L’intervista ai Loren quattro anni dopo l’album d’esordio

La band fiorentina è tornata con un nuovo sound fatto di contrasti e contaminazioni. Ci hanno raccontato come è ricominciato tutto e come la musica li ha salvati

I Loren nascono nel 2018 dall’evoluzione degli Amarcord. Con il primo album “Loren” – prodotto da Garrincha Dischi – portano a compimento un tour di concerti nelle principali città italiane e si inseriscono nella scena pop-indie dello stivale. Collaborano con Enrico Roberto ‘Carota’ (Lo Stato Sociale), CIMINI, Nicola ‘Hyppo’ Roda (Keaton). Nel corso del tempo, al chitarrista Marco Ventrice, al bassista Gabriele Burroni e al cantautore Francesco Mucè si sono aggiunti il batterista Richard Cocciarelli e il chitarrista Dario Fischi.

Sono passati quattro anni dal vostro ultimo album, cos’è cambiato da allora?

Abbiamo sentito la necessità di uscire dagli schemi dell’indie italiano cercando di intraprendere un cammino nuovo. Così, ci siamo avvicinati al New Folk e ad un Pop di respiro internazionale che ci ha portato alla scrittura di un disco diverso dal precedente. Quando è scoppiata la pandemia scrivere, suonare e registrare sono diventati ancora più vitali per noi. Abbiamo trovato il modo di continuare a produrre idee e contenuti inevitabilmente contaminati dalla situazione.

Proprio a seguito della pandemia nasce “Uniti” che parla della forza dello stare insieme, dell’importanza di ascoltarsi e collaborare. Un brano che non avete ideato in riferimento all’emergenza sanitaria ma che perfettamente riassume quello che abbiamo vissuto. Ma parliamo, invece, dell’ultimo singolo “Viva la paura” uscito il 2 marzo

Con “Uniti” abbiamo scelto di tornare sulla scena con un messaggio chiaro: siamo una band. È sicuramente il pezzo dal sound più crudo, più live, quindi il singolo più azzardato da tirare fuori. Però ci abbiamo creduto tutti lo stesso. Con “Viva la paura” invece siamo usciti dai nostri schemi musicali, abbracciando il gospel e ritmi shuffle. Il mondo anglosassone ha sempre suscitato un’attrazione condivisa, abbiamo cercato di farlo nostro con influenze a volte blues, a volte quasi da worship music. Quella gospel è una musica che punta ad elevare lo spirito dell’ascoltatore, facendo perno soprattutto su quella dimensione corale che noi speriamo di ricreare non appena torneremo a suonare dal vivo. Infatti, aiutarsi per raggiungere un risultato migliore è proprio la base di questo tipo di musica che non nasce da una voce sola ma da un insieme coordinato: per questo abbiamo coinvolto il gruppo gospel “Vocal Blue Trains” , con cui da tempo pensavamo di collaborare. Il testo vuole spingere ad esorcizzare la paura e a fare pace con il fatto che siamo umani. Nasce da un momento in cui siamo stati costretti a convivere – tra pandemia e guerra – con questo sentimento e vuole essere un messaggio di conforto per tutti quelli che lo provano spingendo a non fingere di stare bene ma a parlarne. “Uniti” e “Viva la paura” sono accomunati proprio da questo messaggio di fondo: la necessità di condividere e di partecipare per essere migliori. Inoltre, rappresentativa è anche la frase “viva la paura di essere ordinari” perché proprio quando smettiamo di sentirci speciali sentiamo la necessità di fare di più e di dare tutti noi stessi.

Durante l’isolamento è risultato evidente il valore sociale importantissimo della musica e questo traspare dalle vostre canzoni. Cosa pensate che possa fare la musica concretamente per le persone?

