Valerio Aiolli, tra riflessioni e storia

nero ananas valerio aiolli

Tra i 12 semifinalisti del Premio Strega 2019, il romanzo Nero ananas di Valerio Aiolli è un libro più che mai necessario, che ricostruisce, con frammenti di vita quotidiana, gli eventi drammatici dal 1969 al 1973 in Italia.

Nero ananas è l’ultimo romanzo del fiorentino Valerio Aiolli, un libro che ci mette vis-à-vis con alcuni fantasmi del passato: dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 alla strage della Questura di Milano del 17 maggio 1973. Una moltitudine di personaggi, un proliferare di storie, una policromia di voci che diano al lettore «un senso di vertigine, pensando che quello che ha letto, come se fosse un giallo, è qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto nel nostro paese», si auspica Aiolli. Capitolo dopo capitolo, i punti di vista si alternano dando voce al ragazzino che deve fare i conti con la sparizione della sorella, agli estremisti anarchici di destra, e ancora a politici e agenti segreti, che commentano, ricordano, pianificano e influenzano.

Abbiamo incontrato l’autore e abbiamo ripercorso insieme a lui quei momenti drammatici e i suoi 20 anni di carriera fino alla seconda nomination al Premio Strega 2019.

Come mai ha scelto la formula del romanzo corale? E, considerando il tempo e le vicende narrate, potremmo definirlo anche un romanzo politico?

“Per me è innanzitutto un romanzo. Di solito racconto storie di personaggi che hanno, in misura diversa, un ruolo nella vita sociale, civile e a volte anche politica. In questo caso, alcuni di loro hanno molto a che fare con le istituzioni politiche o fanno parte di quel sottobosco che le sta combattendo. Quando ho pensato di raccontare questa storia, ormai tanti anni fa, mi sono reso conto che i personaggi coinvolti erano molti, ognuno avrebbe dato un suo contributo agli eventi e, quindi, non sarebbe stato possibile utilizzare un solo punto di vista”.

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Com’è nata l’idea di scrivere un romanzo che ha come sfondo gli attentati italiani negli anni dal 1969 al 1973?

“È nata nel momento in cui vennero alla luce le inchieste e i primi processi, quando i giudici andavano a rivedere le trame nere degli anni ’70. Quelle ricostruzioni giudiziarie aprirono nuovi scenari e misero in luce personaggi fino a quel momento mai visti. Io ho scelto uno di questi scenari, quello che mi sembrava più verosimile e più utile a raccontare quel periodo. Così ho cominciato a lavorare sull’idea di ricostruire l’immaginazione e l’architettura di un attentato terroristico come quello del 17 maggio del 1973 alla Questura di Milano, un fatto legato al mondo della strage di piazza Fontana”.

La strage di piazza Fontana è definita come il momento in cui l’Italia perse l’innocenza; può essere considerato anche una sorta di “big bang”? D’altronde, c’erano stati attentati anche prima, ma solo da quel momento si inizia a parlare di strategia della tensione…

“È assolutamente un big bang perché prima c’erano stati solo piccoli attentati preparatori oppure scontri di piazza tra fazioni opposte, ma alla luce del sole. Improvvisamente accadde questo fatto eclatante che rimase senza spiegazioni o con spiegazioni del tutto strumentalizzate, come l’accusa all’anarchico Pietro Valpreda; da quel momento si susseguirono una serie di attentati simili, in cui non sono mai state chiare le responsabilità. Dopo la strage di Piazza Fontana è cambiata anche la vita sociale italiana: si è persa quella sorta di gioiosità, anche un po’ irresponsabile, che c’era nella seconda metà degli anni ’60 e ci siamo scontrati con il male assoluto, con qualcosa di ignoto che tentava di intimorire e riequilibrare la situazione che evidentemente stava sfuggendo di mano a chi la voleva sotto controllo…”

Nietzsche diceva: «Quando guardi a lungo nell’abisso, l’abisso ti guarda dentro». Ha mai rischiato di essere risucchiato dalla voragine aperta quel giorno nella coscienza del nostro paese così come nella rotonda della banca Agricola di Milano? Ci sono stati momenti di sconforto

Questa frase vale per tutti i miei libri perché guardo sempre dove c’è il di caos. Il mio lavoro è tentare di accoglierlo e ritrasmetterlo in altra forma in quello che scrivo. Questo libro in particolare è stata una sorta di “discesa agli inferi”: entrare dentro le teste di persone che sognavano, pensavano, ideavano uccisioni di massa è stato particolarmente toccante. Inoltre, ho avuto molte perplessità sulla possibilità di trattare una materia così sensibile, un argomento ancora non del tutto superato dalla storia, con vittime tutt’oggi sofferenti; ma mi sono sempre risposto che la letteratura, se fatta onestamente, ha il diritto di dire la sua su qualsiasi argomento, privatissimo o estremamente pubblico. Ho proseguito e sono felice di averlo fatto!

In tutti i suoi libri affronta momenti oscuri della storia politica e sociale italiana: che cosa la anima, che cosa la porta a scrivere di questi temi?

“Ho sempre amato tantissimo la storia: è una fonte inesauribile di storie. Innamoramento, sentimenti verso le persone, la paura della morte, sono da sempre emozioni che accomunano gli animi umani, ma il modo in cui vengono declinati ed esperiti cambia a seconda delle condizioni sociali, politiche, tecnologiche ed è per questo motivo che amo indagare su momenti specifici del nostro passato.
In Nero ananas c’è anche un po’ di Firenze…” 
Se c’è un personaggio fondamentale mi piace ambientarlo nella città che conosco meglio, la mia. In questo caso Firenze non ha un ruolo basilare in quanto gli avvenimenti più importanti si svolgono altrove, ma mi piace raccontare la mia città, anche se con semplici gesti quotidiani.

Il libro è stato tra i 12 semifinalisti del Premio Strega 2019, così come accadde 20 anni fa con la sua opera prima; com’è cambiato Valerio Aiolli in questi 20 anni e come affronta la candidatura al più famoso premio letterario italiano?

L’altra volta fu una nomination del tutto inaspettata, arrivata 10 giorni dopo la pubblicazione di “Io e mio fratello”… pensavo a tutto tranne una candidatura allo Strega! Adesso è un po’ diverso, sono passati 20 anni, 10 libri e la mia presenza al Premio Strega è sicuramente più consapevole.
La mia attenzione al linguaggio, con un’accurata scelta delle parole, è rimasta invariata nel corso degli anni, ma in Nero ananas ho sperimentato e inserito un’architettura narrativa più ampia rispetto ai primi libri.

Articolo a cura di Annalisa Lottini