Cosa si nasconde dietro questa apparentemente innocua bevanda che tinge di arancione ogni selfie estivo che si rispetti? Qual’è il motivo che spinge chiunque non abbia voglia di pensare a pronunciare davanti ad ogni bancone la fatidica parola con la “S”? Sarà colpa della mala o della pubblicità?
Alcune di queste risposte le ho, altre mi angosciano e mi perseguitano giorno e notte. Cominciamo con il puntare il dito subito sui responsabili: gli austriaci. Anzi, gli austro-ungarici.
Siamo negli anni della dominazione asburgica del nord Italia. I nostri invasori si adagiano agli usi e costumi della penisola e godono dei benefici di una terra ricca di prelibatezze gastronomiche e vitivinicole. Ma come diceva anche il mago di Oz “nessun posto è bello come casa mia”, per cui i nostri amici risentivano della mancanza della loro amata birra e, dopo un paio di decenni di tentativi falliti nel sostituirla con il vino (immaginate di farvi un paio di pinte di vino bianco e poi capirete lo stato d’animo di questi poveri cristi) la soluzione accorre dalla cittadina prussiana di Selters, in Alsazia: si chiama acqua di Seltz, ed è essenzialmente un’acqua molto gassata grazie alla aggiunta di uno sproposito di anidride carbonica. Aggiungendo questa in parti uguali ad un vino fermo, non solo riuscirono ad abbassarne la gradazione alcolica consentendone un maggiore consumo, ma gli conferirono anche quella frizzantezza che in fondo al cuore gli ricordava l’amata birra. Chiamarono questa miscela “Spritzer”, che in lingua tedesca vuol dire “spruzzo”. Secondo alcune fonti (alle quali mi aggrappo spesso per sottrarmi alla preparazione di uno spritz) un secondo significato della parola nello slang austro-ungarico del tempo vedrebbero una traduzione più accurata nella parola “schifezza”.