Marco Stabile, lo chef stellato dell’Ora d’Aria si racconta a FUL.
Sono a Firenze da dodici anni, i dodici anni del mio ristorante. Sono nato a Pontedera da mamma larigiana, la famiglia viveva a Perignano, tutt’oggi la mia nonna 97enne vive lì (anzi devo andare da lei a cogliere i fichi, sono molto buoni da quelle parti). Padre siciliano che si era trasferito a Ponsacco. Poi tutti a Pontedera dove sono nato anche io.
Ho fatto l’Alberghiero a Firenze, perché fin da bambino mi sono sentito più legato a questa parte della Toscana che a quella di nascita. Per questa città ho sempre avuto un amore viscerale. Fin da ragazzino, avevo capito che la cucina che avrei voluto fare nel futuro era legata a un posto dove ci fosse stata una cultura diffusa come a Firenze.
Non che a Pisa o Pontedera non si potesse fare, ma qui era diverso, lo sentivo. Infatti all’Alberghiero ho voluto imparare le ricette della tradizione toscana che qui ha la sua massima espressione, ho cominciato ad adorare il lampredotto – che mio padre odiava – poi la ribollita e tutti i piatti che determinano “il territorio” e un’identità ben precisa.
Durante la scuola ho cominciato a fare degli approfondimenti, ad esempio col Tartufo di San Miniato, che ho conosciuto appieno e che amo profondamente ancora oggi.
Quindi a Castiglioncello la prima stagione estiva a sedici anni, dove cucinavo già da solo. E poi a Firenze alla trattoria La Maremma vicino a Santa Croce, dove il caso volle che sostituissi il cuoco titolare e la trattoria decollò facendo sempre pieno.
L’Ora d’Aria nasce in via Ghibellina nel 2005, con tanti, troppi soci, dopo sei mesi siamo rimasti in due, Bellandi e io, probabilmente perché avevamo le idee chiare sulla filosofia da applicare al locale.
Firenze è un posto dove passano ormai dai 12 ai 14 milioni di turisti e l’offerta non sempre è all’altezza, anzi c’è molta “merda”, uno degli esempi eclatanti è la gelateria, prodotti chimici di scarsa qualità e alto costo.
E poi penso alle ricette stagionali tradite, la ribollita mangiata in piena estate, con cavolo surgelato, noi ne facciamo una versione di mare, proprio per il periodo estivo, è necessario parlare con i clienti, raccontare il perché dei cambiamenti. Si incontrano anche persone di elevato livello cultural gastronomico, magari in periodi meno affollati.
Si dovrebbe promuovere la cultura gastronomica con delle piccole pubblicazioni in lingua, dove si racconta ad esempio la stagionalità delle ricette.
La bistecca è un’altra cosa che andrebbe approfondita, noi utilizziamo carne piemontese, non Chianina.
È una scelta motivata da ragioni tecniche, per me la Chianina è imbattibile nelle cotture lunghe ma nel crudo o semicrudo preferisco la Piemontese. Non sempre si ha la fortuna di trovare un prodotto di eccellenza vicino, il famoso km 0 va saputo interpretare con intelligenza.
Ad esempio ho trovato nel Mugello un produttore di patate eccellente e gli ho comprato tutta la produzione, anche quella futura, ma non sempre è così e allora bisogna spostarsi.
Sto studiando un “arrosto morto dell’Aia” con piccione, faraona, coniglio ecc., tutto quello che c’era nell’aia toscana, penso sia molto buono ma va fatto bene, rendendolo contemporaneo.
A piccoli passi sto lavorando a cose come queste che vanno riportate all’oggi: grande concentrazione, grande qualità delle materie… Calcolate che, per realizzare un piatto del genere, dove devi trovare almeno cinque carni eccellenti, che vadano bene tra loro, ognuna con una cottura diversa, per un piatto così ci vogliono 9 mesi di lavoro.
Mi piacciono molto i miei amici stellati qui a Firenze, trovo che la città sia cresciuta grazie a loro. Tutti si stanno impegnando e nessuno vive di rendita. Fare cultura è importante, quando esco in sala mi impegno tanto sul raccontare un piatto ai clienti.
L’olio è un simbolo della Toscana.
Dovremmo approfondire la conoscenza di questa categoria che io amo molto. Gli olii hanno caratteristiche e caratteri molto diversi anche all’interno della stessa regione, i piatti acquistano sapori differenti a seconda dell’olio usato.
Oggi la cultura gastronomica è comunque cresciuta e ci sono sensibilità e attenzioni differenti rispetto al passato. Il mondo vegetale può dare grandi soddisfazioni al palato, specie se si usano materie prime eccellenti: non basta dire patate o olii, bisogna cercare e studiare, ricercare ogni singolo ingrediente. Io sono goloso di cose vere, sono queste che voglio dare ai miei clienti. •
Testi di Luca Managlia
Foto di Liudmila Musatova, Andrea Moretti