Come guardiamo l’Africa? E come l’Africa guarda noi? Al Kibaka Florence Festival dedicato al Cinema Africano si alternano emozioni, risate, commozione e riflessioni su integrazione e multiculturalismo
“Kibaka significa sedia nella kimbundu -ricorda Matias Mesquita, direttore del Festival- e si riferisce alla sedia di legno che a Luanda, in Angola, avevamo tutti nelle case. Mio nonno, quando arrivava, si sedeva lì e raccontava tutta la storia della famiglia e del villaggio, in una sorta di cinema orale.”
Ed è proprio così che ci mettiamo a sedere al Cinema La Compagnia, in trepidante attesa di ascoltare e vedere esperienze di vita vissuta e racconti onirici.
Martedì 12 febbraio si è svolta la prima delle due giornate del Kibaka Florence Festival, la rassegna cinematografica dedicata all’Africa; un turbinio di sequenze, suoni e storie che parlano di relazioni e di vita quotidiana, di rapporti che cambiano e panorami che si trasformano.
Per questa sesta edizione del Festival, il programma coinvolge gli spettatori in varie sfumature e sfaccettature delle innumerevoli realtà africane, in Africa come in Italia. In “24Hour Barbershop”, infatti, siamo trasportati all’interno del parrucchiere in via Palazzuolo, locale gestito e frequentato da africani, 14 minuti di vita quotidiana in questo microcosmo nel cuore di Firenze che il regista Eusebio di Cristoforo porta sul grande schermo partendo da un reportage fotografico. In “Tant Qu’on Vit” di Dani Kouyaté, invece, veniamo catapultati in Gambia e, insieme alla protagonista (e a suo figlio), viviamo un “ritorno a casa” particolare, una ri-scoperta della bellezza del luogo, del piacere di stare all’aria aperta, del tempo che scorre. Di tutt’altro tono “Ancora un giorno” di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, che raccontano l’esperienza di Ryszard Kapuściński (del suo film ve ne abbiamo parlato, qui ) in piena guerra civile tra le strade sterrate e i villaggi dell’Angola e di cui abbiamo assistito all’anteprima nazionale.
Con “Special Day” torniamo in Italia, a Trastevere: il regista Gaston Biwolé racconta che ha avuto l’idea del film dopo gli attentati di Parigi e gioca sull’espressione araba “Allah akbar” per smuovere tematiche impegnative basandole, però, su una narrazione veloce e divertente. A Pontedera, invece, è girato il film “Trek Point” di Tommaso Cavallini, un film sull’integrazione, ma al tempo stesso affronta tematiche come l’amore e l’amicizia, scanditi dalle parole di un “Griot” senegalese e il suono delle sue conchiglie.
I lavori dei registi europei e africani che scandiscono le due giornate sono eterogenei e affrontano tutti tematiche diverse, con un fil rouge universale basato sulla vita degli africani, l’integrazione, il multiculturalismo, la cementificazione delle campagne in Africa e i diritti delle donne.
L’appuntamento per la seconda e ultima giornata del festival è martedì 19 febbraio con tre film in cui si viaggerà tra Italia, Kenya e Marocco, tra diversità, tolleranza e responsabilità civile e sociale. Noi ci saremo!
Articolo a cura di Giulia Farsetti