Immigrazione, centro storico e urbanistica: una chiacchierata a 360° con Matteo Biffoni, da quasi 10 anni alla guida della seconda città più importante della Toscana.
Nato a Prato nel 1974, Matteo Biffoni è sindaco della città al secondo mandato. Iscritto al PD dal 2007 (anno della fondazione), diventa sindaco per la prima volta nel 2014; rivince le elezioni nel 2019, al ballottaggio con il centrodestra. Laureato in legge, ha alle spalle un passato da parlamentare, incarico a cui ha rinunciato per correre a sindaco. Sono gli ultimi mesi in carica, prima delle elezioni del prossimo anno alle quali non potrà ricandidarsi.
Dall’immigrazione alla rinascita del centro storico, dall’urbanistica alle situazioni più delicate, lo abbiamo incontrato per una chiacchierata a tutto tondo fra passato, presente e futuro dell’amministrazione comunale. La comunità cinese a Prato è la più numerosa d’Italia, in proporzione la terza in Europa. Come favorire un processo d’integrazione più efficace, se i cinesi si aprono poco e noi pensiamo che siano qui per rubarci il lavoro?
“Oggi penso che questa narrazione abbia perso forza – esordisce il sindaco – e la giunta del centrodestra l’ha alimentata quando era alla guida della città, ma la situazione è diversa rispetto a dieci anni fa. La cittadinanza ha recepito la presenza della comunità cinese, seppur con delle difficoltà. Dalle scuole agli ospedali, frequentano sempre più i nostri servizi: è anche da qui che passa l’integrazione. Ma c’è ancora del lavoro da fare: la comunità cinese è relativamente chiusa nei confronti della città”.
Non c’è solo la comunità cinese. Fra domiciliati e residenti, nel 2021 Prato ha superato i 200mila abitanti: sessant’anni prima erano la metà. Anche la provincia è cresciuta: secondo i dati ISTAT, +20mila persone dal 2011 al 2020. Oltre ai cinesi e a qualche italiano, arrivano stranieri da numerosi Paesi. Come si gestisce a livello abitativo una crescita così?
“Prato continua a crescere grazie alle opportunità di lavoro, mentre lo spazio disponibile si riduce. Siamo nella piana che va da Campi Bisenzio e Sesto Fiorentino fino a Pistoia: dobbiamo cercare soluzioni in questo spazio. È necessario concentrarsi sul recupero degli edifici esistenti e sulla loro riconversione, anche perché di immobili abbandonati pronti per essere utilizzati non ce ne sono: il 95% di quelli in città è occupato.
Negli anni ’60 e ’80 c’è stato un aumento demografico significativo, con persone provenienti dalla Toscana, dal Sud Italia e dall’estero. Non solo dalla Cina: anche dal Bangladesh, dalla Tunisia, dall’Albania e da altre nazioni. Alcune zone della città richiedono ora interventi di riqualificazione a causa di alcune costruzioni effettuate in fretta durante quegli anni. Ad esempio, nella zona del Soccorso, dove gli appartamenti hanno garage dimensionati per auto come la Fiat 127.
Nel frattempo, le dimensioni delle automobili sono cambiate e le famiglie possiedono oggi più di una vettura. La Legge Tognoli (che regola la gestione dei parcheggi delle abitazioni, ndr) arriva alla fine degli anni Ottanta. I posti auto sono quelli che sono, la viabilità è congestionata: nonostante tutto, abbiamo provato lo stesso a migliorare la situazione. Realizzeremo infatti un sottopasso nella zona critica del Soccorso per creare una viabilità alternativa, nuovi spazi verdi e parcheggi, migliorando così la qualità della vita nel quartiere. L’opera ricucirà il centro e il sud della città, sciogliendo il nodo più complesso della viabilità cittadina.”
Come realizzare interventi in città rispettando l’ambiente?
“Abbiamo fatto delle scelte molto radicali, sia nel piano operativo sia nel piano strutturale. Evitiamo il consumo di suolo e piantiamo nuovi alberi, favoriamo il cambio di destinazione d’uso anziché edificare e recuperiamo mobili dismessi. Cerchiamo di costruire in verticale anziché a livello del terreno.
