L’uomo e l’arte di Vincent Van Gogh raccontati dall’uomo e artista Julian Schnabel
Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Julian Schnabel è uscito nelle sale cinematografiche italiane il 3 gennaio 2019, dopo aver ricevuto premi e candidature a livello internazionale. Non è un biopic, non è un documentario, non è un film sulla vita di Van Gogh o sull’arte del pittore olandese. Che cos’è, allora? È una poesia, un susseguirsi di emozioni, è una visione personale e “incredibilmente viscerale”, come direbbe Philippe Daverio, su uno degli artisti più famosi al mondo, estesa a chiunque lo desideri.
Anche in quest’ultimo film di Schnabel si respira il suo amore per l’arte e la sua passione per la pittura.
A 23 anni dalla sua opera prima “Basquiat”, il regista porta sul grande schermo la sua soggettiva e poetica visione sulla tormentata vita dell’artista Vincent Van Gogh; le sequenze sono costantemente caratterizzate da movimenti di macchina, trascinando forzatamente lo spettatore nel caos della mente di un Van Gogh interpretato magistralmente da Willem Dafoe. Dalle voci e dai dialoghi che si ripetono nella sua testa al suo sguardo languido, l’attore regala un intenso e coinvolgente stato emozionale dell’uomo e dell’artista, traducendo la visione del regista.
Per tutto l’arco del film, Schnabel alterna momenti narrativi a sequenze di pura poeticità e metafore sulla vita e sullo stato emotivo di una persona sensibile e probabilmente ai limiti della pazzia; tutte le soggettive, ad esempio, sono caratterizzate dallo schermo diviso in due, una parte a fuoco e l’altra sfuocata.
Non sarà difficile notare come il regista guidi lo spettatore a riflettere sull’arte di Van Gogh. Un esempio?
Nell’unica sequenza in bianco e nero la tela sembra diventar parte del paesaggio, grazie alla tecnica di pittura dell’artista, il colore assume una conformazione materica che richiama una scultura, come tende a far notare anche l’amico Gauguin.
Grazie ad alcuni espedienti e ad alcune inquadrature, il regista dipinge vere e proprie opere d’arte sullo schermo (il campo di girasoli morti, Van Gogh seduto con il suo cappello di paglia sotto un albero, la natura che sovrasta Van Gogh seduto a dipingere en plein air), coadiuvando la “sacra” e sconfinata natura a scorci d’inestimabile bellezza paesaggistica che richiamano alla mente le lunghe e intense inquadrature malickiane.
E quando esci dalla sala cinematografica vieni assalito dai pensieri… no, non hai appena visto un film su Van Gogh, ma un film sulla nascita del gusto e sulla visione del colore dell’artista; hai appena visto un film sul rapporto natura, società, immortalità, quell’immortalità di cui parlava Foscolo, in cui solo chi ha fatto qualcosa in vita è degno di essere ricordato dai posteri, rendendolo immortale; hai appena visto un film che consta un pensiero universale, cioè che ogni epoca produce artisti che spesso sono destinati a essere riconosciuti come tali non nell’epoca in cui vivono, ma in quelle successive. Hai appena visto il tormento e il silenzio, pennellate di colore e schermate nere. Hai appena visto un’opera d’arte.
Giulia Farsetti