Purtroppo stiamo andando incontro ad una crisi epica, ci sarà una drastica selezione, non solo di punti vendita ma anche di quei marchi meno affermati, meno solidi e le aziende indebitate o sottocapitalizzate. I brand impostano la collezione, fanno investimenti e programmano la produzione con grande anticipo, quindi questa contrazione potrebbe investire fino a due o tre stagioni a venire.
Già abbiamo il rischio di invenduto dell’estivo 2020, a cui si somma l’invernale 2021 – chi può fermerà o ridurrà la produzione – che a regola dovrebbe essere già stato mandato in produzione per la consegna tra giugno e luglio. In definitiva il sistema è molto stressato, con grande offerta di prodotti e in Italia pure di punti vendita, logico aspettarsi che per riequilibrarsi porterà ad espellere dal mercato chi è meno strutturato.
Il “made in Italy” uscirà ridimensionato da questa tempesta o ci saranno nuove opportunità?
Per il made in Italy il discorso è diverso e magari non penalizzante nel medio periodo, forse si orienterà su un mercato più “regionale” anziché globale. A seconda di quanto dureranno le restrizioni di questa emergenza, che impattano sull’aspetto logistico, è probabile ci sarà l’esigenza di un ritorno delle produzioni in loco con sbocco di vendite a livello continentale…
Quindi è plausibile che vada rivisto un sistema dove una ditta europea produce in Asia per vendere in America, anche per tornare a tempistiche più ragionate e legate alle effettive esigenze del mercato. Una sorta di re-shoring forzato ma che potrebbe aprire uno scenario interessante.