Gli “anglobeceri”: i viaggiatori anglofoni a Firenze nell’Ottocento

Parlavano un curioso vernacolo fiorentino, arricchito da un marcato accento inglese. Per questo motivo furono soprannominati “anglobeceri”, ma in realtà questi inglesi e americani erano viaggiatori di grande eleganza, spesso alla scoperta dell’Italia con la pratica del Grand Tour.

Il termine “anglobeceri” potrebbe inizialmente trarci in inganno a causa del suo apparente significato dispregiativo in quando “becero” in dialetto fiorentino viene usato per indicare una persona ignorante, volgare e chiassosa, ma unito per l’appunto ad “anglo” va ad assumere un senso completamente diverso e una connotazione positiva; e così, gli anglobeceri sono coloro che, nonostante la difficoltà della lingua (anglo sta per l’appunto ad indicare la provenienza inglese), cercano con grande sforzo di inserirsi nel tessuto sociale con il quale sono a contatto. Ebbene, nonostante la risaputa ironia dei fiorentini, questa volta più che trattarsi di puro sarcasmo, si tratta di un pezzo di storia nascosto da un termine divertente.

Ma a questo punto, chi sono gli “anglobeceri”?  Gli “anglobeceri” erano gli inglesi e gli americani che tra Otto e Novecento si erano stanziati a Firenze cercando di integrarsi con la comunità fiorentina parlando un buffo toscano con accento dichiaratamente anglosassone. Ma in realtà questa integrazione non è che venisse del tutto praticata, in quanto gli “anglobeceri” tendevano invece a ritirarsi in solitudine in sontuose ville alle pendici delle dolci e sinuose colline che circondavo Firenze, allontanandosi così dalla vita politica e sociale della città che tendevano unicamente a scrutare da lontano, studiandola per puro senso culturale, ma privandosi della partecipazione effettiva.

Frequentavano i caffè letterari più celebri del tempo, ma soprattutto leggevano le riviste straniere presso il Gabinetto Vieusseux, luogo di lettura su abbonamento per leggere pubblicazioni provenienti da tutta Europa, poi diventato nel XIX secolo uno dei punti di incontro più importanti in assoluto tra la cultura italiana e la cultura europea.  Fondato nel 1819 dal banchiere e editore ginevrino Giovan Pietro Vieusseux, ebbe la sua prima sede in palazzo Buondelmonti nella nota Via De’ Tornabuoni, dove lo stesso Vieusseux abitava, per poi essere trasferita dal 1940 a Palazzo Strozzi, rappresentando in tutti questi anni il luogo da cui passarono tutti i maggiori intellettuali italiani, ma soprattutto stranieri, da Giacomo Leopardi a Lawrence.

Questo viavai di stranieri a Firenze non era una casualità che si concentrasse proprio nei secoli prima citati, per il semplice fatto che quelli erano i secoli del famigerato Grand Tour, fenomeno che affonda le sue radici nel XVII secolo e che continua tutt’oggi, sebbene in forma diversa e molto più mercificata, con il termine di turismo.

Il Grand Tour era un vero e proprio viaggio di formazione, nonché un’occasione per perfezionare il proprio sapere e a compierlo erano i ricchi intellettuali aristocratici provenienti da tutte le parti del mondo in Europa Continentale, in particolare nel nostro bel paese dove città come Roma, Venezia, Napoli e per l’appunto Firenze attiravano non poco la loro attenzione in quanto ricche di storia, arte e cultura e quindi adatte ai fini del Grand Tour.