Siamo una delle nove città italiane – 100 in tutta Europa – scelte dalla Comunità Europea per sperimentare la carbon neutrality: l’impatto zero della città entro il 2030 anziché il 2050, come previsto per l’intera Europa. Grazie alle nostre politiche gli amministratori europei ci considerano un laboratorio.”
Il centro storico della città ha ripreso a vivere. Non solo di giorno, anche di notte: i ragazzi sono attratti da locali spesso gestiti da altri ragazzi. Come avete fatto a riportare i pratesi in centro città?
“Fin dall’inizio abbiamo lavorato per restituire il centro storico ai cittadini. Quando sono diventato sindaco nel 2014, ho tenuto la prima assemblea pubblica ai Giardini della Passerella con i residenti, che esprimevano preoccupazioni legate alla sicurezza notturna, specialmente intorno alla stazione del Serraglio. Abbiamo ascoltato i loro pensieri e incoraggiato gli imprenditori a investire nel centro di Prato per riqualificarlo. Il merito va a loro, che hanno creduto in questa iniziativa, e alle associazioni di categoria, che ci hanno sostenuto.
Da un lato, abbiamo semplificato la burocrazia per agevolare l’apertura di nuove attività. Dall’altro abbiamo promosso una comunicazione positiva, valorizzando gli aspetti più belli del centro. Così hanno aperto bar, pub e altri locali, uno dopo l’altro. Ora il centro di Prato ha un’atmosfera simile a quella di Barcellona, con numerose attività vicine tra loro che non si fanno concorrenza. Anzi: le persone tendono ad andare da un posto all’altro durante la serata, a beneficio di più attività.
Ragazze e ragazzi da Pistoia, Agliana, Montale e Sesto Fiorentino escono a Prato, mentre i residenti passano sempre più tempo in città. È un cambiamento significativo rispetto alla mia generazione, quando il sabato sera eravamo costretti ad andare a Firenze o in Versilia perché la città non aveva molto da offrire. Siamo molto contenti di aver seguito la rotta indicata dagli abitanti durante la prima assemblea pubblica.
È vero che alcuni residenti possono essere infastiditi dai rumori, ma penso sia normale quando ci sono tante persone nello stesso posto. Continuo a credere che un centro così vivace sia un valore aggiunto per tutti, anche perché cresce il valore delle proprietà. Abbiamo preso misure per proteggere le esigenze dei residenti, con una presenza discreta ma costante delle forze dell’ordine. La movida resta un argomento di discussione: tutte le città vivaci d’Italia affrontano sfide simili.”
Alcune zone di Prato, come la stazione di Porta al Serraglio e quella Centrale, destano un po’ di preoccupazione, soprattutto per lo spaccio. Come siete intervenuti?
“Quando sono entrato in carica, ho trovato una situazione molto difficile in quelle zone. Siamo intervenuti con azioni di repressione, coinvolgendo le forze dell’ordine e chiudendo i locali problematici. Adesso la stazione del Serraglio viene chiusa subito dopo l’ultimo treno della sera e riaperta al mattino per impedire l’accesso notturno. Abbiamo fatto tutto il possibile per mantenere la zona sotto controllo. È stato un lavoro impegnativo, che ha richiesto tempo e molte energie.
La situazione è migliorata, ma la stazione del Serraglio resta un luogo da monitorare. C’è una pattuglia fissa che sorveglia l’area con dei volontari. Tuttavia, non possiamo ancora dire che tutto sia risolto definitivamente. Ci sono momenti in cui le cose vanno bene, altri in cui si verifica un ritorno dell’attività illegale. È un fenomeno ciclico: dopo un periodo di repressione, in genere gli spacciatori si spostano altrove e tornano dopo un po’.
Comunità nigeriana e parte della comunità marocchina sono state spesso al centro dell’attenzione, ma non dovremmo usare questi temi come pretesto per discriminare. La differenza è tra chi compie atti illegali e chi rispetta la legge, indipendentemente dalla terra d’origine.”
Foto di Luca Managlia.