Dopo un anno di conflitto in Ucraina, la spirale della censura delle autorità ucraine per i freelance italiani. Il fotografo toscano Alfredo Bosco, attualmente a Kiev insieme al collega Andrea Sceresini, stava documentando i terribili eventi di guerra nei territori contesi.
Alfredo Bosco, classe 1987, toscano di Santa Croce sull’Arno, è un fotografo freelance che mette le questioni sociali e le crisi geopolitiche al centro della sua indagine fotografica.
Su FUL abbiamo avuto il piacere di pubblicarlo più di una volta, dall’impegno nel racconto della guerra alla droga nello stato messicano di Guerrero – da cui è nato il libro fotografico Estado de Guerrero – al progetto a lungo termine sulla guerra in Donbass, nell’Ucraina orientale. Donbass: No Man’s Land è stato selezionato al Lumix Festival of Young Photojournalism, poi in tempi recenti questi scatti sono stati riportati in mostra in Toscana, lo scorso settembre al festival Io Resisto di Empoli, e FUL era media partner. Nel 2022 per il suo lavoro ha ricevuto il “Premio nazionale sul reportage di guerra Antonio Russo”.
Attualmente Alfredo si trova di nuovo in Ucraina per testimoniare la guerra, spesso in collegamento video per La7, ma le autorità ucraine adesso lo hanno censurato – insieme al collega Andrea Sceresini – con un’accusa infamante: quella di essere “filo-russo”. Lo SBU, i servizi segreti ucraini, lo tengono bloccato a Kiev in attesa di essere interrogato. Un interrogatorio che non arriva mai e, dopo dieci giorni di riserbo, Alfredo e Andrea hanno rotto il silenzio e denunciato la loro situazione.
I due giornalisti italiani sono stati bloccati il 6 febbraio senza vedere sbloccata la loro situazione con i servizi di sicurezza, dopo che il Ministero della Difesa ucraino ha sospeso i loro accrediti stampa, regolarmente concessi un anno prima. Un terzo giornalista italiano, Salvatore Garzillo, è stato respinto al confine mentre entrava nel Paese dalla Polonia. L’accusa a tutti loro – mai esplicitata ufficialmente, ma fatta circolare – è “collaborazione col nemico”. Un vero e proprio atto persecutorio e di censura, che mette a repentaglio la sicurezza dei reporter oltre all’impossibilità di lavorare.
È evidente la volontà di non riconoscere l’errore fatto per questi reporter freelance – che hanno lavorato in Donbass con professionalità e spirito critico – e tenerli lontano dal fronte dove possono meglio raccontare gli sviluppi della guerra. Perché i freelance non sono embedded come invece molti altri giornalisti accreditati dalle testate internazionali. La loro libertà di movimento, in quanto tale, è stata considerata una minaccia di narrazione degli eventi non gradita alle autorità?
Da un anno i servizi dall’Ucraina di Alfredo e Andrea vengono pubblicati da Rai, LA7, Mediaset, il Fatto Quotidiano, la tv tedesca Rtl, l’Espresso, il Manifesto, le Figaro Magazine, La Croix, ecc… Anche noi di FUL abbiamo potuto pubblicare delle foto del conflitto gentilmente concesse da Bosco grazie al suo lavoro! Adesso, questi colleghi sono ingiustamente all’indice come “collaboratori del nemico”, un’accusa che in zona di guerra può avere conseguenze molto serie per la loro incolumità. Potrebbero essere arrestati al primo posto di blocco.
Questi reporter sono tra quelli che da anni ritenevano sbagliato parlare di “crisi” nell’est dell’Ucraina, perché loro in Donbass nel 2014 hanno testimoniato che lì c’era una guerra “vera” e tale era rimasta in seguito, pur a bassa intensità. Chi ha lavorato all’epoca come loro in quei territori sapeva bene della tensione politica e sociale che generava un conflitto vivo all’interno dell’Ucraina e tra questa e la Russia. Eppure nei media occidentali se ne parlava poco, come aveva detto anche Bosco nel 2022 a FUL nell’intervista di marzo, quando la guerra era scoppiata da un paio di settimane.
Andrea Sceresini, peraltro, ci ha scritto un libro edito da BUR, La guerra che non c’era, insieme a un altro giornalista italiano bannato: Lorenzo Giroffi.
Infatti, del Donbass, dopo il 2014, qui in Italia se ne parlava di rado. Magari qualche aggiornamento sugli sviluppi della vicenda processuale legata alla morte del fotoreporter Andrea Rocchelli, a Sloviansk, o sporadici reportage sul manipolo di volontari connazionali che vi si erano recati a combattere. Tra cui ad esempio Andrea Palmieri, ex-capo ultrà della Lucchese…
Per il resto, forse, in Occidente si è preferito non disturbare le autorità ucraine che fino al 24 febbraio 2022 avevano fatto calare una cappa di silenzio sulla regione orientale dove, tuttavia, si continuava a morire sotto i colpi di mortaio.
Sono le solite autorità del Ministero della Difesa che mai hanno collaborato con la giustizia italiana per giungere alla verità sulla morte di Rocchelli, ma anzi hanno fatto ostruzionismo quando la nostra magistratura ha investigato per scoprire la verità.
Come ci aveva detto Alfredo nell’intervista di un anno fa – e che vi invitiamo a rileggere – <<questa tensione in Occidente è stata ignorata per anni (nonostante abbia causato ben 14mila morti. Ndr). Poi resta l’intervento armato russo improvviso e su larga scala senza una lunga crisi diplomatica che lo preannunciasse ma, lì nel Donbass, chi c’è stato, non si sorprende che sia scoppiata una guerra più grande. Ripeto, c’era già un conflitto vivo che in otto anni non è stato risolto>>. È questo lavoro d’investigazione portato avanti con scrupolo dal 2014 che lo SBU ha voluto colpire oggi, silenziando quei reporter che in Donbass avevano raccontato il conflitto da entrambi i fronti, esercito regolare o separatisti che fossero.
FUL, che resta una testata indipendente, non vuole certo disquisire su chi sia in torto, la Russia – con la sua invasione criminale – e su chi sia l’aggredito, l’Ucraina. I fatti sono fuori discussione ma, nel primo anniversario del conflitto, ancora una volta risuona la celebre frase di Eschilo: “in ogni guerra la verità è la prima vittima”.
La guerra in Ucraina è un fatto epocale e vogliamo sia documentata in maniera critica e senza bavagli, auspichiamo una positiva soluzione per questi professionisti dell’informazione che ce la stanno raccontando.
Cover photo courtesy of © Nikoletta Stoyanova