Patch, Thomas, Veduta di Firenze da Bellosguardo – Collezione Ente Cassa di Risparmio di Firenze

E così alla scoperta dell’arte classica e dei fasti dell’antica Roma, orde di intellettuali si riversarono in Italia, attraversandola da nord a sud e talvolta adottati da essa, in quanto molti finirono per viverci e morire. A proposito di questo, non a caso a Firenze troviamo il Cimitero degli Inglesi, sito nell’ovale di Piazzale Donatello, che tra negli anni che vanno dal 1828 al 1877 fu luogo di sepoltura di numerosissimi intellettuali e uomini di cultura, per la maggior parte inglesi (circa 760 tombe su 1409); questo accadde almeno fino agli anni di Firenze capitale, quando il cimitero fu compreso nelle mura della città e di conseguenza venne proibito alla comunità protestante di compiervi sepolture al suo interno, e poiché i fiorentini assimilavano gli inglesi ai protestanti, si fermarono anche le sepolture di persone di origine anglosassone.

Tra le tante tombe di uomini e donne famose che possiamo trovare facendo un piccolo tour di questo cimitero, c’è sicuramente quella della scrittrice inglese Elizabeth Barrett Browning, la quale fuggì dall’Inghilterra col marito (il poeta R. Browning) sposato in segreto contro la volontà del padre recandosi proprio a Firenze dove visse, scrisse e morì. La scrittrice abitò col marito al piano nobile di Casa Guidi, nei pressi di Palazzo Pitti, e fu proprio qui che diede vita al poema “Casa Guidi windows” nel quale narrò dei movimenti patriottici che infervoravano la città in quegli anni. In via Maggio è anche possibile trovare una targa a segnalare l’abitazione nella quale visse la scrittrice, la quale recita così:

«Qui scrisse e morì E. B. Browning che in cuore di donna conciliava scienza di dotto e spirito di poeta e fece del suo verso aureo anello fra Italia e Inghilterra […] »

Non è assolutamente un caso che la scrittrice fosse scappata a Firenze in quanto una delle motivazioni per cui l’Italia rappresentava il paese all’epoca più gettonato, oltre alla cultura e al clima mite e favorevole nella cura di malattie come ad esempio la tubercolosi, era anche la maggiore libertà di cui era possibile godere soprattutto dì parte delle donne intellettuali che nel nostro paese, inaspettatamente, potevano studiare e operare in ambito culturale molto più serenamente di quanto potessero fare nei loro paesi di origine, soprattutto l’Inghilterra che nei loro confronti si mostrava piuttosto ostile. Tra le donne di cultura che giunsero a Firenze è sicuramente da citare la creatrice di uno dei romanzi capisaldi della letteratura inglese: parliamo di Mary Shelley, la scrittrice del celebre “Frankenstein”, la quale soggiornò a lungo a Palazzo Marini insieme al marito Percy Shelley e fu proprio qui che scrisse due delle sue opere più celebri, ovvero “Il Prometeo liberato” e “Ode al vento occidentale”.

Ma l’Inghilterra, come altre parti dell’Europa, non mostrava il suo moralismo bigotto solamente nei confronti delle donne che operavano in ambito culturale, ma anche nei confronti degli omosessuali, i quali erano spesso destinati a subire il carcere duro. A questo punto, non può non venirci in mente Oscar Wilde, il quale soggiornò a Firenze per ben due volte, la seconda proprio in seguito all’incarcerazione subita in Inghilterra per la sua omosessualità. Celebri sono le lettere che Wilde scrisse al padre in cui parlava in modo appassionato e intenso delle tante bellezze che aveva avuto occasione di ammirare nella capitale del Rinascimento, tra cui la Basilica di San Lorenzo con la tomba di Giuliano De’ Medici, creazione di Michelangelo, nonché la Biblioteca Medicea Laurenziana, l’Abbazia di San Miniato al Monte e infine il Museo Archeologico in cui rimase colpito dalle preziose testimonianze dell’arte etrusca.