Per noi è stata la chiave per rompere l’isolamento. Tutti ricordiamo l’Italia che cantava dai balconi e che trovava modi inediti per tornare a stare insieme ed evadere. La musica permette di aprire prospettive nuove, fa da collante alla nostra amicizia e ci spinge a rafforzare i rapporti umani. Siamo stati molto fortunati perché grazie a Garrincha Dischi durante il lockdown abbiamo potuto continuare a suonare e ta trovarci in studio per comporre pezzi nuovi. Questo è stato la nostra ancora di salvezza che ci ha permesso di stare insieme in un momento in cui a molti non era concesso. Per noi il significato della musica è molto vicino a quello della vita stessa, si lega inevitabilmente alla sopravvivenza.

Siete un gruppo composto da 5 membri con personalità differenti qual è l’elemento fondante e legante che vi fa lavorare insieme?

A fare da mediazione c’è Alex Marton, il nostro produttore. Ma in generale condividiamo la visione e il modo di fare musica. Lavoriamo molto in studio e in sala prove con gli strumenti in mano. Oggi si tende a comporre e registrare in maniera veloce senza necessariamente suonare strumenti analogici ma passando per molte emulazioni digitali. In questo senso ci definiamo degli artigiani, studiamo e dedicano tempo ad ogni aspetto delle nostre canzoni. Come per un mosaico ognuno aggiunge la propria ricchezza. Proprio la nostra diversità ci permette di spingerci oltre creando qualcosa di unico. La contaminazione, la collaborazione con altri musicisti, l’apertura verso gli altri sono la nostra linfa vitale.

Attraverso la vostra musica sottolineate la bellezza di Firenze – la vostra città di origine – e permettete anche di scoprirerne luoghi bellissimi. Ad esempio il video di lancio di “Viva la paura” è stato girato sulla terrazza del “The Student Hotel”.Che legame avete con questa città e come la valorizzate?

In realtà, è la città che valorizza noi. Firenze è piena di bellezza e quando ci cresci questa inevitabilmente torna in superficie in quello che fai. Non è solo una città ma persone, memorie, collaborazioni, progetti. Fa parte di noi come un tessuto e non possiamo dimenticarla o usarla solo quando ci serve. Essere artisti è come essere un’antenna che trasmette quello che gli sta intorno. Firenze da questo punto di vista non può che essere una parte della nostra cifra stilistica di persone e musicisti. Cerchiamo di trovare anche dei punti di vista nuovi per raccontarla – come è accaduto allo Student Hotel – individuiamo occasioni per stare insieme coinvolgendo altre persone e contaminandoci con altre realtà del territorio. Nelle nostre canzoni parliamo del tema delle radici e dell’attaccamento alla città per suscitarli negli altri, soprattutto nei giovani che vogliono fare i musicisti e che tendono a trasferirsi verso i grandi centri: vedi Roma o Milano. Vogliamo far capire che a Firenze la musica esiste e che è necessario creare degli spazi e collaborare. Ci sono fonici, videomaker, addetti ai lavori bravissimi con cui noi lavoriamo e che dovrebbero avere maggiori opportunità.

Come vedete i Loren “da grandi”? Quali piani per il futuro della band? 

A noi manca tantissimo suonare dal vivo. Stare sul palco è essenziale per i musicisti, in quel momento si concentra tutto il presente in ogni fibra del corpo. Conta solo dare tutto, trasmettere energia e davvero non ti chiedi più “se sei grande o no”. Questo è quello che ci manca e vorremmo che il nostro futuro ci continuasse a regalare. Adesso con le riaperture sembrerebbe aprirsi uno spiraglio di normalità.

All’uscita dei nuovi singoli coinvolgete direttamente e attivamente anche i vostri ascoltatori e amici nella creazione di contenuti connessi al significato delle vostre canzoni. Per “Stendhal” sui social avete pubblicato dei video di giovani turisti bendati davanti ai maggiori monumenti di Firenze. Per “Viva la paura” invece, a cosa avete pensato?

Ci piace coinvolgere attivamente le persone per la creazione dei nostri contenuti. Lavorare in squadra, ideare qualcosa di bello per chi ci ascolta e ci sostiene. Non possiamo anticipare molto ma per “Viva la paura” ci sarà una bella sorpresa.

Non ci resta allora altro da fare che restare incollati ai canali social dei Loren per scoprire cosa hanno progettato questa volta.

Foto a cura di Linda Gramignan