Perché Dante mette il suo maestro Brunetto Latini all’Inferno?

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Dante pone il proprio maestro all’Inferno senza dire una sola parola sulla natura del suo peccato. L’assenza di informazioni a riguardo nelle fonti del tempo è tuttora causa di dilemma per i dantisti, intenti ad indagare sulla presunta omosessualità di Brunetto Latini.

«Siete voi qui, ser Brunetto?» (Inf. XV): così esclama Dante, nel girone dei sodomiti, alla vista del suo stimato maestro Brunetto Latini (1230 ca.-1293). A quel tempo, la sodomia veniva punita con l’esilio, con il rogo o con una pena pecuniaria che, in caso di inadempienza, sarebbe stata tramutata in impiccagione per i genitali. Tuttavia, Dante pone il proprio maestro all’Inferno senza dire una sola parola sulla natura del suo peccato, e l’assenza di informazioni a riguardo nelle fonti del tempo è tuttora causa di un tormentoso dilemma per i dantisti, intenti ad indagare sulla presunta omosessualità di Latini. 

C’è chi ha parlato di un peccato metaforico “contro natura”, connesso alle credenze astrologiche dell’autore o alla sua produzione in francese anziché in volgare fiorentino; ma è assurdo che Dante lo condanni al supplizio eterno per così poco. I dubbi persistettero, finché nel 1977 il critico D’Arco Silvio Avalle non propose di ritenere la poesia di Latini S’eo son distretto jnamoratamente (se io sono avvinto dall’amore) destinata ad un uomo anziché ad una donna, precisamente al semisconosciuto poeta Bondie Dietaiuti. Nella sua poesia, Latini parla della lontananza del suo oggetto d’amore, del suo stato di sofferenza, e invita gli altri amadori ad intercedere presso l’amante, dolcemente detto bianco fioreauliso, sintagma esemplificativo del raffinato formulario della lirica amorosa medievale. A questo componimento sembra rispondere uno di Dietaiuti, Amore quando mi membra (amore, quando ricordo), nel quale il poeta ringrazia un fidato amico lontano che ha saputo aiutarlo in un momento di difficoltà.

Parte della poesia venne ripresa da Franco Battiato ed inserita nel brano Medievale del suo album Fleurs (1999). Le poesie sono state tramandate l’una accanto all’altra nei manoscritti, ma gli studiosi hanno dibattuto a lungo sull’ipotetica relazione delle due. La poesia di Latini sembra essere lirica amorosa, mentre quella di Dietaiuti sembra appartenere alla “canzone d’amico”, sottogenere poetico in cui si esprimeva ammirazione e gratitudine nei confronti di un conoscente di grande levatura morale. Inoltre, Latini deplorò l’omosessualità nelle sue opere, mentre Dietaiuti scrisse diversi componimenti amorosi dedicati alla figura femminile.

Sorgono a questo punto alcune domande: è possibile che Latini si sia dichiarato così esplicitamente in una poesia (le desinenze sono al maschile), nonostante il suo biasimo della sodomia?

E se così fu, perché Dante si mostrò tanto stupefatto? Gli amadori citati nella poesia di Brunetto sono un ristretto e segreto cerchio di poeti omosessuali fiorentini? Il fiore è in realtà una metafora erotica del sesso femminile? Di fronte ai dubbi che si accampano, si fa spazio una terza possibilità (venne proposta dal critico Peter Armour nel 1991): la fioredauliso non sarebbe altro che Florentia, Firenze, e quindi non ci sarebbe nessun amore eterosessuale o omosessuale di mezzo, bensì l’amor patriae espresso attraverso lo stesso lessico e le stesse immagini della lirica amorosa, pratica tipica del tempo. Infatti, Latini era stato costretto all’esilio in Francia dopo la sconfitta della sua fazione guelfa nella battaglia di Montaperti (1260).

La poesia di Dietaiuti, se connessa, esprimerebbe dunque sincera ammirazione per lo stoicismo dell’esule, e l’amore che condividono sarebbe quello per la dimensione civile, adesso privata di uno dei due membri che ne faceva parte: l’amadore si augurerebbe quindi il ritorno dell’amico. Sembra filare, ma se così fosse, saremmo al punto di partenza, ovvero al turbamento di Dante e al suo tabù a riguardo. Il mistero si prolunga…

Illustrazione di VHRO