fino alla morte dei due contraenti sancendo anni di pace e amicizia tra queste due potenze.
Inoltre Firenze, che in quegli stessi anni era ormai la capitale del Rinascimento, diffondeva la sua arte e i suoi artisti anche a Napoli stessa, in cui, nei primi decenni del ‘400 arrivarono personalità come Donatello, e tanti altri scultori e pittori fiorentini che diedero il via a quello che definiamo il “Rinascimento Napoletano”, decretando la città di Napoli come vero e proprio vettore dei valori rinascimentali grazie alle sue relazioni commerciali e culturali con quello che restava dell’ Impero Bizantino a Oriente e con la penisola iberica. Spostandoci temporalmente, anche Napoli donò a Firenze importanti artisti come ad esempio Luca Giordano (1634-1705), pittore napoletano, che affrescò straordinariamente due volte di Palazzo Medici Riccardi per la Galleria degli Specchi e per la biblioteca Riccardiana secondo la moda barocca del tempo.
Ma le due città non hanno, per così dire, dialogato solo nella storia più antica, ma anche nei tempi moderni, ai giorni nostri, attraverso ad esempio amicizie importanti, come è stata quella tra gli attori Roberto Benigni e Massimo Troisi, l’uno fiorentino doc, l’altro napoletano, precisamente di San Giorgio a Cremano. A decretare l’inizio della loro amicizia fu il film campione di incassi “Non ci resta che piangere” (1984) in cui, con un salto temporale considerevole, i due protagonisti interpretati dagli attori citati, si trovano catapultati improvvisamente nel 1492, nelle campagne toscane dell’epoca e precisamente in un piccolo borgo in cui si trovano a poter incontrare personalità come Leonardo Da Vinci e persino a parlarci.
Ebbene, quello tra Benigni e Troisi fu un vero e proprio “incontro d’amore”, altro che inimicizia dettata dalle origini dei due attori:
«Quando ci siamo incontrati non avevamo nemmeno trent’anni e abbiamo deciso subito di fare qualcosa insieme, di condividere questa allegria per la vita»
Queste le parole di Roberto Beningni, che al tanto amato amico, in seguito alla dolorosa morte prematura, dedicò anche una commovente poesia:
“…La gioia di bagnarsi in quel diluvio
di jamm, o’ saccio, ‘naggia, oilloc, azz!;
era come parlare col Vesuvio…
[…]
“Non si capisce”, urlavano sicuri,
“questo Troisi se ne resti al Sud!”
Adesso lo capiscono i canguri,
gli Indiani e i miliardari di Holliwood!
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino…”
Un altro personaggio legato non tanto a Firenze questa volta, ma più che altro alla Toscana, fu un altro napoletano ben noto nel panorama musicale italiano e mondiale, Pino Daniele. Scomparso nel 2014, l’autore di canzoni straordinarie come “Napul’è” e “Terra mia”, trovò la sua dimensione di pace e serenità proprio in Toscana e precisamente a Magliano, piccolo borgo della Maremma, e fu proprio qui che morì, nel suo casale nel quale si era rifugiato sfuggendo a quella Napoli che amava e odiava contemporaneamente, li, tra le colline maremmane dalle quali si vede il mare, quel mare che Pino, probabilmente, scrutandolo da lontano, immaginava fosse il suo.
Insomma, chi non ammette quanto sia bello scoprire i legami che uniscono due città straordinarie come Napoli e Firenze, invece che sottolinearne sempre le differenze spinti da un senso di rivalità piuttosto che da uno di concordia e comunanza. Napoli che comunica con Firenze, Firenze che abbraccia Napoli, che ci stringe alleanze, amicizie, sapendosi venire incontro, mescolandosi senza perdere la propria identità.
Entrambe possiedono un centro storico che è stato decretato Patrimonio Unesco, entrambe, nel bene e nel male, richiamano l’attenzione del mondo intero, entrambe suscitano invidia e ammirazione ma, ancor di più, entrambe hanno dimostrato di saper comunicare tra loro, tramite i personaggi che le hanno rappresentate o gli eventi che ne hanno fatto la storia, sorvolando i preconcetti e andando oltre, cercandosi reciprocamente e trovandosi unite più di quanto si potessero aspettare.
Articolo a cura di Valentina Vetrano