Un altro nome celebre della letteratura europea che passò da Firenze, anche se non angloamericano bensì tedesco, fu senza ombra di dubbio quello di Goethe che nel suo “Viaggio in Italia” (1786-1788) parlava così di Firenze:

«Nella città vediamo la prova della prosperità delle generazioni che l’hanno edificata, e ci afferra d’un tratto la convinzione che debbano aver goduto d’una lunga successione di saggi governanti […] »

Patch, Thomas, Piazza della SignoriaPlymouth, City Museum and Art Gallery©

Ed infatti Firenze, negli anni del Romanticismo, conobbe un vero e proprio boom di turismo ed il motivo era sicuramente l’offerta culturale e artistica della città ma anche il fatto che a Firenze era possibile vivere nel lusso a minor costo, al contrario di quello che accade oggi.  A questo proposito, per un ricco aristocratico o un intellettuale non era difficile o troppo dispendioso trovare la propria dimora in una bella e sontuosa villa sui colli fiorentini. Tra i tanti possiamo citare lo scrittore newyorkese Henry James, il quale soggiornò a lungo a Bellosguardo, ospite nella villa della scrittrice statunitense Costance Fenimore Woolson, dove tra l’altro scrisse i suoi “Racconti Italiani” e “Ritratto di signora”. Ma anche lo scrittore Nathaniel Hawthorne, anch’egli statunitense, visse e operò a Firenze e precisamente a Villa Montauto dove scrisse “Il fauno di marmo”; questi ultimi come tanti altri, da Wilde a Churchill, si trovavano spesso a frequentare i salotti della scrittrice britannica Violet Trefusis la quale viveva nella famosa Villa dell’Ombrellino e della scrittrice francese Vernon Lee, la quale invece dimorava a Villa il Palmierino.

Insomma, sui panoramici colli, se si fosse vissuti all’epoca, non sarebbe stato difficile incontrare tante personalità, dal mondo della cultura a quello della politica, che a bordo delle loro carrozze scorrazzavano da una villa all’altra per discutere di cultura in generale o per trarre ispirazione per nuove opere letterarie, come fece ad esempio D. H. Lawrence, al quale la campagna toscana che circondava la sua casa di Scandicci ispirò l’ambientazione per il suo romanzo più celebre, ovvero “L’amante di Lady Chatterley” che venne pubblicato per la prima volta nel 1928 proprio a Firenze e non in Inghilterra, in quanto la madrepatria dello scrittore ritenne il contenuto del libro troppo scandaloso e licenzioso per l’ ipocrita e bacchettona società inglese dell’epoca.

Ma non fu solo Firenze a donare arte, ispirazione, salute e benessere a questi uomini di cultura venuti da lontano, in quanto anche loro regalarono qualcosa di importante alla città, come ad esempio gli angloamericani che donarono le proprie collezioni d’arte a Firenze, collezioni che oggi possiamo ammirare visitando il Museo Horne e il museo Stibbert o come gli scrittori che scelsero il capoluogo toscano come ambientazione dei loro romanzi; a questo proposito, non si può non citare Edward Morgan Foster che ambientò a Firenze il suo “Camera con vista” (1908), uno dei romanzi più famosi della letteratura mondiale.

Insomma, quello tra Firenze e gli intellettuali provenienti dall’Europa e dall’America, fu uno scambio di bellezza alla pari che arricchì entrambe le parti e che costituisce un importante pezzo di storia per questa città che ancora una volta ci offre la prova su un piatto d’argento di quanto sia stata ed è ancora oggi importante per chiunque abbia la necessità di stare a contatto con la magnificenza e lo splendore di una città che ha tanto da offrire sia esteticamente che culturalmente. Oscar Wilde, nel suo poema “By the Arno” (1881), probabilmente ispirato da una passeggiata che lo scrittore compì in riva al fiume fiorentino, non a caso, scriveva così:

« L’Oleandro sul muro

diventa cremisi nella luce dell’alba,

nonostante le grigie ombre della notte,

giace ancora su Firenze come un drappo»

Queste dolci parole sono la testimonianza di come Firenze abbia sempre lasciato negli animi un puro senso di bellezza e poesia del vivere, cosa che gli “anglobeceri” avevano colto molto bene, tanto da finire per preferire Firenze alle altre città italiane.

Articolo a cura di Valentina Vetrano