Via dei Georgofili, 30 anni fa la strage mafiosa che sfregiò Firenze

via dei Gergofili © Gianluca Braccini

Le stagione stragista di Cosa Nostra, apertasi nel 1992 con le bombe che assassinarono i giudici Falcone e Borsellino, continuò nel 1993 con una serie di attacchi al patrimonio artistico dello Stato. Nella notte tra il 26 e il 27 maggio un’autobomba in via dei Georgofili danneggiò gli Uffizi e uccise cinque persone.

Ore 01:04 del 27 maggio 1993. È caldo come d’estate in quella tarda primavera e forse qualcuno sta dormendo già con la finestra aperta. All’epoca la viabilità del centro di Firenze era molto diversa rispetto a oggi, praticamente da Ponte alla Vittoria, passando per il lungarno, si poteva arrivare fin sotto gli Uffizi. In via dei Georgofili, sotto la Galleria, c’è un furgone FIAT Fiorino parcheggiato. È stato rubato la sera prima a Prato da due mafiosi affiliati al clan palermitano di Brancaccio: Gaspare Spatuzza e Francesco Giuliano. Dopo averlo imbottito con 277 chilogrammi di esplosivo, un altro mafioso, Cosimo Lo Nigro, lo ha lasciato lì.

Questo è lo scenario del più grave attentato terroristico nella storia di Firenze. Voluto da Cosa Nostra come colpo allo Stato, l’esplosione dell’autobomba provocò il crollo della Torre dei Pulci – oggi appare ristrutturata e con l’installazione Olivo elle Pace all’angolo di via Lambertesca – causando la morte di cinque persone: i coniugi Fabrizio Nencioni e Angela Fiume con le loro figlie Nadia e Caterina e lo studente Dario Capolicchio. Inoltre, si registrò il ferimento di 48 persone. La deflagrazione arrecò gravissimi danni alla Galleria degli Uffizi e al Corridoio Vasariano, molte opere furono danneggiate, alcune in maniera irreparabile. Mentre i capolavori più importanti erano stati protetti dai vetri di protezione che attutirono l’urto, alcuni dipinti risultarono distrutti per sempre.

Tale evento è stato inquadrato dalla procura di Firenze nella scia degli altri attentati avvenuti tra 1992 e 1993 a Palermo, Roma e Milano. Complessivamente gli attacchi mafiosi provocarono la morte di 21 persone – tra cui i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – e gravi danni al patrimonio artistico. I boss mandanti – i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano – e gli esecutori materiali dell’attentato sono stati condannati all’ergastolo nel 1998, ma un filone d’inchiesta sui “mandanti occulti” resta ancora aperto in Procura a Firenze. Ovvero, ci furono, mandanti esterni alla mafia per le stragi di Firenze, Roma e Milano? Ci fu una convergenza d’interessi tra massoneria deviata, destra eversiva e Cosa Nostra? Il giornalista Salvo Palazzolo traccia un quadro inquietante di evidenti connivenze, con i fratelli Graviano che forse potrebbero aver toccato apparati deviati dello Stato. Furono usati per un’altra nuova “strategia della tensione” come sostiene lo scrittore Enrico Deaglio?

A queste inquietanti domande stanno tentando di dare una risposta i magistrati Luca Tescaroli e Luca Turco in procura antimafia.

La “stagione stragista” colpì fuori dalla Sicilia proprio nei mesi successivi al blitz con cui i Carabinieri catturarono il super boss Salvatore Riina, primo fautore della linea dura nella guerra dichiarata allo Stato. Una guerra che il clan dei “corleonesi” aveva voluto scatenare come ritorsione contro il “Maxi-processo” voluto da Falcone, l’istituzione della Direzione Nazionale Antimafia e il carcere duro per i mafiosi (la nota applicazione dell’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario).

© Gianluca Braccini - La stagione stragista

L’attentato di Firenze è dunque sbagliato leggerlo come attacco della mafia siciliana alla città, bensì il seguito di una scia di sangue nello scontro tra poteri dove – in uno scenario politico nazionale indebolito da “Tangentopoli” e in mutamento – quello criminale aveva deciso di attaccare quello istituzionale. Fu il violento sipario sulla “Prima Repubblica”, poi nuovi protagonisti sarebbero emersi, a Roma come in Sicilia, lasciando ai tribunali il compito di ricostruire una verità storica e giudiziaria che ha ancora più di un mistero. Il recente arresto del super boss Matteo Messina Denaro non basta per completare il quadro su cosa è stata la Cosa Nostra contemporanea.

FUL ricorda la tragedia che ha sconvolto la città, rende omaggio alle vittime e si schiera a fianco della ricerca per la piena verità sulle stragi del 1993.

Le opere che accompagnano questo articolo sono state realizzate da Gianluca Braccini e tratte della mostra “La stagione stragista” a Palazzo Medici Riccardi, di cui vi abbiamo parlato in un precedente articolo. Il proseguo di questa mostra inaugura oggi alla galleria La Fonderia. Braccini con la nuova installazione, “Negare l’esistenza del sole”, si concentra sull’isola dell’Asinara che ospitava il carcere di massima sicurezza. Qui, nel 1985, Falcone e Borsellino scrissero la parte fondamentale dell’ordinanza-sentenza del Maxi Processo di Palermo, il più grande processo alla Mafia mai celebrato.