Quando Farinata degli Uberti salvò Firenze dalla distruzione

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Il condottiero ghibellino si dimostrò il più attaccato alla città che lo aveva esiliato quando nel Congresso di Empoli (1260) fu l’unico ad opporsi alla distruzione di Firenze. Gli storici raccontano che i capi pisani e senesi, dopo la vittoria di Montaperti, erano decisi a radere al suolo la città nemica. Ma Dante lo inserì comunque nell’Inferno.

d el mi disse: “Volgiti! Che fai?
Vedi là Farinata che s’è dritto:
da la cintola in sù tutto il vedrai” …

Di subito drizzato, gridò: “Come?
dicesti ‘elli ebbe?’ non viv’elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?”…

Dissemi: “Qui con più di mille giaccio:
qua dentro è ‘l secondo Federico,
e ‘l Cardinale; e de li altri mi taccio” …

La storia la scrivono i vincitori, è risaputo. E la storia della letteratura? Non sempre, anzi. Prendiamo come esempio Dante. Dapprima fu guelfo bianco, e per questa ragione venne esiliato da Firenze; poi divenne ghibellino, ma l’imperatore da lui supportato, Arrigo VII, morì prima di ultimare l’auspicata unificazione della Penisola. Con il duro destino dantesco combacia quello di un altro fiorentino, noto soprattutto grazie al ritratto fattone proprio dal Sommo: si tratta di Manente di Iacopo degli Uberti, passato alla storia col soprannome Farinata (data la sua biondezza). Nacque nel 1212 circa e morì nel 1264, un anno prima della nascita di Dante, il quale però udì le storie leggendarie sul suo conto che lo innalzavano asimbolo assoluto dell’eroico ardore politico della Firenze duecentesca.

Difatti, Farinata fu il comandante dei ghibellini che, nella fatidica battaglia di Montaperti (1260), sconfissero i guelfi fiorentini, ovvero i nemici che lo avevano esiliato: grazie alla vittoria poté fare ritorno nella città natale. Tuttavia, in seguito alla battaglia di Benevento (1266), combattuta dopo la sua morte, la sua famiglia venne bandita da Firenze per sempre. Eppure, il condottiero si dimostrò il più attaccato alla città che lo aveva esiliato quando nel Congresso di Empoli (1260) fu l’unico ad opporsi alla distruzione di Firenze. Gli storici fiorentini raccontano che i capi pisani e senesi, dopo la vittoria di Montaperti, erano decisi a radere al suolo la città nemica per debellare una volta per tutte i residui di guelfismo. L’ostinato Farinata si oppose con tutto se stesso a tale decisione, declamando un epigrammatico proverbio di sua invenzione: «Com’asino sape, sì va capra zoppa, così minuzza rape, se’ lupo non la ’ntoppa» (Come sa anche l’ignorante, l’uomo gregario va dietro la massa, ottenendo poco, se un uomo caparbio non lo blocca), convincendo gli astanti a desistere dal loro progetto.

Farinata tinse sì di sangue fiorentino l’Arbia, il torrente che scorre nei pressi di Montaperti, ma se il capoluogo ancora oggi esiste è anche merito della sua tenacia, e soprattutto del suo incondizionato amore verso di esso. Sentimento che purtroppo non fu reciproco, in quanto l’inquisitore francescano Salomone da Lucca pronunciò contro di lui e contro la moglie Adaleta la condanna postuma per eresia: le sue ossa, che si trovavano nella chiesa di Santa Reparata, furono esumate, mentre i beni dei successori furono confiscati. Inoltre, la legge del tempo prescriveva che i figli degli esuli, giunti all’età di 14 anni, avrebbero dovuto condividere il destino dei padri. Così fu per i figli di Farinata, e anche per quelli di Dante: il dovere verso la patria soverchiò quello di padre. È proprio questo rammarico che fa da sfondo alla seconda parte del canto di Farinata (Inf. X), uno dei pochissimi dove la personalità del peccatore sopraffà le questioni dottrinali. Una volta superato il caustico diverbio iniziale tra i due partigiani, resta la duplice sofferenza di fronte ad una Firenze che fu eccessivamente ingiusta nei confronti di entrambi. La sventura che li accomuna nel dramma familiare ci fa capire con quanta amarezza il capo ghibellino, in virtù della sua preveggenza di dannato infernale, profetizzi l’esilio che colpirà Dante- personaggio (condizione che già affliggeva il Dante-scrittore). 

L’antagonismo politico tra i due sfuma ancora di più di fronte alla constatazione dell’insensato ciclo della violenza che chiama altra violenza. Dante si farà ispirare ancora una volta dall’altezza morale del concittadino: quando l’imperatore Arrigo VII assedierà Firenze nel 1312, il poeta sceglierà di non imbracciare le armi contro la sua odiosamata città. Anche i perdenti determinano il futuro che viviamo.

Illlustrazione cover di Alessio Atrei.