Guardami bene e saprò chi sono (Seconda parte)

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La società dell’immagine ci riporta ai simboli dell’occhio che guarda e del liquido che lo sostiene: corrispondono alla fase di crescita adolescenziale (sessuale, dove il corpo cambia per essere visto) e alla liquidità del materno (ovvero una regressione ad uno stadio di pace e inerzia dove non importa far niente, nella pancia della mamma). La nostra società è tra due tensioni opposte che modificano, più o meno velocemente, lo scenario nel quale viviamo:  da una parte l’apertura spasmodica verso una libertà sconfinata

immagine7dove tutto si può fare e tutto è accettato, dal lato opposto un controllo sempre più ossessivo attraverso ogni sovrastruttura istituzionalizzata (la digitalizzazione, i codici di identificazione, le burocrazie, le indagini di mercato, i sondaggi). Possiamo vivere una vita “irreality” in modo “reality” attraverso una massima trasposizione del senso della vita, e proprio facile da tollerare non è se si pensa alla morte! Tutto questo, quindi, sembra accadere per non prenderci mai troppo sul serio e poter oscillare continuamente da una realtà all’altra.

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L’immagine, in questo senso, caratterizza la formazione delle nostre identità quando recepiamo l’importanza e il potere della comparizione in televisione, dell’interazione sui social network, dove il “mi piace”, associato ad una foto o quant’altro, ci rende perfettamente l’idea di come inconsciamente tendiamo verso la necessità di avere una risposta dall’altro, o meglio di come nell’immagine è insita la richiesta di un giudizio (feedback). Vedersi dall’esterno appare essere estremamente stimolante per l’uomo moderno, purché non si scivoli in una forma narcisistica o voyeuristica di identità esistente esclusivamente come esterna, dove l’identificazione tra l’immagine che diamo e quello che siamo è tale che il piacere deriva dal vedere e dall’essere visti escludendo il dono della parola o meglio la capacità di interagire sulla meravigliosa complessità dell’altro. (fine seconda parte. Per leggere la prima cliccare qui).


MARIO PUCCIONI

Psicoanalista e docente universitario

(L ‘ARTICOLO PROPONE IL PENSIERO LIBERO DELL’ AUTORE E NON PRESUPPONE INDICAZIONI CLINICHE O DI CARATTERE SCIENTIFICO)